Ribellismo giovanile in Italia e Francia

Adoro il mondo adolescenziale, forse perché ne sono uscito solo in parte. Mi deliziano le peripezie sentimentali dei giovani della upper class di “Un giorno di pioggia a New York” di Woody Allen. Non trascuro mai di rivedere qualche scena dei “Goonies” o di “Small Soldiers”, per non parlare dei film di Steven Spielberg o di “Moonrise Kingdom-Una fuga d’amore” di Wes Anderson.

Devo però ammettere che quel mondo è oggi ripartito tra il romanticismo e lo spirito di avventura dei “Goonies”, divergente dalla dis-realtà degli smartphone e dal senso del giovane per l’horror. Metti una sera a vedere due film con un adolescente: io forse sceglierei “Il mago di Oz”. Temo che molti giovani sceglierebbero qualcosa di terrorizzante come il remake seriale di “Rosemary’s Baby”, oppure un film di violenza giovanile come “Mondocane”.

LE PEGGIO GIOVENTÙ… IN FRANCIA E ITALIA

Chi sono i giovani di oggi? Sono diversi dai giovani di ieri? In cosa? La forma che appare sui media è – ovviamente – ingigantita, ma anche occultata. I due esempi più eclatanti sono quelli della gioventù francese e italiana. Precisiamo che in entrambe le nazioni la stragrande parte dei ragazzi non è dedita a rivolte o a microcriminalità… La droga è sempre diffusa, ma è gestita meglio sia dai governi sia dalle famiglie e dagli stessi giovani. L’alcool è forse il rischio maggiore.

FRANCIA

Se parliamo di rivolte, dobbiamo partire dal giacobinismo della Francia di sempre, dove la sparizione dei partiti tradizionali di sinistra ha prodotto il radicalismo di Jean-Luc Mélenchon, fautore di un socialismo bolivarista, intransigente, proto-mussoliniano. Il rivendicazionismo è stato il testo (o il pre-testo) di due successive ondate insurrezionali: quella dei Gilet gialli (ottobre 2018) nata contro il rialzo dei prezzi di benzina e gas; e quella delle proteste della primavera di quest’anno contro la riforma delle pensioni.

Queste due forme di protesta sono state interpretate da adulti non organizzati – anche se supportati dai sindacati e da Mélenchon – ma sono stati i giovani a organizzare i blocchi stradali, gli incendi di auto, la distruzione di vetrine e bancomat, il lancio di pietre e bottiglie incendiarie contro le forze di polizia. Il terzo movimento che ha colpito duramente la Francia è la rivolta dei ragazzi di origine africana e nordafricana, dovuta all’uccisione da parte di un poliziotto del giovane Nahel Merzouk a Nanterre. La rivolta è ispirata a quelle statunitensi, da Watts nel 1965 a Los Angeles del 1992, fino al recente movimento Black Lives Matter (2013-2023), con scontri quasi sempre scatenati dall’intervento di forze di polizia ai danni di persone afroamericane, con omicidi a volte efferati, cui sono seguite settimane di rivolta distruttiva.

In Francia un’auto è stata lanciata contro l’abitazione del sindaco di L’Haÿ-les-Rose, vicino Parigi. La moglie e due figli sono stati feriti. Auto, bus e vetrine dati alle fiamme, saccheggi e oltre tremila arresti: questo il bilancio dell’insurrezione francese, che ha messo quasi in ginocchio il Governo e il presidente Emmanuel Macron.

ITALIA, LA VENERE DEGLI STRACCI DATA ALLE FIAMME

Il simbolo del ribellismo italiano è diverso dai giovani “casseurs” francesi e dalla guerriglia urbana contro la polizia. Non parleremo quindi di auto date alle fiamme in Place de la Concorde (nome paradossale!) a Parigi, ma della “La Venere degli Stracci”, opera dell’artista Michelangelo Pistoletto, inventore dell’Arte Povera. La Venere degli Stracci era stata piazzata da quindici giorni in piazza Municipio a Napoli. L’incendio, doloso, ha distrutto statua e stracci. Il sindaco di Napoli riporta la notizia che da giorni era in corso: una sfida social tra le baby gang del centro città, per vedere quale “banda” avrebbe vandalizzato per prima l’installazione. Anche se, al momento, la polizia ha fermato un sospettato: un senza fissa dimora di 32 anni.

