Ellis Island e la statua: simboli di NY e d’Italia

“Datemi le vostre genti stanche, i vostri poveri, Le vostre masse accalcate che anelano a respirare libere, I miseri rigetti dei vostri lidi brulicanti. Mandateli a me i senza casa, sbattuti dalla tempesta, Io alzo la mia fiaccola vicino alla porta d’oro!”.

Questa è la parte più famosa di “The New Colossus”, il poema inciso su una lapide sulla parete interna del piedistallo della Statua della Libertà. Miss Liberty ed Ellis Island sono i due più importanti simboli che rappresentano la mitica storia di chi è arrivato a New York in cerca di un futuro: tra questi, vi furono milioni di italiani. Entrambi questi luoghi storici e iconici fanno parte della Statue of Liberty-Ellis Island Foundation, il cui presidente e direttore esecutivo è un gentiluomo italoamericano, Stephen Briganti. Parlare con lui significa oggi portare il nostro rispetto a quei milioni di coraggiosi, eroici nostri connazionali.

Mr. Briganti, le chiediamo di dirci qualcosa sulla sua famiglia di origine. E’ la stessa famiglia dell’attuale sindaco di New York, Bill De Blasio, giusto?

Giusto. I nostri nonni, sua nonna e mio nonno, erano fratelli. Siamo la famiglia Briganti da Grassano, in Basilicata. I membri della famiglia Briganti avevano tutti un’istruzione, in Italia. Sua nonna e la nostra comune prozia aprirono un negozio di abbigliamento sulla quinta strada a Manhattan, quando vennero qui. Era un negozio molto noto, perché vendeva abiti di fascia alta. Il loro altro fratello, Pasquale, era un oculista sempre a New York. L’altro fratello di mio nonno - erano tre fratelli e due sorelle - era Gaetano Briganti. Penso che sia molto conosciuto nella zona sud d’Italia: era un professore di Agraria. A quel tempo, una malattia fece molti danni agli ulivi, e lui ideò una formula per la cura di questa malattia e per salvare gli ulivi … così divenne abbastanza noto, almeno in Basilicata. Mio nonno invece era un architetto.

Un Gaetano Briganti servirebbe ancora oggi, perché in Puglia hanno un problema simile: stanno lottando contro un virus chiamato Xylella, particolarmente coriaceo perché si trasmette da un albero all’altro ed è molto difficile da fermare.

Beh, non so nel dettaglio quello che fece Gaetano Briganti a suo tempo, ma visto che ebbe successo, a quanto pare il suo fu un buon lavoro.

Lei è presidente e direttore esecutivo della Statue of Liberty-Ellis Island Foundation, che gestisce due dei siti più importanti e visitati al mondo. Può descrivere il Museo di Ellis Island a coloro che non lo hanno ancora visitato?

Il Museo di Ellis Island è un museo con circa 14mila metri quadrati di esposizione, e la parte originale del museo racconta la storia degli anni di Ellis Island, dal 1892 al 1954. Quelli sono gli anni in cui arrivò la maggior parte degli italiani. Naturalmente, non raccontiamo solo la storia degli italiani, ma anche dei greci, dei polacchi, delle persone provenienti dall’Europa orientale, della gente del Medio Oriente ... che emigrarono in America in quel periodo. La popolazione americana raddoppiò in quegli anni, perché un grandissimo numero di persone scelsero di venire qui: l’America stava attraversando la rivoluzione industriale e aveva bisogno di manodopera a basso costo, e loro la fornirono. Molti di loro erano destinati ad essere - e alcuni di loro lo furono - “birds of passage” (letteralmente, “uccelli di passaggio”). Pensavano di essere arrivati negli Stati Uniti per lavorare, e poi di tornare a casa. In realtà, molti di loro non tornarono, ma rimasero in America. Inoltre, abbiamo deciso che Ellis Island, come simbolo di tutti gli americani, dell’accoglienza e delle opportunità fornite dall’America, doveva raccontare la storia di tutta la popolazione americana. Così ora raccontiamo la storia dell’America dal 1550 al 1892, poi gli anni di Ellis Island dal 1892 al 1954, e poi gli anni successivi, dal 1954 ad oggi. Perché l’America sta cambiando di nuovo, ora, e persone provenienti da molte parti del mondo continuano a venire a vivere qui. Ellis Island è ora il Museo Nazionale dell’Immigrazione.

La Statua della Libertà non è solo il simbolo di New York: è il simbolo degli Stati Uniti d’America, un’icona che spiega come l’America sia una nazione di immigrati. Quanti furono gli italiani che arrivarono via nave, sognando una nuova vita quando intravedevano Miss Liberty, e poi atterrarono a Manhattan dopo essere passati attraverso Ellis Island?

Abbiamo alcuni numeri, ma non tutti arrivarono attraverso New York: comunque ci sono circa 20 milioni di persone di origine italiana che vivono negli Stati Uniti oggi. In realtà, la Statua della Libertà non fu costruita per accogliere gli immigrati: aveva, certo, un significato di benvenuto, ma più come un simbolo dell’America. Siccome però fu costruita nel 1886, e nel 1892 il governo federale decise di utilizzare Ellis Island come stazione per gli immigrati, nell’immaginario collettivo americano le due cose sono diventate collegate tra di loro come se così fossero nate. In origine non lo erano, ma certamente lo sono ora. E dobbiamo ricordare che non tutti gli immigrati che hanno avuto l’emozione di vedere la Statua della Libertà e sono poi passati per Ellis Island, poi sono rimasti a New York. In realtà, solo il 40% lo ha fatto: il 60% si è poi trasferito altrove.

