La moda, tra controllo dello Stato e libertà di espressione

Moda, modo di fare, fenomeno antico quanto l’uomo, mezzo per percepire sé stessi dandosi una forma e un obiettivo, sempre alla ricerca del nuovo. La moda, in quanto specchio della società, ha cercato di tradurre in determinati momenti, in forme di abbigliamento, le proprie aspirazioni democratiche e culturali. Infatti, nel tempo, l’affermazione di ogni nuova concezione di vita, con conseguente rinnovamento del proprio assetto organizzativo e politico, ha fatto nascere, nel modo di vestire, il desiderio di liberazione da ogni costrizione. Il ritorno alle origini, alla severità della Roma Repubblicana, momento in cui l’uomo riusciva a dimostrare la dignità del suo essere attraverso un modo di vestire semplice e razionale, deve essere sentito come condizione da prendere ad esempio, ritrovando i primi fondamenti del diritto alla libertà.

Se rivoluzione significa letteralmente ritorno, rigenerazione, la volontà stilistica definita stile Neoclassico finisce per identificarsi, nel primo decennio dell’Ottocento, con la Rivoluzione francese. L’energica tendenza verso la semplificazione della veste, la comodità e la razionalità, veniva comunque accolta indipendentemente da ogni identificazione con i contenuti rivoluzionari, dimostrando la volontà di cambiamento e di auto-rappresentazione della nuova classe istituita. I nuovi ideali di libertà investivano anche il corpo femminile, che reagiva fuggendo dalla prigionia del busto, dall’ingombro delle parrucche e dal trucco pesante e finiva per spogliarsi dagli abiti lasciandosi ammirare nella sua splendente bellezza naturale. La libertà del corpo appartiene, pertanto, al grande movimento per la libertà dei popoli attivato e messo in moto dalla Rivoluzione.

La moda, che esprime da sempre lo spirito di ogni tempo, è uno dei segnali più immediati dei cambiamenti socioculturali. Essa può quindi rappresentare – tramite i suoi mezzi più espliciti – le differenti opinioni politiche che si sono avvicendate. Se i contenuti rivoluzionari si associano agli ideali di libertà, cosa diversa avviene nelle forme di regime. Ma la moda, nel suo percorso evolutivo, è stata spesso uno strumento nelle mani dei potenti, che ne hanno fatto un mezzo per dimostrare il proprio rango e il proprio peso sociale.

Durante il regime fascista, è al nuovo Ente della Moda che viene affidato il compito burocratico – e coercitivo – di convinzione. Così le italiane si vestirono secondo la volontà del Duce e gli improrogabili bisogni della Patria, per obbligo. La cliente elegante, di conseguenza, mostrava di accogliere le fogge dell’abito con spirito di disciplina e con sacrificio personale, mentre tutti i suoi desideri di ricerca estetica si fermavano là, davanti a quella porta chiusa. La moda diventa strumento nelle mani del dittatore, e sarà proprio durante gli anni di guerra che la ricerca del lusso attraverso l’autarchia avrà la massima attenzione del regime.

Se solitamente la moda dice soprattutto “donna”, la cosa più eclatante all’opposto, nei Paesi socialisti, è la mancanza della figura della signora. Infatti, nella tradizione socialista emerge il modello della “donna lavoratrice”, in contrasto col fenomeno moda, come espressione del capitalismo. La Russia post-Rivoluzione, trovandosi a costruire una società nuova, basata sull’uguaglianza sociale, introdusse un nuovo concetto intorno alla funzione della moda divenuta di massa. Nel vagare storico della moda, una cosa appare chiara, più lo Stato è presente e più si è dipendenti da un sistema indotto, e questo non fa altro che imporre i propri interessi al di là delle ideologie. La moda deve poter trovare le sue forme spontaneamente, per essere vera produzione creativa.

Aggiornato il 09 marzo 2024 alle ore 11:52