Adesso che gli stracci sono volati in fumo, cerchiamo di capire perché in Italia il problema sociale è soprattutto quello delle baby gang, dagli alberi di Natale portati via o bruciati all’arte bruciata, fino ai continui pestaggi nelle località del turismo. Ma poi c’è il Grande Altro, cioè l’indifferenza totale che porta – a volte – fino alla reclusione volontaria.

GLI INDIFFERENTI, PERCHÉ

Umberto Galimberti si occupa da anni di disagio giovanile (vedi “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani”, 2008, Feltrinelli, 180 pagine). Il dito è puntato contro diversi fattori, a partire dalla sparizione del futuro che caratterizza la didattica e l’età della tecnica: sono i giovani, condannati all’insicurezza e allo scorrere della vita in terza persona. Un problema è l’assenza – fisica o culturale – dei genitori: quando i bambini hanno la fase dei “perché?”, fanno logica e filosofia. È il principio di causalità che si deve fare strada. Le madri devono rispondere ai perché, sennò i loro figli cresceranno muti. Se poi a scuola i genitori parlano male della maestra, il bambino non riuscirà a differenziare gli affetti.

Eppure, la scuola elementare italiana è la sesta al mondo, mentre la prima università italiana è al 167esimo posto. Se si parla male dei maestri, si crea scissione affettiva, e il rischio è di formare persone anaffettive. Dopo gli undici anni, le parole dei genitori diventano vane, ma prima sono fondamentali. Non puoi più parlare ai figli dopo gli undici anni, se non lo hai fatto prima di quella età. Se dopo arrivano solo dei giochi o dei regali, il dialogo è morto. Non solo tra genitori e figli, ma anche tra figli e il mondo.

Nelle scuole superiori entra in gioco la fase dell’erotismo, che ti obbliga inconsciamente a rivedere tutti i tuoi rapporti col mondo. La “forma” della relazione, anche a scuola o nel lavoro ha bisogno di questa traccia della “filìa”, di un rapporto che abbia forma passionale e amorosa. Lo studente deve imparare ad affascinare. Balle? Si pensi ai colloqui di lavoro.

Se manca la capacità di comunicare passione, nascono depressioni, arrivano gli insuccessi. O si abbandona il mondo e ci si rinchiude, oppure la forma di comunicare del giovane rischia di scivolare verso la violenza di gruppo. Se non hai ricevuto amore manifesto, la forma della tua vita scivolerà verso l’odio. Oppure, avrai solo da vendere la tua forza fisica (i maschi) o il proprio corpo (le femmine), con una regressione massima verso le società e culture vecchie di secoli, nonostante le keyword e le keypic ci dicano il contrario, dipingendo i maschi che si depilano e le donne che giocano a calcio. Ma non è “pubblicizzando una vita corretta” che si ottiene una vita reale e migliore. Il bene non si può imporre con la forza o con l’inganno pubblicitario.

Quindi, meno computer in classe e più relazioni umane. “Passare dall’istruzione all’educazione, che è il suo opposto, la forma emozionale del sapere”, dice Galimberti. Vedi il caso di Erika e Omar: il problema non si nasconde tanto nell’omicidio dei genitori, ma quando dopo il delitto vanno – come ogni giorno – al solito bar a bere la solita birra. Questa è la psico-apatia. Se il ragazzo non sa la differenza tra stuprare e corteggiare, è perso. Galimberti va nel carcere di Tortona per parlare coi ragazzi che buttavano sassi dal cavalcavia. Alla domanda “perché lo facevi?”, rispondevano “mah, era un gioco”. Non se ne rendevano conto.

