È forse ora di rispolverare una politica di investimenti pubblici?

I dati economici a disposizione sull’Eurozona (consumo, investimenti, produzione e risparmi) ci forniscono un quadro poco rassicurante della situazione attuale dell’economia del Vecchio Continente e devono portare gli economisti ad una riflessione critica sulle politiche economiche attuate finora dai Paesi membri e dalle istituzioni dell’Ue.

Come era facile presagire già prima dell’estate, la politica monetaria restrittiva seguita dalla Banca centrale europea (Bce) ed il protrarsi della stagnazione economica in Germania sta avendo un impatto diretto sulle prospettive di crescita economica, non solo dei Paesi dell’Unione europea, ma anche del nostro Paese. In effetti l’Italia è tra i Paesi che stanno affrontando una situazione ancora più critica, con una contrazione del Pil dello 0,4 per cento ed è, in tale contesto, solo dietro ad Austria (-0,7 per cento), Svezia (-0,8 per cento) e Polonia (-2,2 per cento).

Come abbiamo avuto già modo di rilevare, in alcuni articoli precedenti, uno dei principali fattori che ha colpito il nostro Paese è la stagnazione economica della Germania, che riveste da sempre il ruolo di principale partner commerciale, soprattutto nel manifatturiero, settore che rappresenta da solo oltre la metà del valore totale degli scambi tra i due Paesi. Peraltro, ad essere colpite sono soprattutto le piccole e medie imprese, legate alla strutturalmente da sempre alla produzione tedesca.

Cosa poter fare per sostenere l’economia italiana? Certo, la vocazione mercantilista del nostro Paese suggerirebbe, per sostenere la domanda, una maggiore apertura al commercio internazionale spingendo sulle esportazioni. Ma il quadro che si presenta è di una netta chiusura dei mercati, e questo almeno per ancora qualche trimestre, atteso quello che sta succedendo nell’area dei Brics. E allora occorre pensare a qualche altra cosa.

Il nostro Governo sembra concentrato sulla riforma fiscale che dovrebbe liberare risorse per il rilancio dei consumi e degli investimenti. Tuttavia, come noto, il moltiplicatore degli investimenti è più robusto rispetto ad una politica di riduzione delle tasse e, inoltre, esistono risorse accantonate da poter utilizzare, senza difficoltà apparente.

Stando a recenti statistiche, ottenute incrociando differenti dati, in Italia i depositi bancari contengono circa 15mila euro in media. Una cifra apparentemente alta, ma che è parcheggiata soprattutto a fini precauzionali, in quanto a ben vedere solo una fascia ristretta della popolazione, pari a circa il 7 per cento, può invece fare affidamento su risparmi superiori a 50 mila euro e fino anche a 250 mila euro.

Tuttavia, il dato sui depositi degli italiani evidenzia come solo nel 2022, sono stati versati ben 64 miliardi di euro in più sui conti, rispetto al 2021. La persistenza di denaro inoccupato dimostra due cose; in primo luogo, quanto sia ancora forte la tendenza al risparmio degli italiani ed al contrario la sfiducia del Paese verso gli investimenti, atteso che ogni manuale di economia (oltre che il buon senso) evidenzia che, in linea di massima, ogni individuo dovrebbe, per la sicurezza, avere sul conto solo una cifra in grado di coprire almeno sei mesi di spese, appunto per sostenere le emergenze o gli eventi imprevedibili. Peraltro la scelta è, in periodi di alta inflazione (come quella corrente) quantomeno suicida, in quanto le somme in deposito non producono altro che un rendimento minimo, falcidiato peraltro dall’inflazione oltre che dai costi di tenuta del conto.

Per coloro che, invece, rientrano nel 7 per cento della popolazione, stante la sfiducia persistente nella ripresa economica, si potrebbe varare un piano di investimenti pubblici che, attraverso una cabina di regia, dirotti le eccedenze monetarie verso investimenti infrastrutturali, che garantiscano eventualmente il prestito a tassi di mercato, con la conversione del debito in azionariato della società. Peraltro, modelli di investimenti pubblici l’Italia ne ha sperimentati davvero molti, a cominciare da quello di cui alla famosa legge del 28 febbraio 1949 numero 43, con cui il Parlamento italiano approvò il progetto di legge Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori, con il quale si sarebbe dato avvio a un piano per la realizzazione di alloggi economici, noto come piano Ina-Casa. Ed è peraltro certo che il maggior sviluppo dei mercati finanziari, oggi, permetterebbe di recuperare fondi a favore della crescita più e meglio di quanto pur fatto eccellentemente nel passato.

Di certo un piano ambizioso, ma la situazione economica nell’Eurozona è critica e, tuttavia, mi sembra difficile (spero però di sbagliarmi) che si determini un’inversione di tendenza nelle aspettative e, in particolare, che il peggiorato quadro macroeconomico influenzi le decisioni della Bce nelle prossime settimane consigliandole una politica monetaria più accomodante. In effetti, l’obiettivo di un’inflazione al 2 per cento, obiettivo della Banca centrale, è ancora lontano. L’Eurostat poche settimane fa ha diffuso il dato preliminare sull’andamento dei prezzi al consumo in area euro a luglio 2023. E l’inflazione nell’area euro ha registrato un incremento annuale del 5,3 per cento, rispetto al +5,5 per cento di giugno e al +8,9 per cento dello stesso mese del 2022. Inoltre, i dati pubblicati di recente sull’inflazione annuale degli Usa ha mostrato una variazione del 3,7 per cento rispetto alla precedente di 3,2 per cento e a previsioni di 3,6 per cento, segno che anche la Fed non potrà allentare di troppo la stretta monetaria.

Dunque, ritornando al nostro Continente, il rientro – avendo livelli più accettabili di incremento nei prezzi – c’è ma, di tutta evidenza, siamo ancora di oltre tre punti percentuali sopra il target del 2 per cento. E, come se non bastasse, il mese d’agosto ha visto un rialzo della componente energetica ed alimentare, che non depone bene! Quindi, pur facendo tutti gli scongiuri possibili, sarà difficile pensare ad un deciso cambio di rotta nella politica monetaria della Bce e ad un ribasso dei tassi d’interesse che dia ossigeno alle tante imprese in difficoltà finanziaria.

(*) Direttore del dipartimento di Scienze politiche della delegazione di Roma di Unipeace-N.U.

Aggiornato il 15 settembre 2023 alle ore 11:43