Cambogia, l’ultima   fatica di Idling

Dopo l’eccellente “Il sorriso di Pol Pot“, Peter Idling torna in Cambogia con “Canto della tempesta che verrà” (Iperborea, Milano, 2014). Lo scrittore svedese ci porta venti anni prima della presa del potere da parte dei Khmer rossi, e ci racconta un mese cruciale della vita del paese asiatico, subito dopo l’affrancamento dal dominio coloniale francese, quando il popolo cambogiano si trova ad affrontare le prime elezioni democratiche. Ciò che sorprende in questo libro sono i protagonisti, su ci spicca la figura di Saloth Sar, giovane rivoluzionario che collabora in apparenza con il partito democratico, ma che lavora, nella segretezza della sua organizzazione, per la rivoluzione. Proprio a lui lo scrittore si rivolge direttamente, dandogli del tu, come se volesse raccontargli la sua vita, svelandogli perfino aspetti che lui stesso non conosce, o intenzionalmente ignora.

Quel giovane Saloth Sar diverrà qualche anno più tardi il tristemente noto Pol Pot, responsabile di uno dei peggiori genocidi del XX Secolo. Insieme a lui, tessono le trame di una storia che sarebbe potuta essere vera, Sary, politico in erba di insaziabile desiderio di potere, e infine Somaly, bellissima ragazza divisa fra l’amore dei due ambiziosi giovani connazionali, e le tentazioni borghesi delle alte sfere della società cambogiana. Idling ci riporta in una Phnom Penh di metà anni cinquanta, immersa nella cultura e nel retaggio degli appena scacciati colonizzatori, in mezzo a un popolo che, frastornato dalla novità di una realtà politica alla quale non è abituato, deve scegliere il proprio futuro.

I grandi uomini del tempo ci sono tutti, dai fratelli Lon Nol e Lon Non, uomini forti dell’esercito, all’imprevedibile e stravagante principe Sihanouk, e sono loro che, autenticamente ricostruiti, danno al racconto quel suo sapore di attendibilità e verosimiglianza. I tre protagonisti di questa storia ci mostrano quanto essa, per dettagli, piccolezze e casi fortuiti, avrebbe potuto prendere una strada diversa, e non piombare nell’incubo polpottiano che dopo vent’anni avrebbe tragicamente segnato la storia della Cambogia.

Proprio questo è l’aspetto di “Canto della tempesta che verrà” che maggiormente turba il lettore, la constatazione di quanto variabili siano i cammini che la storia intraprende, e quanto i mostri che avrebbero poi sconvolto il mondo, siano stati nella loro giovinezza esseri normali, vittime delle proprie umane passioni, di amori e gelosie personali, di tutti quei piccoli e meschini sentimenti che la rivoluzione dei Khmer Rossi avrebbe messo fuori legge, nel tentativo folle e sanguinario di eliminare gli individui per far muovere il paese come una sola, inumana, creatura, refrattaria agli istinti più propri dell’uomo.

Proprio in virtù di tali emozioni, i nostri protagonisti avrebbero potuto instradarsi su sentieri diversi, e conseguentemente avrebbero potuto cambiare il corso della triste storia della Cambogia, e forse di tutto il Sudest asiatico. Con un linguaggio forbito, anche se a volte in eccedenza ridondante e ricercato, Peter Idling, che ben conosce la fragilità e l’inafferrabilità dei processi della storia, illustra con grande slancio una vicenda che non si preoccupa troppo della propria accuratezza e veridicità storiche, in quanto sono temi che volutamente lascia al di fuori della sua narrazione. Quanto veramente importa in “Canto della tempesta che verrà” non è l’accaduto, ma ciò che sarebbe potuto accadere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33