Visioni. Carmelo Bene, un doc racconta “la macchina attoriale”

È stato uno dei più grandi interpreti del Novecento italiano. Il profilo di Carmelo Bene, geniale attore, autore, regista e performer, a ventidue anni dalla scomparsa, è ancora tutto da scandagliare. Scritto a quattro mani da Lorenzo Bagnatori e Samuele Rossi, che ne firma la regia, un breve documentario di 54 minuti ripercorre la vita e la carriera del drammaturgo: Bene! Vita di Carmelo, la macchina attoriale. Dopo la presentazione in anteprima avvenuta lo scorso novembre al 64° Festival dei Popoli di Firenze, il docufilm, prodotto da Echivisivi e Minerva Pictures, è approdato a metà marzo di quest’anno su Sky Arte e su Now. Il grande attore è interpretato sullo schermo da Filippo Timi, che nella ricostruzione scenica recita alcuni brani del libro Sono apparso alla Madonna, autobiografia pubblicata da Bene nel 1983. La narrazione è arricchita dal materiale inedito proveniente dall’Archivio Carmelo Bene della Fondazione Teatro della Toscana e dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto personalmente o studiato a lungo: la compagna Lydia Mancinelli; l’ultima moglie Raffaella Baracchi; la figlia Salomè, curatrice della fondazione a lui dedicata; il sociologo Stefano Cristante; il critico Franco Ungaro; il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco; il ricercatore universitario Simone Giorgino; il direttore d’orchestra Marcello Panni; infine, Maurizio Costanzo (in versione esclusivamente sonora).

Carmelo Bene nasce a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel 1937. La sua è una formazione cattolica nel collegio Calasanzio. Fa il chierichetto dall’età di 4 anni e prosegue fino al trasferimento a Roma, dove l’attore frequenta l’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. Non accetta le regole e l’autorità dell’istituzione. Ne mette in discussione il testo che, a suo avviso, “non conta nulla, è spazzatura nella scrittura di scena”. Così abbandona gli studi accademici e debutta come protagonista del Caligola di Albert Camus. Poco dopo diventa il ragazzo terribile del teatro italiano. Il documentario racconta gli aspetti più controversi dell’attore. Emerge il ritratto di un genio sfrontato e provocatorio. Uno dei protagonisti della “neoavanguardia”, che ha contribuito alla nascita del nuovo teatro italiano. Appena 22enne recita nelle “cantine romane”, suscitando l’entusiasmo di intellettuali e scrittori come Alberto Arbasino, Pier Paolo Pasolini e Ennio Flaiano. Si misura con testi diversi e, in apparenza inconciliabili: Amleto, Salomè, Pinocchio, Eduardo II. Nel 1961 l’attore apre al numero 23 di via Roma Libera a Trastevere uno spazio autogestito, il suo Teatro Laboratorio. In questo contesto prendono vita i suoi spettacoli-performance che destano scandalo. Scardina il concetto di trama e si basa sull’improvvisazione e sul coinvolgimento del pubblico. Samuele Rossi, che si è cimentato con passione nell’indagine beniana, racconta anche le eccezionali performance dell’attore. Spicca la celebre Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli, in una Bologna scossa dall’attentato alla stazione avvenuto un anno prima. Per la verità, avrebbero meritato un’attenzione maggiore le esperienze cinematografiche di Bene, a partire dal folgorante esordio di Nostra Signora dei turchi (1968), Premio speciale della giuria alla 33ª Mostra del cinema di Venezia. Così come un adeguato approfondimento avrebbe giovato al Bene televisivo. Dalle apparizioni a Mixer cultura, Domenica in e performer unico, protagonista memorabile degli Uno contro uno del Maurizio Costanzo Show. Celebri i litigi con i critici Guido Davico Bonino e Guido Almansi.

Carmelo Bene è stato spesso paragonato al regista e drammaturgo francese Antonin Artaud, teorico del “Teatro della crudeltà”. Naturalmente una crudeltà non intesa come sadismo, ma pura catarsi. Eppure, Bene affermava che Artaud non fosse “in grado di mettere in pratica la sua teoria”. Quanto al cinema, l’attore ne disprezzava i corifei più acclamati, salvo ammirare Buster Keaton e Jacques Tati, gioiosamente anarchici. L’opera di Carmelo Bene è stata una lunga e complessa impresa di decostruzione e demolizione. Purtroppo, Samuele Rossi, a dispetto delle lodevoli intenzioni del suo Bene! Vita di Carmelo, la macchina attoriale, non riesce a cogliere la sfida che si è prefisso: raccontare l’innovazione di un uomo che teorizza wildianamente, che occorre “fare della vita la propria opera d’arte”.

Aggiornato il 29 marzo 2024 alle ore 23:26