I bambini si devono annoiare. Da piccoli, oggi, devono imparare l’inglese, il calcio, il pianoforte, la danza, l’informatica. Invece, dovrebbero avere il diritto di annoiarsi, perché la noia è il primo motore della creazione. Se hanno troppi stimoli esterni, come i videogiochi preconfezionati, non vanno più oltre loro stessi, fanno come i vecchi che non escono più di casa. Inventare un gioco è un motore di intelligenza. Per cambiare il mondo i giovani devono avere desideri ed essere una macchina desiderante. Altrimenti, crescendo, rischieranno di bere o peggio. Oppure, semplicemente si anestetizzeranno, dormendo fino a mezzogiorno. Ed ecco perché i giovani italiani sembrano indifferenti alle rivolte di piazza francesi, sia quando hanno avuto un percorso familiare e scolastico positivo, sia quando – essendo scivolati nei bassifondi sociali e social – sono solleticati dalle baby gang, in quanto unica forma culturale a portata di mano.

ALBERT CAMUS

Ne “L’uomo in rivoltaAlbert Camus traccia la rotta di una navigazione nelle tempeste nell’odio. Le prime parole di questo saggio, nato seguendo le tracce della “sporca guerra” della decolonizzazione franco-algerina, sono lapalissiane: “Quali sono i tratti di un uomo che si rivolta? Quelli di un una persona che dice No. (…) Uno schiavo che ha ricevuto ordini per tutta la vita, a un certo punto giudica inaccettabile l’ennesimo comando”. E allora esplode come una bomba vivente, alla maniera degli integralisti islamici. La rivolta riguarda, quindi, il concetto di un “limite” di sopportazione oltrepassato per Camus?

Sarebbe una bagatella catto-com, il che è l’opposto dell’uomo rivoltato (nel doppio senso di “ribelle” e “messo a nudo”), che è l’anima del libro. La ribellione, infatti, pone la questione del “Tutto o Niente”, come avviene con le rivolte giacobine. L’Illuminismo desacralizza il mondo e produce Robespierre, l’insurrezione diventa totale, una forza collettiva e non più individuale che nega il potere.

Il Romanticismo fonda il culto del personaggio: Napoleone, i poeti inglesi che combattono per la libertà della Grecia. L’eroe romantico è però anche un dandy, uno che – secondo Charles Baudelaire – ama “vivere e morire davanti a uno specchio”. Ma qual è lo Specchio Assoluto nella società dei media universali? Lo specchio è il pubblico. Sappiamo quanto i tiranni del Novecento, fino all’attuale despota nord-coreano, si facessero belli con la massa-specchio. Sappiamo bene anche quanto – passando dal beau geste al mauvais geste del terrorista di Al Qaida – sia poi toccato alla gente comune cercare gloria con un gesto eclatante. L’eternizzazione dura un solo giorno nell’età dei media totali, ma non cambia nulla, se la Piazza Rossa è sostituita dalla tastiera del computer del signor Rossi, e se “we can be heroes just for one day” come nella pop-song di David Bowie, ripresa dalla serie televisiva Stranger Things.

Tornando al ribelle di Camus, egli non vuole costruire nulla: avendo desacralizzato il mondo, prende a modello la natura e la diabolica – perché distruttrice – legge della giungla. Il ribelle delle banlieue francesi vuole distruggere, non pensa a costruire una realtà diversa e migliore. È un nichilista ed è soprattutto un luddista. Il luddista non è il “proletariato organizzato” di Karl Marx e Lenin, è un uomo-massa disorganizzato e in fuga perenne, che ama distruggere i simboli del potere (la fine delle religioni ha portato alla santificazione della realtà in quanto simbolo).

Siamo vicini all’Ivan Karamazov che vuole difendere gli uomini, perché la creazione li ha condannati – da innocenti – alla morte universale. Karamazov rovescia la religione: è lui che giudica Dio, non il contrario. Albert Camus sintetizza questo in una frase: “La rivolta vuole tutto o non vuole niente”. Vedremo cosa ciò significhi nelle rivolte francesi e nella non-rivolta di massa italiana. E ancora: “Se vivere implica l’agire, agire in nome di cosa, se non c’è immortalità, né ricompensa né punizione, né bene né male?”. Quindi neanche la morale e l’etica possono sostituire le religioni. Pertanto, se ogni principio è un fuoco fatuo, allora “tutto è permesso”.

Aggiornato il 13 luglio 2023 alle ore 11:55