Le due vie del cattolicesimo dopo Benedetto XVI

“Una parola ha detto Dio, due ne ho udite”: così il salmista (62,12) ha sintetizzato la strutturale fallacia della natura umana dinnanzi all’ascolto della parola divina: se Dio parla, l’uomo non ascolta; se Dio prescrive, l’uomo interpreta; se Dio è silente, l’uomo si perde nel rumore; se Dio mette ordine, l’uomo crea la confusione, tanto che, infatti, se Dio proferisce una parola, l’uomo ne sente addirittura due. In tale ottica deve essere intesa l’attuale condizione del cattolicesimo, specialmente dopo il pontificato di Benedetto XVI, sempre più diviso e divaricato tra una concezione autentica della cattolicità, tale in quanto aderente alla verità dei precetti evangelici, alla effettiva natura della Chiesa e alla reale dimensione antropologica costitutiva dell’essere umano, e una concezione deviata e deviante del cattolicesimo, tale poiché mirante non già a convertire il mondo al messaggio cristiano, ma tesa a sottomettere il messaggio cristiano alle spinte e alle correnti della storia e del mondo.

Già prima del suo pontificato, il cattolicesimo era segnato da una tendenza ad una biforcazione che, tuttavia, adesso è divenuta sempre più evidente e marcata fino a lambire gli oscuri confini dell’eresia e perfino dello scisma. Si stanno approssimando tempi difficili, dunque, per il cattolicesimo che, inutile negarlo, appare sempre più sensibile e permeabile ai richiami delle sirene (ideologiche, politiche, economiche, materiali) del mondo e sempre più distratto rispetto alla sua natura e ai suoi concreti compiti e doveri. L’acuirsi della crisi delle vocazioni, i rumorosi scandali finanziari internazionali di alcuni noti esponenti dell’alto clero cattolico, la sempre più estesa disaffezione ai sacramenti, la crescente desertificazione delle chiese e delle messe domenicali, la diminuzione costante dei matrimoni religiosi e il corrispettivo aumento inarrestabile dei divorzi, sono fenomenologie tutte sufficientemente note anche per chi non si cura di questioni religiose in genere e cattoliche in particolare. E testimoniano non soltanto l’efficacia massima di molteplici concause ideologico-sociali che congiuntamente si adoperano al fine di ottenere tali specifici risultati, ma la difficoltà profonda e radicale che il cattolicesimo sta vivendo oramai da diverso, fin troppo, tempo con una non evanescente responsabilità degli stessi cattolici, laici e non.

In un tale scenario, dinnanzi al cattolicesimo si pone una precisa alternativa: seguire le tendenze culturali, sociali, ideologiche, morali del mondo secolare per dimostrare ad esso solidarietà, prossimità, vicinanza, flessibilità; oppure, confessare e riaffermare il proprio ruolo originario, ovvero essere strumento di salvezza dell’anima per ricondurre ciascun essere umano al suo Creatore, con, senza o perfino contro tutto il resto dell’odierno mondo secolare. I mezzi e le conseguenze, del resto, non sarebbero né indifferenti né trascurabili, sia nella prima che nella seconda via. Seguendo la prima via, infatti, bisognerebbe dismettere gli strumenti originari della predicazione (senza scambiarla per proselitismo), della conversione (senza scambiarla per intolleranza), della attrazione alla sfera divina disancorando il singolo dalla potentissima forza di gravità che il mondo secolare su di esso esercita con le sue adulazioni (potere, fama, egolatria, ricchezza), per adottare nuovi metodi dalla dubbia legittimità (per esempio “arrotondare” o smussare i presunti rigori della dottrina morale della Chiesa per renderla più edibile da parte del mondo) e di ancor più dubbia efficacia, ma con il rischio concretissimo e verosimile di non poter più tornare indietro venendo contagiati, con le difese abbassate, dallo stesso male del paziente che s’intende curare (come appunto dimostrano le suddette difficoltà attuali del cattolicesimo). Non è stemperando le luci o i colori del semaforo che detta le regole di movimento all’incrocio che si può sperare di risolvere gli incidenti che in esso si verificano, ma occorre insegnare meglio agli automobilisti a saper riconoscere i colori e doverli rispettare per l’incolumità propria e altrui.

