Arnaldo, il fratello cattolico del Duce

Furono davvero pochi gli uomini di cui Benito Mussolini riuscì a fidarsi ciecamente. Fra questi pochi eletti un posto d’onore va dedicato a suo fratello minore Arnaldo Mussolini, anima cattolica che, con discrezione e costanza, accompagnò, consigliò e spesso stemperò il carattere vulcanico del dittatore fascista. 

Entrambi i fratelli Mussolini vennero influenzati dalle idee politiche del padre Alessandro, fabbro ferraio romagnolo con la passione per il socialismo anarchico. I due giovani, sommersi da riviste e libri profetizzanti le idee di Marx, non poterono evitare la contaminazione derivante dalle idee paterne. Ma, mentre Benito in piena adesione con il padre, sviluppò, insieme al credo socialista, un’aperta avversione per il clero e i suoi rappresentanti raggiungendo spesso venature di ateismo, Arnaldo subì anche l’influenza della mamma Rosa Maltoni, maestra elementare e profonda cattolica, proveniente da una famiglia d’estrazione borghese. 

La fede di Arnaldo si fortificò proprio grazie alla madre che seppe mitigare l’influenza socialista proveniente dal marito. Arnaldo, sin dalla prima giovinezza, si fece notare per il carattere formato da una giusta miscela di fierezza e umiltà, che ne caratterizzerà l’azione e l’operato anche negli anni a venire, quando, vicino al più famoso fratello e in qualità di direttore de Il Popolo d’Italia, principale organo di stampa fascista, si prodigò affinché il capo del fascismo potesse sempre contare su di lui e sul suo idealismo praticato attraverso la costanza dell’impegno e la moderazione, ma senza mai rinunciare all’affermazione di quei valori mistici che il più piccolo dei fratelli Mussolini desiderava ardentemente applicati nell’uomo fascista. 

Si mostrò critico verso il lassismo, la furbizia e tutti quei “vizietti” italici che, a suo dire, allontanavano l’italiano moderno dal Cives, il cittadino romano visto come paradigma della tradizione storica nostrana. Desiderava per il fascismo ciò che la Rivoluzione francese rappresentava e rappresenta ancora oggi per il popolo francese, un mito sul quale sono state costruite le nuove aspirazioni nazionali d’oltralpe. 

Dopo gli inizi dedicati all’insegnamento arrivò per lui l’esperienza giornalistica e la promozione di diverse esperienze editoriali che misero in luce la sua profonda convinzione ideologica. Cercò di contribuire alla creazione dell’italiano nuovo attraverso il sostegno culturale e ideale alla scuola di mistica fascista di Niccolò Giani, scuola che nacque nella primavera del 1930, sotto la supervisione dello stesso Arnaldo Mussolini e alla presenza del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. 

Fra gli insegnamenti di punta c’era anche la possibile unione tra fede e politica, viste dal fascista cattolico Arnaldo come elementi connaturati nel fascismo stesso. Nella visione mistica di Arnaldo il cattolicesimo e il fascismo non erano in antitesi ma potevano e dovevano coesistere. D’altronde, la sua idea di far convivere fede e fascismo, si era già compiuta attraverso l’impegno diplomatico che egli profuse per portare lo Stato italiano e la Chiesa di Roma verso la firma, l’11 febbraio 1929, dei Patti Lateranensi. 

L’azione esercitata sul fratello Benito affinché facesse un passo politico e sociale importante verso la Santa Sede non si potrebbe comprendere, da un punto di vista squisitamente storico, senza tener conto dello spirito religioso che albergava in Arnaldo. Quello stesso spirito, che non era presente nel fratello maggiore, risultò determinante per la creazione del nuovo storico rapporto con la Chiesa, per il fascismo e soprattutto per l’ex “mangiapreti” Benito Mussolini che, addirittura, poco dopo la firma dei Patti Lateranensi venne definito da Papa Pio XI “l’uomo della Provvidenza” per aver riconsegnato «Dio all’Italia e l’Italia a Dio». 

Mentre Arnaldo si rallegrò per il successo diplomatico ottenuto e il Popolo d’Italia usciva con l’eloquente titolo d’apertura «Una grande vittoria politica e spirituale del Regime», i liberali e alcuni fascisti, in disaccordo con il duce per le troppe concessioni fatte al Vaticano, protestarono vivacemente per la firma dei patti, anche se, in conclusione, l’unico vero discorso contro l’accordo tra Stato e Chiesa fu quello fatto da Benedetto Croce nell’aula del Senato. 

