Se l’Università di Milano-Bicocca cancella Dostoevskij

“La superbia degli ignoranti è divenuta davvero smisurata. Le persone poco evolute o ottuse non si vergognano per nulla di queste loro disgraziate qualità, ma anzi in esse attingono coraggio”: così Fëdor Dostoevskij ha scritto nel suo “Diario di uno scrittore”, quasi anticipando personalmente la risposta a coloro che hanno avuto la brillante idea, presso l’Università di Milano-Bicocca, di annullare un corso, tenuto dal professor Paolo Nori, sul celebre scrittore per evitare polemiche a causa della guerra in atto. La vicenda, se non facesse piangere, farebbe ridere, ma al di là di ogni reazione emotiva s’impone l’esigenza di una riflessione razionale sull’accaduto.

In primo luogo: sorprende che molti, quasi tutti in effetti, non abbiano ancora compreso che il tentativo di censura di Dostoevskij è intimamente connesso con la vicenda della pandemia. Come si è cercato di censurare, denigrare, delegittimare il pensiero critico verso la gestione pandemica – etichettandolo come ideologia No vax o No pass – così oggi si cerca, sulla base delle stesse dinamiche logiche, di censurare lo scrittore russo, come del resto in passato chi ha mosso critiche al Ddl Zan è stato censurato in quanto omofobo. La logica, insomma, è sempre la stessa: al mutamento del caso, la causa è identica, ed è sostanzialmente l’intolleranza per il pensiero diverso che si cela dietro il perbenismo, la finta tolleranza e il politicamente (o pandemisticamente) corretto. Come ha notato Herbert Marcuse, infatti, “ciò che oggi si proclama e si pratica come tolleranza è in molte delle sue più effettive manifestazioni al servizio della causa dell’oppressione”. Del resto, perfino una certa insulsa intellighenzia cattolica, molto pensata e poco pensante, propaga articoli in base ai quali molti No vax si sarebbero riciclati come pro-Vladimir Putin soltanto perché – come Sergio Romano o Henry Kissinger – avrebbero cercato di dichiarare qualcosa di diverso rispetto alla narrazione ufficiale sulle cause della guerra russo-ucraina, pur senza volerla giustificare. Che molti non comprendano le connessioni tra la violazione dei diritti fondamentali introdotta con il Green pass e il tentativo di censura di Dostoevskij è proprio il sintomo della mancanza di capacità di sintesi e della necrosi del senso critico che oramai domina a ogni livello della società e della cultura, pur nell’epoca delle lauree compulsive in cui tutti si fregiano di molteplici titoli. Purtroppo, come ripeteva Plutarco, non è la barba che fa il filosofo, così come non è la laurea che attesta la capacità intellettiva di qualcuno (al più attesta infatti qualche capacità tecnica e non di più). Solo studiando e comprendendo fino in fondo l’opera complessa e profonda di autori come Dostoevskij, si possono cogliere le connessioni tra la tentazione della censura del suo pensiero e la gestione pandemica avvenuta in violazione dei principi fondamentali della democrazia e dello Stato di diritto.

