Il cuore primitivo   di Andrea De Carlo

Ivo aveva un cuore primitivo. Ma Ivo un cuore lo aveva, anche se magari non era istruito e faceva il costruttore. “Cuore primitivo” è il titolo dell'ultimo romanzo di Andrea De Carlo, pubblicato da Bompiani. Ricordavo Andrea De Carlo per aver letto un suo romanzo, ormai credo almeno quindici anni fa: “Di noi tre”. Ricordo che mi era piaciuto, anche se a tratti era malinconico. E' così che decido di andare alla conferenza stampa che lo vede protagonista, a Pordenone, in una kermesse del libro che non amo particolarmente. Ma tant'è.

Andrea De Carlo mi piace. E' sorridente, a volte anche eccessivamente, ma non lo fa per ingraziarsi noi giornalisti che riempiamo la sala stampa. Si nota che trasuda di entusiasmo ed il suo “Quando scrivo ho bisogno di sognare, di vivere una dimensione irreale, di distacco” si nota che è sincero. Si comprende che quella dimensione lui la vive davvero. O, al massimo, è un bravo dissimulatore. La copertina del suo ultimo romanzo mi piace molto: c'è un cuore, pulsante, rosso, primitivo, come dice lui. Primitivo come Ivo, appunto, il costruttore protagonista del romanzo assieme a Craig – antropologo inglese razionalissimo – e Mara, scultrice di grandi gatte di pietra, sognatrice, istintuale. Gli chiedo se Mara rappresenti un po' il mito della Donna Selvaggia.

L'autore mi risponde di sì, che lei stessa ama sottolineare che lei è scultrice non di gatti, ma di gatte. Che attraverso le sue opere esprime quella rabbiosità tipica di chi vuole liberare la sua femminilità da aspetti che la rendono oppressa. La razionalità di Craig, in questo senso. Ma non solo, forse. Mara – prosegue Andrea De Carlo – parla per onomatopee e si lascia dominare dagli istinti; Ivo non usa i congiuntivi e forse è istinto puro; Craig invece razionalizza tutto e dagli istinti non si lascia proprio dominare. Un triangolo curioso attraverso cui l'autore esprime un po' i vari aspetti di sé stesso, un po' l'anima delle persone di oggi, alle prese con nuove pulsioni e sentimenti.

Alla fine della conferenza non manca una critica alla televisione, o, meglio, alla Rai: politicizzata, specchio dell'Italia, burocratica. Forse, penso io, anche di questo pecca la nostra cultura: di primitività, di istinti, è preda della ragione. Di uno Stato morto e sepolto. Di un'anima che stenta a rinascere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33