Benito Mussolini, per non inimicarsi l’ala più intransigente del suo partito e per mostrare agli italiani che, in realtà, l’accordo con la Chiesa non era stato una débâcle totale per il regime, il 13 maggio 1929, tenne un discorso alla Camera molto duro nei confronti della Chiesa cattolica romana, nel quale sottolineò la totale sottomissione della stessa allo Stato italiano, inasprendo così i rapporti con il Vaticano. Di conseguenza, nel periodo successivo al raggiungimento di regolari relazioni bilaterali tra Santa Sede e Stato italiano, Arnaldo Mussolini si trovò di nuovo a svolgere un ruolo conciliante tra regime e Chiesa. Ruolo che divenne decisivo quando si trattò di raffreddare gli animi che, nel 1931, si erano improvvisamente infiammati in seguito alle divergenze riguardanti l’educazione dei giovani. 

Proprio in questi momenti storici, la fede cattolica di Arnaldo Mussolini e la sua adesione ai principi della mistica fascista trovarono una compenetrazione che sfociò in un’indiscussa capacità di convincimento esercitata abilmente verso quegli ambienti vaticani più propensi a stemperare la lite “formativo-pedagogica” sui giovani, che non pochi fastidi  aveva creato al duce e al fascismo più intransigente. L’interessamento del cattolico Arnaldo permise il raggiungimento di un compromesso tra Chiesa romana e Stato italiano attraverso il quale, i giovani cattolici, ottennero la possibilità di riunirsi ed organizzarsi all’interno della sola Azione Cattolica, senza però svolgere nessun tipo di attività politica. Una circolare datata 16 settembre 1931 divulgò il contenuto degli accordi raggiunti dal regime con lo Stato del Vaticano e, in qualche modo, sancì un altro successo diplomatico di Arnaldo Mussolini e della sua capacità d’azione politica. L’attività di supporto di Arnaldo Mussolini verso il fratello maggiore non si limitò ai consigli e alle indicazione per una miglior comprensione dei benefici derivanti da un buon rapporto con la Santa Sede, ma si allargò anche verso “operazioni” per certi versi ancor più spinose e potenzialmente destabilizzanti per il capo del regime, come, ad esempio, il caso di Ida Dalser, donna trentina che, nell’autunno del 1914, avrebbe sposato il futuro capo fascista Benito Mussolini donandogli anche un figlio: Benito Albino.

La documentazione ufficiale non ha mai chiarito del tutto se il matrimonio tra Ida e Benito sia stato realmente celebrato ma, l’11 gennaio 1916, la Dalser riuscì ad ottenere da Mussolini il riconoscimento del figlio presso il notaio Buffoli di Milano. Successivamente, dopo alcuni tentativi del futuro duce per strappare il figlio alla donna trentina, la questione finì in tribunale dove Mussolini venne riconosciuto innocente dall’accusa di seduzione ma condannato al pagamento di 200 lire mensili da corrispondere all’ex amante, mentre Benito Albino, frutto di questo tormentato rapporto d’amore restò con la madre. La difficile situazione personale, dai possibili risvolti politici, costrinse il capo fascista a delegare al fidato Arnaldo anche questa delicata questione personale. Il fratello del duce prese in mano la situazione arrivando a far corrispondere alla donna e a suo figlio un’importante cifra economica per mettere a tacere le insistenze della Dalser, che rivendicava fortemente per il figlio la possibilità di fruire del cognome del celebre padre. I soldi ricevuti solo apparentemente calmarono la trentina di Sopramonte, piccolo centro vicino Trento. Infatti, la situazione degenerò e, con il consolidarsi del regime, la vita per la Dalser si fece sempre più difficile sin quando, lo stesso Arnaldo Mussolini, la fece dichiarare incapace di intendere e di volere strappandole in maniera definitiva il controllo legale su Benito Albino.

Ida venne ricoverata in manicomio, mentre Arnaldo, forse su ordine del fratello o forse soltanto per affetto personale verso il ragazzo, continuò a trattare nel miglior modo possibile il nipote. Per quest’ultimo però, l’improvvisa morte per arresto cardiaco di Arnaldo Mussolini avvenuta il 21 dicembre 1931, significò l’internamento in manicomio, dove morì nel 1942. La fine prematura del fratello minore lasciò il duce solo, senza più l’unica presenza in grado di guidarlo anche e soprattutto nelle scelte più spinose. Con Arnaldo Mussolini si spense, forse, anche l’ultima personalità in grado di evitare il successivo tracollo del regime e la sua deriva teutonica.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:09