Il pogrom dimenticato di Baghdad

Il 30 maggio 1941 le forze anglo americane stanno ormai conquistando l’Iraq sottraendolo ai golpisti dello zio di Saddam, e suo padre spirituale e alla influenza dei nazisti. 

Rashid Ali Kailani e il Gran Muftì di Gerusalemme, quest’ultimo con le sue centinaia di seguaci, fuggirono a Teheran, approfittando della copertura diplomatica dei convogli organizzati dagli ambasciatori tedesco e italiano. 

Haj Amin al Husseini si salvò grazie a un passaporto diplomatico prosaicamente intestato al signor Rossi Giuseppe. Prima di abbandonare Baghdad, però, i militari golpisti, tra cui anche Adnan Khayrallah, zio e padre spirituale di Saddam Hussein, ordinarono un pogrom nel quartiere ebraico. Questo il ricordo di una ebrea di Baghdad, Barbara (raccolta dal sito e pagina facebook “Focus on Israel”) testimone di quella giornata in cui almeno seicento suoi correligionari persero la vita.

«A Baghdad c’erano quattro club per gli ebrei: il Rashid, lo Zawra, il Rafidain e il Laura Kadoorie e c’era anche un club misto di arabi ed ebrei, nella zona di Mansour, dove si giocava a Bingo, si nuotava, c’erano le “notti orientali”, feste, musica. A marzo e aprile le ragazze si facevano collane di fiori d’arancio e la città ne profumava. Frequentavamo la società araba, ci sentivamo iracheni come loro, a casa parlavamo l’arabo e avevamo molti usi in comune, per esempio quello che le mogli non chiamavano mai i mariti per nome, ma “eben ammy”, il figlio di mio suocero, o “abu flan”, il padre del figlio maggiore [...]».

Contrariamente a quanto affermano, a giorni alterni, alcuni esperti dell’estremismo islamically correct o del fallacianesimo in sedicesimo non è affatto vero che ebrei e arabi non siano mai andati d’accordo a quelle latitudini né che sia colpa della nascita dello stato di Israele per questo stato di cose. Le cose, come dimostra questo aneddoto quasi dimenticato della seconda guerra mondiale, stanno in maniera tragicamente più semplice: l’odio anti ebraico è stato scientificamente instillato dall’alto, magari usando la religione come arma contundente, dai capi dei popoli arabi che ieri stavano con i nazisti e in seguito sarebbero stati con il Patto di Varsavia. Insomma sempre dalla parte sbagliata.

Ecco come continua il racconto del pogrom l’anonima ebrea che sopravvisse alla strage: «A fine maggio del 1941, Rashid Ali Kailani e gli ufficiali scapparono in Iran, l’esercito iracheno si arrese senza condizioni agli inglesi e al Palmach - la brigata ebraica che ha combattuto al fianco degli inglesi - e si ritirò distrutto. Gli inglesi ebbero la meglio e marciarono verso Baghdad; corse voce che il piccolo re e il reggente fossero tornati e che si sarebbe formato un governo filoinglese. 

Noi ebrei tirammo un sospiro di sollievo. Di colpo, una sera di giugno, il primo giorno di Shavuot, sentimmo degli spari, le radio e le telecomunicazioni erano state distrutte dalla Roval Force. Gli arabi attaccarono i quartieri ebraici di Baghdad, centinaia di ebrei furono uccisi, tirati giù dagli autobus, accoltellati da giovani armati e lasciati morire dissanguati per la strada, migliaia di case e negozi saccheggiati. II pogrom durò quarantotto ore, gli omicidi avvennero quasi tutti nella notte, i saccheggi il giorno dopo. Sentii con le mie orecchie i musulmani gridare: “Farhood, farhood-intissar al Islam ala el Yeehod!” (Saccheggiate, saccheggiate, è la vittoria dei musulmani sugli ebrei!). 

L’unica via di fuga era salire sul tetto.Tremo ancora al ricordo delle terribili scene della popolazione terrorizzata che salta da una terrazza all’altra scappando. Hitler - possano il suo nome e il suo ricordo essere spazzati via - era al culmine del suo trionfo».

La quasi anonima  sopravvissuta che ha affidato alla rete questo ricordo si chiama Barbara e conclude così la propria testimonianza: «Aggiungo che durante i due giorni e due notti di massacro l’esercito inglese, accampato alla periferia di Baghdad, non ha mosso un dito per impedirlo o fermarlo (ricorda qualcosa?), ma nessuno si è mai sognato di accusare l’esercito inglese, o il suo comandante, o la Gran Bretagna, o il suo ministro della difesa, di crimini contro l’umanità.  

Aggiungo, per chi dovesse avere qualche problema di memoria, che questo massacro, così come tanti altri che lo avevano preceduto e tanti altri ancora che lo hanno seguito, non era una “legittima e comprensibile reazione” alle “infamie” commesse dallo stato di Israele, perché lo stato di Israele non c’era. 

Aggiungo - e concludo - che nel 1941 gli ebrei iracheni, presenti nell’area da circa due millenni e mezzo, ossia almeno un millennio prima degli arabi, erano circa 150.000; nel 1948 erano circa 135.000; nel 2001 ne erano rimasti circa 200. Oggi ce ne sono sette a Baghdad, meno di 100 in tutto l’Iraq. Perché Hitler è vivo e lotta insieme a loro, con il fattivo aiuto e l’entusiastico tifo di milioni di euroarabi».

Ecco talvolta, aggiunge chi scrive, visto che i media danno su Israele, sulla sua nascita, sulle presunte angherie subite dal mondo arabo e dall’islam, la versione falsificata della storia che si può forse capire sui libri di testo scolastici dell’Anp ma non su quelli europei, inglesi o americani, le testimonianze di chi la storia l’ha vissuta in prima persona ma non ha trovato orecchie disposte ad ascoltarla diventano più preziose delle specie animali o vegetali in via di estinzione.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:35