Il ritorno dello spread

Nelle ultime settimane è ritornato prepotentemente all’ordine del giorno lo spettro dello “Spread”. A tal proposito, è opportuno analizzare le cause che lo generano e gli effetti sul Paese e sull’economia nazionale. Il problema parte dalle agenzie di rating internazionali. Le più influenti: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings, sono delle imprese private che con le loro valutazioni sono in grado di influenzare le decisioni degli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi comuni d’investimento mobiliare, assicurazioni) con conseguenze dirette nei confronti di società quotate in borsa e sul debito di Stati sovrani.

Il termine inglese rating può essere tradotto in italiano “valutazione – voto” e nella fattispecie finanziaria significa “valutazione della solvibilità” e quindi il grado di affidabilità di Stati sovrani, società e imprese. Più è alta la valutazione della solvibilità del debitore, più basso sarà il tasso d’interesse che dovrà corrispondere il debitore per finanziarsi sul mercato dei capitali. Più bassa è la valutazione sull’affidabilità, maggiore sarà il tasso d’interesse che dovrà pagare il debitore al finanziatore. Il voto – rating – assegnato dalle agenzie di rating è espresso in lettere come è consuetudine del mondo anglosassone. La tripla A rappresenta il voto massimo fino alla D che indica il default (insolvenza). L’Italia solo verso la fine del governo Craxi ebbe le agognate tre AAA. Oggi la valutazione del debito sovrano italiano è BBB.

La conseguenza delle valutazioni delle agenzie di rating per un Paese come il nostro, che è fortemente indebitato e che ha perso l’autonomia monetaria con l’entrata in vigore della moneta unica, è il rischio Paese che si misura con lo Spread. Lo Spread, termine inglese, è traducibile in italiano “differenza – divario”. In Europa il paese che gode di una valutazione da tripla A è la Germania ed è il parametro (Benchmark) di riferimento per determinare il differenziale di tassi d’interesse pagati sul debito pubblico rispetto alla Germania. La comparazione, per calcolare lo spread, tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, viene fatto tra i nostri Btp – Buoni del tesoro pluriennali – e il Bund tedesco con scadenza decennale. Le ultime rilevazioni indicano un differenziale, negativo per l’Italia, intorno ai 160 punti base (1,6 per cento). In sostanza lo Stato italiano per finanziare, sul mercato dei capitali, il proprio debito pubblico con scadenza a dieci anni deve sostenere un onere superiore a quello tedesco.

Il paradosso è che paesi con un debito pubblico in rapporto al PilProdotto interno lordo – di molto superiore a quello italiano (attualmente intorno al 152 per cento) come ad esempio il Giappone, che ha un indebitamento pubblico del 250 per cento rispetto al Pil, ha un rating internazionale migliore del nostro voto “A”.

 Il Giappone ha il vantaggio oggettivo dell’autonomia monetaria (lo Yen) e una elevata propensione al risparmio dei giapponesi che però comprano il debito pubblico del loro Paese. L’Italia, anche se non gode dell’autonomia monetaria, vanta una elevata propensione al risparmio degli italiani, tra i primi del mondo occidentale, e disponibilità liquide sui conti correnti per oltre 1.100.000 miliardi di euro. Depositi che producono perdite in termini di capitale (spese bancarie) e perdite derivanti dalla riduzione del potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Un altro paradosso è dato dal fatto che l’Italia è tra i paesi creditori netti in quanto le attività finanziarie detenute dagli italiani sono superiori alle passività finanziarie verso i paesi del resto del mondo.

Un maggiore nazionalismo (inteso come amor patrio) dei risparmiatori italiani verso il nostro debito pubblico realizzerebbe una minore esposizione allo Spread e a tutte le implicazioni che ne conseguono quali: maggiori interessi passivi che si traducono in un incremento del carico fiscale per imprese e cittadini, minore competitività per le nostre imprese e riduzione dei servizi. Nella storia economica, l’Italia ha sempre onorato il pagamento dei propri debiti. Forse, una maggiore fiducia dei risparmiatori italiani nei confronti del debito pubblico italiano limiterebbe il rischio legato allo spread. Non sempre il voto delle agenzie di rating rispecchia l’affidabilità finanziaria di un Paese.

Aggiornato il 11 febbraio 2022 alle ore 10:12