Prima di essere sindaco di New York, Fiorello La Guardia lavorava a Ellis Island. Qual era il suo ruolo?

Era un interprete, e penso che parlasse cinque lingue. Era giovane, e a Ellis Island avevano bisogno di persone in grado di parlare lingue diverse. Non so per quanto tempo lo abbia fatto.

C’è un aneddoto circa l’emigrazione italiana a Ellis Island, proveniente dal vasto archivio della Fondazione, che pensa sia possibile condividere con noi?

Non so se ce ne sia uno in particolare ... ma c’è una storia che spesso si racconta. Gli italiani vennero in America perché pensavano che le strade erano lastricate d’oro. Quando arrivarono qui, scoprirono che non erano lastricate d’oro. Infatti, scoprirono che non erano lastricate affatto e che, in realtà, erano proprio loro a doverle lastricare. Ma penso che probabilmente ci siano molte storie interessanti che riguardano l’emigrazione degli di italiani e la loro vita in America. Ognuna di loro è importante per la loro famiglia, proprio come la mia è importante per la mia famiglia: e insieme celebriamo le nostre origini italiane. Allo stesso tempo, sappiamo che siamo americani e questo viene prima: ma penso che gli italiani hanno fatto molto per questo paese. Lee Iacocca, che è colui che rivoluzionò la Chrysler e la riportò in auge... lui ora ha più di 90 anni, ma nel periodo di suo massimo splendore era il re del business americano, oltre ad essere il Fondatore e Presidente emerito della nostra Fondazione. Le persone che sono arrivate qui dall’Italia e da altri paesi hanno approfittato delle opportunità che l’America offriva, e hanno costruito una vita di successo per se stessi e per le loro famiglie.

Il vostro archivio è una fonte insostituibile per gli americani che vogliono sapere di più circa le loro radici. Cosa vuole dire agli italoamericani che non l’hanno ancora fatto?

Dico loro di farlo! Non possiamo sapere chi siamo se non sappiamo da dove veniamo e chi sono i nostri antenati nelle nostre famiglie. Abbiamo moltissimi italiani nei nostri registri, ed è una grande emozione scoprire le proprie origini. Io stesso ho lavorato su questo per anni, e quando finalmente ne ho visto i risultati, sono rimasto basito, e sono scoppiato in lacrime. Ho scoperto che mia nonna aveva diciassette anni quando è venuta qui. Quando ha lasciato Napoli, immagino avesse tre dollari in tasca. Dai documenti ho scoperto da dove veniva e dove stava andando in America. Io la conoscevo molto bene, ed è stato incredibile per me pensare ad una ragazza di 17 anni che sbarcò da una nave in questo paese, senza parlare una parola di inglese, non sapendo cosa doversi aspettare. Voglio dire, oggi viaggiamo, prenotiamo per telefono o via email un volo e una camera a Roma, saliamo su un taxi quando arriviamo in aeroporto, in albergo ci aspettano... tutto è facile. Ma non fu così per lei. La famiglia di mia madre arrivò in America il 28 dicembre 1911, mia madre aveva un anno e mezzo. Ogni volta che entro nella grande sala a Ellis Island penso a loro, cosa deve essere stato per loro venire in questo paese: mio nonno parlava un po’ di inglese, ma non molto; il resto di loro non lo parlava affatto. E così me li immagino lì, nella grande sala, con tutte le altre persone della loro barca, e probabilmente altre di altre barche, ed è un pensiero stupendo. Hanno avuto un enorme coraggio. Io non so se avrei fatto quello che hanno fatto loro.

L’Italia è ora il luogo in cui arrivano migliaia di disperati provenienti dall’Africa, alla ricerca di cibo, di una vita migliore e di un futuro, proprio come i nostri connazionali fecero tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Forse potremmo dire che Lampedusa, in Sicilia, è la nuova Ellis Island. Quali sono le principali analogie e le principali differenze che lei vede tra questi due storici flussi migratori?

Penso che le ragioni per cui oggi queste persone stanno arrivando a Lampedusa e in Sicilia e in tutta Europa, è quella per cui altre persone arrivarono negli Stati Uniti: sono in fuga dalla tirannia. Sono alla ricerca di una vita migliore, della libertà, sono in fuga da una vita di paura. Probabilmente, la differenza è che, storicamente, l’America è un Paese formato da persone provenienti da luoghi diversi. Così noi celebriamo le nostre differenze, e il fatto che siamo una nazione di persone che sono diventate americane, ma sono diverse: possono essere asiatiche, possono essere europee, possono essere africane, ma quando arrivano qui diventano americane. Al contrario, gli italiani sono un gruppo di persone storicamente omogeneo, che generalmente non è abituato ad una grande percentuale di persone di provenienza così diversa. Quello che vorrei dire agli italiani è: approfittate delle cose positive che provengono dall’arrivo di queste nuove persone. Gli immigrati possono essere gli imprenditori di domani. So che l’Italia ha un tasso di natalità molto basso: chi arriva oggi può essere parte del processo di mantenimento e anche di crescita dell’economia italiana. Quindi non abbiate paura di loro: aiutateli, in modo che possano aiutare l’Italia. L’alternativa è quella di combatterli, di essere cattivi verso di loro, di non fare nulla per accoglierli, e io non so cosa verrebbe di positivo dal comportarsi così. Queste persone fuggono da situazioni terribili. Sarebbe interessante capire come sta reagendo l’Europa. Una parte dell’Europa sta reagendo abbastanza bene; una parte di essa, invece no. Non posso parlare in generale per l’Europa, ma so che in America, storicamente, gli immigrati hanno aiutato molto il Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36