Ue, Parlamento di nome e non di fatto

In Toscana, fra i tanti, vive un proverbio che, intriso di popolare saggezza, recita: “Cencio dice male di straccio”. La cosa induce al riso, perché è evidente che nel momento stesso in cui il cencio critica lo straccio non si accorge di dir male di se stesso, visto che cencio e straccio sono entrambi umilissimi panni per le pulizie casalinghe.

Il senso di questo noto proverbio torna in mente dopo aver ascoltato le critiche mosse dall’Europa – e subito riprese da vari partiti – nei confronti dell’Ungheria, accusata di coltivare dimensioni istituzionali non conformi allo Stato di diritto e che qui do per ammesse. Infatti, che sia proprio l’Europa a censurare uno Stato per tali motivi, fa subito pensare che probabilmente essa non ha riflettuto abbastanza su se stessa. Se invece l’avesse fatto, allora si sarebbe accorta di come, paradossalmente, prima di censurare altri dovrebbe autocensurare se medesima, in quanto al di fuori del paradigma tipico dello Stato di diritto. Mi limito soltanto a due considerazioni, che credo significative.

Innanzitutto, è bene sapere che il Parlamento europeo, che tutti i cittadini europei eleggono ogni cinque anni, è sfornito di qualunque iniziativa di carattere legislativo, poiché non può in alcun modo promuovere quelli che in gergo istituzionale italiano chiameremmo disegni di legge. La cosa in sé è alquanto strabiliante, in quanto tutti ci saremmo aspettati che – secondo il paradigma dello Stato di diritto – se la sovranità appartiene al popolo, quando il popolo elegge i suoi rappresentanti, costoro siano in modo naturale i delegati a esercitare tale sovranità anche in sede europea, soprattutto attraverso la principale delle funzioni tipiche dei Parlamenti, ossia quella legislativa. Invece, no. Il Parlamento europeo può fare altre cose – esprimere pareri, emettere risoluzioni o raccomandazioni, votare sui nuovi commissari – ma in nessun caso partorire una normativa destinata a valere presso i singoli Stati europei. E allora, perché definirlo Parlamento? Probabilmente, perché si tratta di un luogo dove si discute ma di altre cose rispetto a ciò di cui si dovrebbe parlare. Evidentemente non basta. Perché ammantare di parole e definizioni tipiche dello Stato di diritto ciò che con lo Stato di diritto nulla ha a che fare? Perché questa ipocrisia lessicale?

In seconda battuta, è bene sapere che in questa Europa sia il potere esecutivo che quello legislativo sono inspiegabilmente frammisti, in quanto afferenti in parte alla Commissione europea e in parte al Consiglio dell’Unione europea. Peccato che la Commissione sia un organo esecutivo dell’Unione e che il Consiglio sia formato dai ministri dei vari Stati europei, vale a dire da coloro che esprimono la funzione esecutiva del proprio Governo di appartenenza. In altre parole, a legiferare in Europa non sono i parlamentari eletti dal popolo, detentore della sovranità, ma gli organi esecutivi non eletti da nessuno, in quanto nominati nei singoli Stati e perciò mai investiti di alcun mandato popolare. Allora, se si pensa che sia la separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) come asse portante dello Stato di diritto, dobbiamo dedurne che in Europa, anche per questo secondo aspetto, lo Stato di diritto è latitante. Ne viene un’amara conclusione: se l’Ungheria è lo straccio, l’Europa non è che il cencio. Purtroppo.

Aggiornato il 24 settembre 2022 alle ore 09:17