Ellroy, violentemente corretto per niente sbagliato

Come per il cinema di Clint Eastwood, c’è un riconoscimento generale per la grande letteratura americana, impersonata da Lee Earle Ellroy. Ancor più dell’attore divenuto regista, lo scrittore californiano appartiene dichiaratamente, provocatoriamente alla destra. Di più, riabilita lo sciovinismo. Gli ridà cittadinanza politica.

Ne conferma la normale esistenza nella coscienza popolare. Ellroy, che sembra un giovane Gervaso, già carico di tutti i guai fisici dell’originale da vecchio, costituisce un unicum. Abitualmente anche solo poche parole di troppo o sgangherate scritte sui muri avviano circhi di proteste a difesa della memoria storica ebraica (sempreché non si tratti di questioni mediorientali d’attualità). Non sono pochi gli storici e gli scrittori europei venuti in conflitto con la legge per opinioni considerate non corrette su quella memoria. I romanzi dello scrittore californiano invece, caricati da un profondo antisemitismo, passano indenni ogni censura, anzi sono considerati geniali. Per decenni l’autore, sotto lo pseudonimo di James Ellroy, ha demolito i Kennedy.

Tutti i Kennedy, dal nonno filonazista ai figli e nipoti bunga-bunghisti. E con loro, ha distrutto la reputazione delle etnie d’America, dalle prime alle ultime, svergognando il mito puritano e quello del padrinato, quello hooverista e quello hollywoodiano. Giornali e firme, abitualmente sensibili alle punture di spillo, accolgono con striduli d’ammirazione le migliaia di pagine di Ellroy, pesantemente rappate di antisemitismo, di filo fascismo, filo nazismo e di razzismo. Anzi dell’intreccio di molti e diversi razzismi discriminanti sia il colore della pelle che i gusti sessuali. Tutto ciò appare incredibile. Eppure questo scrittore, proveniente dalla strada, ha sdoganato in America l’opposizione al politicamente corretto. Anzi ne ha imposto una sua versione fondata sulla violenza. Un pensiero violentemente corretto, legittimato sempre e ovunque non dalle ragioni ma dai risultati.

L’America televisiva e digitale, di fronte a Ellroy che non usa computer e non guarda Tv, è rimasta indifesa. A lungo ha cercato di limitarlo, facendone l’inventore del noir americano. Poi è crollata, di fronte ad intrecci di storia e finzione, che arrivano fino quasi a noi, fondate su reali biografie. Ed ecco l’America dell’eugenetica e dei club per la ricerca scientifica della razza perfetta. L’America dell’Indipendenza che trasuda tesi e motivazioni da Ku Klux Klan. L’America delle razze, ciascuna delle quali odia le altre e si ritiene esclusivamente migliore. L’America nata da un olocausto di proporzioni insuperate nel rapporto tempo spazio. L’America desiderosa di sangue a volontà su di sé con Lincoln e sugli altri con Roosevelt. L’America dello stalinista Roosevelt che si sente in sintonia con i decisori populistici europei. L’America del Cincinnato a tempo, dittatore assoluto ogni 4 anni. L’America dell’anti¬se¬mi¬ti¬smo petu¬lante e livoroso.

L’America che tifa per i tedeschi contro gli odiati inglesi. L’America della provincia che brinda all’11 settembre contro l’odiata New York. L’America di McCarthy che giustamente perseguita i comunisti, sciovinisti stranieri. L’America di Wilson che giustamente condanna Sacco e Và, sciovinisti stranieri. L’America di Kenney che giustamente perseguita i mafiosi, sciovinisti stranieri. L’America di Hoover che giustamente celebra l’unico sciovinismo buono, il proprio. L’America che si spiega e mette in scena l’inevitabile razzismo con l’unico linguaggio verbale e del corpo possibile, quello razzista. L’America di ieri, oggi e domani. L’America che odia gli immigrati giapponesi fino ad internarne 120mila durante la guerra. L’America che odia cinesi e giapponesi oggi padroni delle tecnologie, delle aziende, del credito a consumo degli americani. L’America delle armi per tutti e delle guerre su tutti. L’America stessa ha ammesso che sono tutte Americhe vere.

Ha ringraziato Ellroy per averle dissepolte dal politicamente corretto. Si è riconosciuta così come è, nelle pagine dell’Ellroy (competitiva, individuale e ossessionata) come nello stile, competitivo anch’esso con il lettore, nella gara a chi resiste di più in apnea, senza respiro, immerso nel sangue e nella merda. Come recita l’ultimo titolo di Ellroy, si è riconosciuta perfida, (in spagnolo traditrice) perché è naturale nell’uomo, tradire anche se stesso, pur di vincere. Ecco perché l’autore razzista può sfidare i nostri censori. Se lo dice il mercato americano, non resta alla tradizione italiana della Pivano, di Colombo e di Veltroni che tradire se stessa, e senza neanche vincere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36