Uno dei grandi padri fondatori della sociologia come scienza empirica, al pari delle altre, Émile Durkheim, è passato alla storia, fra l’altro, per la sua celebre teoria circa le cause del suicidio. All’interno della tipologia che Durkheim individua, trova posto il suicidio che egli definisce “anomico” ossia un suicidio che, sulla base di una pulsione negativa che il soggetto genera contro se stesso, non trova ostacoli nel modello culturale della società nella quale vive e, per questo, lascia che la pulsione egocentrica prevalga. Ciò non significa, ovviamente, che il suicidio sia colpa della società ma solo che, quando le pulsioni negative non sono sottoposte al controllo di valori e principi che pongano la vita umana, a cominciare dalla propria, come bene da salvaguardare, togliersi la vita diviene una soluzione da non scartare a priori.
Prima di Durkheim, l’italiano Enrico Morselli, sempre nei primi anni del secolo scorso, aveva inaugurato lo studio statistico del suicidio scoprendo, fra l’altro, una correlazione inversa fra suicidio e omicidio che indica, detto in breve, che più aumenta l’uno più diminuisce l’altro e viceversa. Ad ogni modo, mentre il suicidio tende ad aumentare laddove sussiste un clima sociale nel quale l’individuo trova scarso sostegno per le proprie difficoltà psicologiche, l’omicidio tende a prevalere quando i conflitti sociali e la violenza, anche politica, mostrano tassi crescenti.
Sia Durkheim sia Morselli fanno dunque riferimento alla situazione complessiva in cui una società si trova in un data fase temporale, ricordandoci esplicitamente che l’integrazione culturale è uno dei fattori chiave per comprendere la devianza. La violenza che attualmente sta mostrando valori in aumento in Italia, ma anche altrove, in particolare da parte di gruppi di giovanissimi, è sicuramente dovuta ad una dilagante perdita di collegamento fra l’individuo e la cultura sociale, diciamo così, ufficiale ossia professata e stabilita da modelli etici e giuridici i quali, con varie accentuazioni, sono alla base del senso comune occidentale e, in gran parte, anche orientale.
Perché questa frattura del collegamento culturale di cui stiamo parlando? Non è possibile, se non in via ipotetica, indicare “la” causa di tutto questo perché il distacco dai valori e dai principi da parte di chi aggredisce per aggredire, cioè senza motivazione, di chi vandalizza senza ragione alcuna o di chi insulta e minaccia senza remore di alcun tipo, è un distacco sospeso nel vuoto della propria mente. Un ego che cerca furiosamente di dare corso alla propria aggressività senza osservare limiti perché non li ha mai interiorizzati. Si tratta, insomma, di un protagonismo violento che alcuni esercitano sulla tastiera del proprio computer o cellulare e altri praticano, soli o in gruppo, in termini concreti, persino attraverso atti di brutalità contro docenti o medici giudicati come colpevoli senza prove e senza appello. Negando nei casi peggiori, per un apparente paradosso, alla vita altrui il valore che il suicida nega alla propria.
Che si usino coltelli o armi da fuoco, che si sia in Italia o negli Usa o altrove, siamo, in definitiva, di fronte ad una rottura dei legami intergenerazionali attorno a processi di educazione che, circondati e superati dai modelli di successo immediato e, appunto, senza regole chiare, provenienti dall’intero sistema delle comunicazioni con molti cosiddetti social in testa, stentano a fornire alle nuove generazioni un quadro ordinato di valori, sempre migliorabili, cui attenersi.
Ma non si tratta di una novità assoluta poiché, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, abbiamo assistito a più ondate di contestazione poi trasformatesi in vere e proprie guerriglie in nome di un pensiero critico che, però, respingeva chi non si allineava, di una libertà gonfiata fino a scoppiare negando quella altrui e di una violenza ideologica senza fine.
Cause diverse, dunque, ma tutte allineate lungo una direttrice che certamente affonda le proprie radici nella natura umana ma che, ora grazie a troppi cattivi maestri e ora alle illusioni indotte dalle nuove tecnologie al cui centro risiede sempre un individuo presentato arbitrariamente come libero e onnipotente, ha dato e dà luogo ad una vera e propria anarchia a buon mercato, ma subdola, intrinsecamente anomica e, come si vede, capace solo di distruggere e non di costruire.
Aggiornato il 04 novembre 2025 alle ore 10:57