Seguendo la seconda via, invece, cioè recuperando la struttura dei mezzi cattolici originali per cui si deve senza dubbio interloquire con il mondo, ma, come San Paolo dinnanzi ai gentili e agli ebrei, senza sbiadire la forza e l’autenticità del messaggio evangelico, la Chiesa e il cattolicesimo sarebbero sicuramente meno alla moda, probabilmente meno “social” e TikTok-abili, verosimilmente anche meno giornalisticamente accattivanti, ma decisamente più genuini, più resistenti agli inciampi di cui il mondo dissemina il loro cammino. E indubbiamente più corrispondenti non soltanto alla propria natura e funzione, ma anche e soprattutto più coerenti all’ordine della divina creazione che il mondo intende in ogni modo sovvertire soprattutto nel campo morale.

Benedetto XVI, infatti, ha insegnato sia per tabulas con i suoi scritti, sia per fatti concludenti con la sua vocazione di sacerdote, con la sua dedizione di vescovo, con il suo rigore di Prefetto e poi con la sua umiltà di Romano Pontefice che si può e si deve rimanere fedeli custodi della verità teologica e morale della Chiesa, anche se tutto il mondo milita in senso contrario, perfino se parte cospicua della Chiesa e del cattolicesimo milita in senso opposto oramai ostaggio dell’antico rivale seduttore. Non è del resto questa l’estrema sintesi della santità, cioè la virtù eroica di saper resistere alle tentazioni mondane quando tutto il mondo intorno propende per cedervi? Non è forse questo che Cristo ha fatto dinnanzi al tentatore come non a caso ha di recente ricordato Papa Francesco? Non è forse questo che i numerosi santi e martiri della storia della Chiesa hanno fatto con indefessa costanza a dispetto di ogni compiacenza del mondo? Non è forse questo l’orizzonte di senso ultimo della Chiesa e del cattolicesimo?

Non si tratta del rituale confronto tra catto-progressisti e catto-tradizionalisti, o del prevalere di un carisma cattolico rispetto agli altri esistenti, o dello scontro tra potentati all’interno della curia, ma di ben altro, cioè della sopravvivenza stessa del cattolicesimo nel tempo a venire. Se, infatti, non bisogna indugiare in fariseismi e moralismi, e sedersi e condividere con pubblicani e prostitute la propria tavola secondo gli insegnamenti dei Santi Vangeli, perché non si è meno peccatori gli uni degli altri, è anche pur vero che l’adultera fu accolta, ma severamente ammonita di non peccare oltre senza pensare di modificare la disciplina morale sull’adulterio! Un cattolicesimo e una Chiesa che abdicano al ruolo di provvedere alla salvezza del mondo soltanto per mescolarsi con questo al fine di apparire meno obsoleti dei loro 2024 anni di storia, non soltanto dimostrano la propria grave crisi spirituale e perfino identitaria, ma rischiano seriamente di non poter più compiere il percorso inverso rimanendo ostaggi del mondo medesimo.

Dopo il pontificato di Benedetto XVI, l’orbe cattolico non può più far finta di non aver saputo, di non aver visto, di non essere stato avvisato. Dopo Benedetto XVI, in un’epoca in cui maggiormente si acuiscono le frizioni e le divisioni all’interno del cattolicesimo, occorre che ciascun cattolico prenda coscienza del problema, assumendosi la propria responsabilità e decidendo se concorrere alla distruzione o alla salvezza propria e dei propri simili, della Chiesa e del cattolicesimo, dell’ordine della creazione e di ogni suo più piccolo granello di sabbia. Questo è il più arduo compito dei cattolici nel tempo presente, questo è l’apice estremo del pontificato di Benedetto XVI che si estende dal passato. Questo è il più prezioso lascito di Joseph Ratzinger per la Chiesa di domani.

Aggiornato il 08 gennaio 2024 alle ore 09:34