Mori: l’esperienza per la sicurezza del futuro

Il generale Mario Mori, già capo del Ros dei carabinieri e del nostro servizio di sicurezza, ha scritto un libro (“Servizi Segreti - Introduzione allo studio dell’Intelligence”) che è un condensato di profonde considerazioni che solo chi ha vissuto sul campo, oltre che dietro la scrivania, la soluzione dei problemi poteva redigere, si può quindi leggere una fonte di suggerimenti che la politica avrebbe il dovere di fare propri e capire come modernizzare la nostra rete di salvaguardia interna ed esterna, razionalizzando e migliorando quelle iniziative che già i Paesi esteri a noi più vicini adottano, Paesi nei quali i servizi di sicurezza hanno il rispetto di istituzioni e cittadini, un rispetto che in Italia troppo spesso viene dimenticato lasciando spazio a dietrologie e sospetti come è avvenuto anche per il generale Mori con il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Negli anni abbiamo spesso assistito alla demolizione di tanti ottimi servitori dello Stato sull’altare di indagini e teoremi che avevano nelle gole profonde del pentitismo i propri oracoli, per poi, sempre troppo tardi, dover ammettere che si era sbagliato ad infangare uomini che in realtà erano eroi.

Generale Mori, secondo lei, come mai il comparto sicurezza in Italia è ritenuto marginale?

Il comparto sicurezza in Italia non è marginale, almeno per la parte che di riferisce alla sicurezza interna. Le nostre forze di polizia, formatesi nel secondo dopo guerra attraverso il contrasto prima al terrorismo interno e poi alla criminalità organizzata, hanno acquisito una professionalità che viene loro riconosciuta oltre che dalla pubblica opinione nazionale anche dal mondo politico. Marginale è invece l’apporto e la considerazione goduta dai nostri Servizi che dalla fine della Guerra mondiale non sono riusciti a trovare nel contesto istituzionale una loro collocazione stabile e riconosciuta.

Come spiegherebbe la metafora utilizzata nel suo libro per cui gli 007 italiani sarebbero ”poco più che un carrozzone burocratico con parvenze operative”?

La definizione di “carrozzone burocratico con poca operatività” dipende da una serie di fattori, tra cui principalmente: l’assoluta incompetenza, salvo rarissime eccezioni, che la nostra classe dirigente ha costantemente evidenziato in materia, dimostrando di non comprendere che i Servizi servono essenzialmente ad ottenere prodotti informativi che consentano di “fare politica” sia a livello nazionale che internazionale, così come avviene nelle maggiori potenze mondiali; una normativa imprecisa e farraginosa e che snatura le modalità d’azione proprie dei Servizi, mettendoli nella condizione di agire quasi come fossero polizia giudiziaria e quindi limitandone, se non addirittura vanificando, la loro funzione; una scelta dell’alta dirigenza prelevata da altre funzioni istituzionali e quindi non specificatamente preparata e che inoltre viene sostituita ad ogni cambio di governo, col risultato di non riuscire a formarsi quella base di esperienza professionale necessaria per gestire un organismo complesso quale è un Servizio.

Secondo lei quale sarebbe la formazione idonea per un agente segreto?

L’agente deve crearsi attraverso un percorso formativo specifico. Si deve cioè realizzare una vera e propria scuola dell’intelligence dove, al di là delle propensioni del singolo, possa essere delineata una cultura operativa ben individuata che costituisca patrimonio comune per chi opera nel settore. Attualmente si fa ricorso a elementi provenienti in massima parte dalle forze di polizia; in genere ottimi elementi, ma con basi professionali ed esperienze solo parzialmente coerenti con quanto richiesto all’agente di un Servizio informativo. Quando si potrà avere una formazione dedicata, sarà possibile trarre dalle fila dei Servizi anche i loro vertici, così da ottenere una direzione competente ed efficace dell’intelligence nazionale.

Cosa si dovrebbe fornire ai nostri servizi di sicurezza per far sì che siano al passo con le esigenze del Paese?

Posto quanto sostenuto ai punti precedenti, i nostri Servizi saranno completamente all’altezza della situazione quando saranno loro assegnate direttive specifiche, ben definite e coerenti nel tempo. Quando verranno informati dagli organi di governo di quelle che sono le linee operative generali stabilite. Quando si segnalerà loro i beni strategici da tutelare in modo assoluto. Quando si preciserà, in campo economico, i limiti di conoscenze a cui possono avere accesso nazioni o aziende straniere che operano con il nostro paese. In buona sostanza quando si vorrà considerare l’intelligence come parte non secondaria tra gli organismi con cui realizzare una gestione efficace delle istituzioni.

Attualmente i nostri servizi segreti sono in grado di fronteggiare la pressante minaccia del terrorismo islamico?

La minaccia rappresentata dal terrorismo islamista è convenientemente fronteggiato dalle forze di polizia italiane, che rappresentano un’eccellenza a livello europeo. Il contributo dei Servizi nazionali nel settore è ridotto, e per lo più è frutto della loro collaborazione con l’intelligence dei paesi amici. Per dire una parola significativa in questo ambito occorre una lunga tradizione informativa che si può creare esclusivamente attraverso un consistente reticolo di fonti, non solo umane ma anche strutturali, inserite nei territori di origine del fenomeno. E questo manca alla tradizione della nostra intelligence.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05