Sudafrica: riaffiora il genio del male

Il Sudafrica è sotto una pressione sociale che sta assumendo connotazioni anarchiche. Le violenze che stanno investendo in queste ore le principali città sono esplose dopo l’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma, ma sono soprattutto un’espressione del disagio sociale causato specialmente dalle congenite disuguaglianze che affliggono il Paese. Lo Stato sta lottando per riprendere il controllo di una situazione che dà sfogo alle profonde frustrazioni di una larga fascia della popolazione, e la reazione governativa arriva dopo un’interminabile settimana di esitazione e forse di eccessive ponderazioni.

È ben noto che le fondamenta sociali del Paese sono fragili. Uno Stato che vive sull’eredità dell’apartheid (separazione) e sulla segregazione, concetti che ancora oggi sono fusi in una interpretazione del significato che rende le differenze inconciliabili, ostacolano l’obiettivo e l’impegno di creare un’identità nazionale condivisa e aggregante.

Le disuguaglianze sono tra le più evidenti al mondo e pongono gravosi ostacoli per un futuro stabile. Questo complesso “sistema” sociale è corroborato negativamente da un massiccio tasso di disoccupazione, aggravato dalle restrizioni applicate per la presenza del Covid, che su una popolazione di circa 58 milioni ha registrato 67mila morti attribuiti al Coronavirus, ma dove la tubercolosi e l’Aids, in modo cronico, sono la principale causa dei decessi.

Le violenze scoppiate hanno già procurato la morte di circa 230 persone in una settimana. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha voluto parlare ai suoi cittadini, recandosi sui luoghi di massima devastazione. Dopo la visita nelle zone più colpite dalle violenze, ha confermato ciò che la maggior parte della popolazione immaginava e temeva: “Queste azioni mirano a paralizzare l’economia, causare instabilità sociale e indebolire gravemente, o cacciare, lo Stato democratico”. Senza specificare ulteriormente le sue accuse, ma affermando che c’è un’operazione di destabilizzazione clandestina su larga scala. Questa consapevolezza ha indotto il Governo a mobilitare 25mila soldati nelle province di KwaZulu-Natal e Gauteng, dove le tensioni sono più alte.

Tuttavia, da quanto risulta da fonti locali, questa mobilitazione di 25mila soldati non sembra essere stata completamente applicata, o comunque i cittadini non danno fiducia a questa azione. Infatti la comunità stessa sta occupandosi della propria sicurezza colmando i vuoti lasciati dal Governo. Così sono stati creati dei posti di blocco da “civiliarmati, come nella zona di Hillcrest, a ovest di Durban, dove le comunità collaborano per la propria sicurezza.

Questo è un fattore ancora più preoccupante, in quanto vengono “assoldati”, nei gruppi civili di difesa, soggetti con pochi scrupoli e magari con obiettivi che vanno oltre la protezione della comunità. Un primo esempio si è già verificato a Phoenix, a nord di Durban, dove la polizia ha confermato la morte di 24 neri, ritenuti saccheggiatori, picchiati a morte da sudafricani di origine indiana. Il ministro dello sviluppo, Khumbudzo Ntshavheni, ha avvertito i sudafricani di non farsi giustizia da soli per evitare di alimentare tensioni razziali.

Le devastazioni di quartieri, campi coltivati, fabbriche, servizi commerciali, supermercati, negozi hanno ormai una chiara connotazione politica. I “lealisti” dell’ex presidente Zuma sembra siano pronti a tutto pur riconquistare il potere. Il Sudafrica convive da sempre con la violenza, l’odio e il rancore, come se tutti questi sentimenti, socialmente esplosivi, potessero restare ingabbiati nei quartieri poveri e periferici. Se il Sudafrica supererà in modo costruttivo questo pericoloso baratro, dovrà riformarsi profondamente, studiare le modalità per una ridistribuzione della sua enorme ricchezza e affrontare la questione della terra, una delle misure che permetterebbero di riparare alle ingiustizie del passato e ricostruire un futuro comune, attenuando rivendicazioni.

Dal 1994, data dell’avvento di Nelson Mandela alla carica di presidente, è stata messa una “benda” sulla “ferita sudafricana”, ma ora la “ferita” è scoperta”, ed è necessario prendere urgentemente delle decisioni. Il problema ovviamente non è uguale per tutti, infatti i ricchi puntano al mantenimento, ad ogni costo, dei propri privilegi, mentre i poveri si limitano al desiderio di una sopravvivenza meno stressante; il tutto nel quadro di una necessaria lotta alla corruzione, anche qui endemica.

Nella terra di Nelson Mandela sta accadendo qualcosa di cruciale; lo spirito del Premio Nobel per la Pace sembra ormai del tutto consumato. Forse l’idealismo dei tempi che hanno seguito l’avvento della democrazia multirazziale, nel 1994, accompagnato da una serie di luoghi comuni tra cui quello della “nazione arcobaleno”, è andato in fumo nei giorni scorsi, disseppellendo quell’odio che serpeggia latente in questa complessa nazione.

Aggiornato il 23 luglio 2021 alle ore 09:46