A rischio nel mondo la libertà di stampa

Almeno cento giornalisti sono stati uccisi a Gaza nell’espletare il dovere di raccontare le atrocità della guerra israelo-palestinese. Non meno di 1.500 reporter sono fuggiti all’estero dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. La regione più pericolosa per i media è quella del Maghreb-Medio Oriente e del Nord Africa mentre peggiora la situazione in Argentina, Cina, Grecia dove sono ancora vive le tensioni derivanti dalle intercettazioni dei giornalisti da parte degli uomini dei Servizi segreti e dall’omicidio del cronista Giōrgos Karaivaz nel 2021. Stretti controlli personali, violenze, limitazioni, minacce, strumenti di disinformazione sono pericoli ricorrenti. Nel rapporto annuale sulla libertà di stampa, Reporter senza frontiere ha lanciato l’ennesimo allarme sottolineando un numero crescente di Governi e di autorità pubbliche che non adempiono al ruolo di garanti del miglior ambiente possibile per il giornalismo e per i cittadini che hanno diritto a informazioni affidabili, indipendenti e diversificate. Reporter senza frontiere rileva “un preoccupante calo del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione da parte degli Stati e di altri attori politici”. Per l’organizzazione che monitorizza la salute della libertà di stampa nel mondo c’è una “imitazione spettacolare dei metodi repressivi russi” in tutta l’Europa orientale e in Asia centrale.

In questo quadro non edificante anche l’Italia presenta aspetti negativi e perde 5 punti nella classifica generale. Era al 58° posto, scesa al 41° nel 2022. Ora è risalita al 46° per la preoccupazione che “un parlamentare della maggioranza stia cercando di acquistare l’Agi, la seconda agenzia di stampa italiana dopo l’Ansa”. Il problema, secondo Reporter senza frontiere, è che il deputato della Lega Antonio Angelucci è già editore del gruppo di cui fanno parte Libero, Il Tempo di cui è diventato direttore di recente Tommaso Cerno, e il Giornale venduto da Paolo Berlusconi. In ballo ci sarebbero i fondi pubblici. Secondo la riforma varata nel luglio 2023 dal sottosegretario all’editoria Alberto Barachini il 65 per cento del bilancio delle agenzie di stampa vincitrici del bando del 2017 viene coperto da fondi governativi. Per quest’anno l’Agenzia Agi, nata nel 1950 ma acquistata dall’Eni nel 1956 tre anni dopo la morte di Enrico Mattei, può contare su un contributo statale di oltre 3 milioni di euro mentre può ottenere uno degli 11 lotti previsti dal nuovo bando che ha uno stanziamento di circa 56 milioni. Sulla vendita dell’Agi, diretta da Rita Lofano dal 2023 dopo anni di corrispondenza dagli Usa, si è scatenata un’accesa bagarre politica e sindacale. I partiti d’opposizione attaccano anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti poiché l’azienda pubblica come la Rai dipende dal dicastero di via Veneto, pur riconoscendo al manager Claudio Descalzi autonomia decisionale e professionale. Torna in ballo la questione del mai risolto conflitto d’interessi. I sindacati e i giornalisti chiedono garanzie sul nuovo polo editoriale che dovrebbe essere perfezionato dopo l’estate e intanto hanno proclamato 5 giorni di sciopero. Sulla vicenda sono stati accesi i riflettori anche della Commissione europea. Il rischio sarebbe quello della costituzione di un sistema meno pluralista dell’informazione, simile a quanto accaduto in Ungheria.

Aggiornato il 06 maggio 2024 alle ore 13:01