In secondo luogo: l’idea di poter cancellare un corso universitario su un autore vissuto circa due secoli prima della guerra in corso è tanto ridicola e grottesca, quanto il pensare di trovare una responsabilità di Dostoevskij per ciò che sta accadendo tra Russia e Ucraina. Chi è stato artefice e promotore di una simile idea, qualunque sia il suo grado e ruolo accademico, dovrebbe essere licenziato e bandito per sempre da ogni ateneo italiano, in quanto non in grado di comprendere la natura e lo scopo dell’insegnamento universitario. L’Università, sebbene oggi in Italia sia così per lo più intesa, non è infatti una caserma di addestramento di battaglioni di ideologizzati e ideologizzanti fantoccini che devono imparare pappagallescamente a memoria delle formule di pensiero preconfezionato da diffondere al di fuori del mondo accademico. L’Università dovrebbe essere, infatti, la fucina in cui tra il maglio della cultura e l’incudine del pensiero dovrebbero essere forgiati gli spiriti e gli intelletti di uomini liberi, cioè capaci di accedere alle risorse dell’umana razionalità senza paradigmi eterodiretti e senza apriorismi ideologici come quelli imposti dal politicamente o dal pandemisticamente corretto. Che si cerchi di abolire un corso universitario per evitare polemiche a causa della nazionalità dell’autore che si intende studiare è la negazione più frontale e radicale dello spirito e della ratio dell’insegnamento universitario. L’Università dovrebbe insegnare a essere polemici, per evitare che i battaglioni di fantoccini, del tutto privati del loro spirito critico, prestino il loro consenso all’Adolf Hitler o allo Stalin di turno. Quanto più infuria la guerra, come disconoscimento profondo e totale della natura relazionale dell’essere umano, tanto più un autore come Dostoevskij, che nella natura umana ha scavato, si è immerso e ne ha sviscerato le ombre, dovrebbe essere studiato. È la Russia che muove guerra? Allora, si dovrebbero moltiplicare e non annullare i corsi sul pensiero letterario e filosofico russo! Ieri è stata la Germania a muovere guerra? Si studino gli autori tedeschi! Domani potrebbe essere la Francia? Si studino i francesi! L’Università, infatti, non serve a recepire nozionismi inutili e inutilizzabili soltanto per far sfoggio del diploma di laurea; l’Università che non irrobustisce, vivifica e fortifica lo spirito critico, talvolta minore e talvolta maggiore di cui si è dotati dalla nascita, è soltanto un diplomificio e quindi del tutto inutile. Certo, la maggior parte dei docenti intende l’Università proprio in questo modo vile e avvilente, ma il criterio della maggioranza non ha mai costituito un valido principio legittimante per le cose che in se stesse sono false poiché contrarie alla verità, ingiuste poiché opposte alla natura umana, folli poiché avversarie dell’umana ragione. Che la maggioranza abbia approvato seraficamente il Green pass è la prova di quanto poco e male si sia studiato fino a oggi il pensiero di autori come Dostoevskij; e che molti di coloro che fino a ieri erano a favore del Green pass oggi si straccino le vesti in favore di Dostoevskij comprova quanta confusione esista in giro, proprio in virtù di traballanti fondamenta culturali e mentali che non riescono a far avvertire la stridente e schizofrenica contraddizione.

In terzo luogo: l’idea di poter censurare Dostoevskij è la prova provata di quanto siamo ancora sideralmente lontani – e con la pandemia la distanza è drasticamente aumentata – dalla realtà della democrazia e dello Stato di diritto con cui, tuttavia, si fa tanta retorica oggi nelle aule scolastiche come in quelle universitarie, nelle piazze come nei giornali, nelle televisioni come nelle parrocchie.

In conclusione, la rivolta contro la ragione e la verità, quale è quella di simili proposte, incatena l’uomo alla miseria della storia, così come una falsa idea di libertà, coincidente con l’arbitrio assoluto, lo inchioda a un terribile destino di servaggio e tirannia. Sforzarsi di leggere, comprendere e ricordare autori come Dostoevskij non significa dunque cercare di essere banalmente dotti, ma avvicinarsi di più alla conoscenza dell’essere umano, cioè dirigersi verso quella autentica libertà della mente e dello spirito, e dunque della vita, che dovrebbe essere la vocazione di ogni persona e che Dostoevskij, meglio di tanti altri, ha saputo investigare e condensare nelle sue opere, poiché, come ha ben insegnato un suo profondo conoscitore quale è stato Nikolaj Berdjaev (il più brillante filosofo russo del XX secolo), “Dostoevskij conduce l’uomo per le vie estreme dell’arbitrio e della rivolta, per rivelare che nell’arbitrio si uccide la libertà, che nella rivolta si nega l’uomo”.

Aggiornato il 04 marzo 2022 alle ore 09:16