Burrasca di fine estate, la mala educación sul clima

Aiuto! La temperatura salirà fino a trasformare le città in forni a microonde. È quanto grossomodo ci dicono stampa e tivù ogni giorno. Nulla di nuovo sotto il cielo: il clima è sempre cambiato, con cicli che vanno da glaciazioni grandi e piccole fino al riscaldamento globale (o locale). Nell’Antica Roma il clima era equivalente a quello di questi anni, per dire.

Si può fare qualcosa? Certamente si può agire, soprattutto a livello delle grandi concentrazioni urbane: nelle città sarebbe utile impiantare alberi ovunque sia possibile, per abbassare il caldo dovuto ad asfalto e cementificazioni. Occorrerà, però, cambiare registro: smettiamo di plantumare alberi di cartone per poi poter dire a gran voce “quanto siamo bravi!” Fanno così i sindaci eredi del totalitarismo catto-fascio-sovietico, i peggiori farisei e Gattopardi del mondo.

Perché dico di non plantumare alberi “di cartone”? Come mai così tanti alberi cadono nelle città più congestionate come Milano e Roma? Perché vengono piantati senza che intorno al tronco ci sia un minimo di terra, così che l’acqua penetri e vada sulle radici senza ristagnarvi e farle marcire. Inoltre, i pini domestici spesso cadono senza preavviso o quasi, e le palme non producono ombra.

Il problema del cambiamento climatico è che la comunicazione al riguardo è orribile: tutti sono interessati a non rovinarsi l’auto per una grandinata da downburst. È quindi “normale” leggere un giornale dove ti spiegano cosa fare contro la grandine sul Suv domestico: il clima si vende bene, a livello di condizionatori come per un click o una copia di giornale in più.

Con questi chiari di luna il “cambiamento climatico” è diventato una forma del dopo “morte di Dio”, cioè una nuova forma di religione (pagana, quindi retrocessiva e non progressiva), con una modalità così integralista da ricordare gli eccessi del “Politicamente corretto”, del “Salvare il pianeta” e del culto laico a “Madre Natura”, per non parlare dell’animalismo con tanto di genitorialità per il cane di casa, e di una visione della natura in cui la Walt Disney Corporation è diventata il sostituto della Legge della Giungla, secondo la quale il lupo assalta pecore e caprioli, gli orsi sono animali pericolosi e non vanno confusi coi peluche da mettere sul cuscino del pargolo, e i branchi di cani selvatici attaccano le persone. Quest’estate un paio di grandi cani fuggiti da una fattoria sono andati, vagando affamati, nel paesino dove eravamo ospiti, uccidendo in pochi giorni alcuni caprioli e gatti, e provandosi ad attaccare anche noi umani, prima di essere riportati nel loro recinto dai carabinieri forestali.

Riguardo al “ciclonePoppea, che è transitato nel Regno Unito sotto il più casto aggettivo di “tempesta”, La Repubblica del 26 agosto scorso esercitava le sue arti allarmistiche. Il primo paragrafo già si spingeva iperbolicamente a definire il già eccessivo “ciclone” come possibile “uragano mediterraneo”. Più sotto si scrive di possibili “tornado”. Insomma, tutta un’aggettivazione iperbolica, volta ad attirare il lettore e indurlo a comprare come minimo uno scafandro antiatomico per l’auto di famiglia.

Il massimo del disastro doveva capitare sulla costa della Riviera ligure di Levante dove, al momento in cui scriviamo, c’è stato solo un tozzo di pioggia di una ventina di minuti l’altro giorno, e un paio di ore di acquazzone ieri (con 15 minuti di pioggia forte). Di notte e di mattina intensi fulmini sul mare, ma niente di che, neanche una interruzione di corrente elettrica. A Genova, una città in cui i problemi infrastrutturali sono maggiori, si è allagata la stazione Brignole, il tutto comunque era nella “norma” (nel clima nulla è “normale”): una ondata di maltempo di fine estate, in cui le tempeste elettriche e le piogge a secchiate servono a riconciliare il cielo con la terra, non tanto dal punto di vista evangelico, quanto dal punto di vista elettrico e di temperatura.

Insomma, piove, c’è vento, può grandinare ma si tratta alla fine della consueta (siamo diventati i più dimenticoni della Storia umana!) burrasca di fine estate, che ai tempi non diventava una tragedia greca, a prescindere dalla quantità di pioggia, vento, grandine. Ripeto: consueta burrasca di fine estate. Anzi: quand’ero ragazzo, tra fine agosto e novembre, nella città dove abitavo c’erano le “consuete alluvioni, poi qualcosa è stato fatto, almeno qui, e non ci sono più state alluvioni.

Anche dopo le recenti esondazioni in Emilia e Romagna si dovrebbe intervenire nelle opere a terra, invece di chiamare geologi-giornalisti o nuove fattucchiere per cercare di intervenire nelle “cose del cielo”. Io i giornalisti che infilano il terrore climatico in ogni peto di articolo financo calcistico non li reggo più: non si fa la gallina climatica per un tozzo di approvazione del direttore “progressista”. Si ragiona seriamente e si lascia alla scienza il “problem solving”, senza infarcirla con i funghetti politici della climatologia da climaterio, e senza fingere di essere dei profeti Isaia o Ezechiele. Il caldo aumenta? Lavoriamoci su ma, quando si lavora seriamente, si tiene l’acqua in bocca e il fuoco sulle braccia che zappano, non si starnazza creando – per giunta – la reazione complottista del “il cambiamento climatico è tutto un trucco per obbligarci a comprare auto elettriche, pompe di calore, rifugi anti-uragani da 500 chilometri orari”.

Forse, sarebbe bene eliminare il gigantismo delle notizie e diventare dei piccoli lillipuziani del fare. I giornalisti, però, continuano a fare la danza della pioggia e così rimbecilliscono ancor di più le masse nutrite a colpi di documentari Discovery. Il clima è una questione seria, smettiamo di trasformarla in una pochade, una farsa da pecoreccio all’italiana.

Aggiornato il 29 agosto 2023 alle ore 10:49