Draghi non salirà sul treno degli ipocriti

È vero che una delle nostre negatività consolidate sia la carenza della memoria storica ma dalla istituzione della Commissione Colao non è ancora passato un anno. Voglio solo ricordare che il 10 aprile dello scorso anno, l’allora premier Giuseppe Conte istituì una Commissione presieduta dal manager aziendale Vittorio Colao, oggi ministro dell’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. Per due mesi tale Commissione ha lavorato per fornire al Governo un piano strategico, articolato in ben 102 schede, accompagnate da un dettagliato rapporto di una cinquantina di pagine: “Iniziative per il rilancio, Italia 2020-2022”. Sulla base di tale documento il Presidente del Consiglio annunciò la convocazione degli Stati generali. In realtà con tale iniziativa si voleva meglio interloquire con i sindacati e con le associazioni sulle misure per il rilancio. E così, il 13 giugno dello scorso anno, gli Stati generali partirono e si conclusero dopo 9 giorni.

Dopo questa assise ci furono dichiarazioni davvero entusiasmanti e, al tempo stesso, rassicuranti sulla realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia ed il continente; non riporto tutte le dichiarazioni di tanti ministri o di tanti opinion leader, preferisco riportare solo quella del ministro Dario Franceschini (allora capo della delegazione del Partito Democratico all’interno del Governo Conte II); la sua dichiarazione fu esaustiva: “Sarebbe assurdo realizzare l’Alta velocità nel Sud del Paese senza prolungare tale asse fino a Palermo e sarebbe assurdo quindi non realizzare contemporaneamente un collegamento stabile tra Reggio Calabria e Messina”.

Dopo è arrivato l’impegno dell’allora ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli nell’avviare una apposita Commissione che, entro il 15 ottobre del 2020, avrebbe dovuto produrre delle conclusioni in merito alla soluzione più idonea relativa alla realizzazione di un collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria.

Poi sono arrivate le linee guida della Unione europea relative alle caratteristiche ed ai vincoli cui dovevano sottostare le proposte progettuali da inserire nel Recovery Plan; da tali linee guida è emerso che bisognava proporre opere relative a progetti organici da concludersi entro il 31 dicembre del 2026.

A questo punto esaminiamo quale sia stato il comportamento degli altri Stati dell’Ue e, al tempo stesso, verifichiamo invece quale linea sta seguendo il nostro Paese; prendo come esempio la Francia, questo Paese ha approfittato, come la maggior parte degli Paesi dell’Unione, di questa interessante ed irripetibile fase programmatica per redigere una proposta supportata finanziariamente per 40 miliardi con risorse del Recovery Fund e per 60 miliardi con risorse del proprio bilancio ordinario o proveniente da altri fondi comunitari. In tal modo la Francia ha, correttamente, evitato la soglia temporale del 2026 in quanto le opere, con un arco temporale realizzativo più lungo, hanno trovato copertura su altre fonti e in tal modo si consente il raggiungimento della massima contestualità e della massima organicità all’intero Recovery Plan.

Cosa ha fatto il nostro Paese, o meglio cosa sta facendo il nostro Paese; a mio avviso sta prendendo in giro l’Unione europea e se stesso. Faccio, in proposito, due esempi di proposte inoltrate all’attenzione del Parlamento da parte del Governo e che ritengo altamente significativi:

– Asse ferroviario ad Alta velocità Roma-Pescara (il cui importo stimato globale supera i 6,2 miliardi di euro), nel Recovery Plan entrano solo interventi ubicati nella tratta Pescara-Interporto di Chieti, e altri segmenti in vicinanza del nodo di Roma, per un valore globale di 620 milioni;

– Asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria (il cui importo stimato globale supera gli 8,5 miliardi), nel Recovery Plan entrano solo interventi relativi alla tratta Battipaglia – Praia a mare per un valore globale di 1,8 miliardi;

Penso che nasca spontaneo un interrogativo che, per ora, rivolgo io ai redattori di questa proposta e, sono sicuro, quanto prima tale interrogativo sarà posto dalla Unione europea: che senso ha realizzare un segmento di un asse ferroviario senza garantire davvero la sua integrale efficienza ed efficacia funzionale. Ancora più preoccupante sarà un secondo interrogativo: perché non si è seguita una simile articolazione programmatica anche per la realizzazione del Ponte sullo Stretto e perché, come d’altra parte anche indicato dal ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco nell’audizione in Commissione Bilanci della Camera, non si sia fatto ricorso a distinte fonti di copertura (ricordo sempre che ci sono 30 miliardi di euro del Programma del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014-2020).

Penso però sia giunta, dopo tanti anni di altalene, di comportamenti schizofrenici e di assurdi camaleontismi, l’occasione per chiarire due distinti misteri:

– Il Governo attuale ha una maggioranza formata dal Partito Democratico, da Italia Viva, da Forza Italia, dalla Lega, da Liberi e Uguali e dal Movimento 5 Stelle; escluso il M5S e forse Leu, tutti sono a favore di un collegamento stabile e anche il Fratelli d’Italia, pur stando alla opposizione, è a favore dell’opera. Sarebbe, quindi, opportuno conoscere perché si è deciso di non inserirlo nel Recovery Plan seguendo anche quanto fatto per le tratte ferroviarie ad Alta velocità;

– Cosa rimane in termini di infrastrutture inserite nel Recovery Plan per il Mezzogiorno: in realtà, come da me ricordato da mesi, rimane una somma, vera e concreta in termini di rispetto delle logiche imposte dalla Unione europea, non superiore ai 6-7 miliardi e questo contrasta con quanto assicurato dall’ex ministro del Sud Giuseppe Provenzano (almeno il 40 per cento delle risorse per le infrastrutture al Sud); contrasta con quanto assicurato dalla ex ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti De Micheli (almeno una quota del 45 per cento al Sud); contrasta con quanto assicurato dall’ex Presidente del Consiglio Conte nel suo ultimo intervento in Parlamento (al Sud bisogna garantire più del 50 per cento).

Due misteri che durano da molto tempo e che una volta trovavano risposta nel comportamento della Lega mirato a non trasferire risorse al Sud o nella ignavia di governi che avevano sottovalutato il ruolo strategico dell’intero Mezzogiorno. Oggi, esclusi i grillini del Movimento 5 Stelle da sempre contrari alla realizzazione del ponte ed in genere a tutte le opere infrastrutturali in quanto convinti che in tal modo si incentivavano le organizzazioni malavitose, le forze politiche stanno, purtroppo, ammettendo che il Mezzogiorno è un’ottima occasione per affrontare e dibattere determinate problematiche avendo però sempre cura nel non risolverle. Dovevamo vivere questa grande occasione programmatica e strategica come la redazione del Recovery Plan per capirlo e per scoprirlo. Ho solo una speranza: il presidente Mario Draghi non credo possa salire su un treno pieno di ipocriti.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 16 aprile 2021 alle ore 13:38