Aristocrazia dello spirito ego-altruistico

Vi è un “argomento” che sfoderiamo quando compariamo le nostre società, le nostre civiltà con le società, le civiltà non democratiche, non liberali quali noi saremmo e siamo. In effetti. Siamo liberi ossia con ampio circuito di scelte. Non abbiamo angustie religiose, gli svolgimenti ideologici, variati, non escludiamo anzi includiamo, queste le caratteristiche declamate da noi per noi. Ed è la verità. Dunque perché criticarci, scontentarci, se confrontati ad altre società, ad altre civiltà non attuiamo niente di peggiore, anzi qualcosa o molto di meglio? In effetti, con chi confrontarci e giudicarci difettivi? La totalitaria Cina? L’autoritaria Russia? L’integralismo fanatico dell’Iran? La desolazione africana ed asiatica dove ampiamente sopravvivere è una difficile riuscita? In fondo noi otteniamo un certo benessere, possibilità di scelte, scarso o minimo fanatismo. Eppure. Già, vi è un “eppure”. “Sentiamo” che il futuro non ci avvantaggerà, sentiamo che scemeremo di popolazione, sentiamo che ci altereremo, sentiamo che natura, cultura, arte si debilitano, che la libertà non incarna qualità, che non abbiamo simboli, che non ammiriamo l’espressione, che domina la comunicazione, che la scienza, la tecnica, grandiosamente utili e inventive, investigative possono eliminare l’umanesimo, l’interiorità e renderci adoratori dell’efficacia.

Sentiamo addirittura che l’uomo può tramontare. Lo sentiamo noi perché siamo avanti agli altri. Il cinese è orgoglioso di aver ottenuto la sopravvivenza, il russo di non essere conquistato, l’iraniano di non contaminarsi con gli “infedeli”, noi tali situazioni le abbiamo “superate”, appunto per questo il nostro futuro è notturno se non ritroviamo un ideale vibrante. Ritengo che bisogna ripristinare l’essenza dell’Occidente, l’arte, certo, nella sfera della passione di colmarci di vita, un vincolo vita-arte al modo greco, romano e cattolico, in quanto il cattolicesimo, non il cristianesimo, eredita la civiltà estetica greco-romana. Al dunque, occorre rifarci pedagoghi e stabilire il nostro ideale di “uomo”, oggi e domani, perché l’uomo tende a perire. Non è drammatizzazione nichilista, è realismo. La civiltà simbolico-sacrale è inesistente, la realtà inespressiva fa mostra vacua di sé, una marea prolissa parolaia sonora di1uvia la comunicazione, certo, viva la facoltà di parlare, cantare, suonare, ma il grado di tanta diffusione sommerge la società anche perché cerca e trova alleanza con il “pubblico”. Ecco il precipizio, che la comunicazione si allea con il maggior pubblico, livellandosi a questo ricevente. Il resto, viene espiantato, anzi, peggio, cerca a sua volta di adeguarsi. È la fine, la cultura, l’arte vanno incontro al “pubblico”. Se dovessi rendere una fenomenologia della aberrazione oltrepasseremmo l’orrore. Interrompere una Sinfonia per una reclamizzazione, insiemare canzonacce mal cantate a cantanti degni e pezzi di qualità, sfacciatamente falsare con mezzi meccanici le voci di persone che nettamente non eseguono ma sono registrate, non dico le regie specie nell’Opera lirica.

Siamo in pugno a registi che credono di farsi originali scopritori di segrete intenzioni degli autori attualizzando, mutando epoca, perfino recitendo o immettendo. Non si considera con la stessa attenzione del passato quel che realmente è accaduto nel mutare dalle aristocratiche società artigianali alla società borghese industriale. La società aristocratica era piuttosto chiusa e non aveva come interlocuzione soggetti fuori di se stessa, c’era il popolo, condizionato, diretto dalla aristocrazia. Nel sistema produttivo borghese il prodotto, diciamo, appunto, è diffuso alle masse, l’interlocuzione è tra borghesia produttiva e acquirenti di prodotti in serie per moltissimi, questo sconvolge i riferimenti qualitativi, con un duplice tentativo di finalizzazione prospettica. Coloro i quali hanno cercato di combattere la vendita al ribasso della civiltà e coloro i quali invece hanno creduto il popolo, anzi il proletariato rinnovativo della civiltà superiore. Fascismo e nazismo appartengono alla mentalità che riteneva possibile mantenere la grande civiltà traendo, guidando, dominando il popolo volgendolo alle finalità dei capi con idealizzazioni supreme, la razza eletta, il gloriosissimo passato; mentre il comunismo credeva che il proletariato fosse il soggetto della futura trazione dal basso verso l’alto. Hanno fallito entrambi ed in maniera negativissima, il fascismo ed il nazismo ritenendo che la vittoria sugli altri popoli fosse la condizione della rigenerata civiltà, oltretutto senza libertà per il proprio popolo, la civiltà imposta dall’alto diventava dominio, mentre il comunismo a sua volta ritenendo che eliminando borghesia e aristocrazia il proletariato avrebbe suscitato la nuova civiltà non ha dato che una società asservita e un’arte condiscendente verso il proletariato, con qualche eccezione. In ogni modo la negazione della libertà sarebbe già stata orrenda.

Tuttavia i sistemi democratici liberali non colsero e non colgono che l’uomo ha bisogno di simboli, “illusioni”, ideali sfarzosi, aristocrazie di qualità se non di casta, non può ridursi alla nuda vendita di prodotti i più largamente consumabili addirittura in campo artistico culturale fondando lo spaccio sulla comunicazione come ampiamente ho scritto. Questo squallidisce la società, come livello di civiltà. E bene insistere. La società non può ridursi alla compravendita diffusa, e trasferire la fantasia nella reclamizzazione. Incredibile, ormai la creatività della fantasia siede nelle trovate reclamistiche. E nella capacità di suscitare vendita. È necessario ripristinare, rifondare la civiltà classica, non sostitutiva della tecnica e della scienza, impossibile e dannoso ma come referente qualitativo umanistico interiore espressivo estetico. Se combiniamo umanesimo, scienza, tecnica, avremo civiltà, altrimenti resteremo nella comunicazione reclamizzata a scopo di vendita alla svendita dell’interiorità espressive. La sovrastruttura: arte, e filosofia, religione non sono forme vacue, non esiste una struttura fondamentale, quella economica, che può essere rivestita soltanto di reclamizzazione comunicativa! Arte, religione, filosofia sono coessenziali alla cosiddetta struttura. Questo argomentare sembra passatista. Ma non bisogna cedere. Tenere fisso il pensiero, lo scopo: tutto ciò che è in alto dura ed innalza. In fondo l’aristocrazia (dello spirito) è il modo più generoso di dare agli altri ciò che apparentemente si dava a sé. Nello sforzo di elevarsi, eleva! È il paradosso dello spirito aristocratico, pefeziona se stesso e sembra egoismo, ma dà agli altri le sue conquiste. Tutto ciò che vedi eterno esiste viene da questo egoismo altruistico. Aristocrazia democratica.

Aggiornato il 12 gennaio 2024 alle ore 14:46