Come ti rifaccio il libro

Giovanni Raboni diceva che “in Italia ci sono centinaia di migliaia di persone che scrivono e pubblicano versi (orribili)” e che “un paese civile dovrebbe distogliere chi sente un tale ‘bisogno’ dal patetico e sterile tentativo dei ‘fai da te’”. E dopo avere lamentato la mancanza di competenza e di cultura di questi sedicenti poeti, se la prendeva con quei critici compiacenti che invece di giudicare simili libri “con piena responsabilità e autonomia” ne favoriscono la diffusione.

Da parte sua Edgar Allan Poe osservava che molti scrittori rabbrividirebbero se i loro lettori potessero dare un’occhiata furtiva dietro le quinte, scoprendo l’immaturità del loro pensiero, gli innumerevoli barlumi d’idea che non giungono alla maturazione, le numerose immagini scartate, le caute scelte, le cancellature, i cambiamenti di scena e così via.

Quella di scrivere è una delle manie tipiche degli Italiani, o di buona parte di essi, e perciò le case editrici hanno un bel da fare per ritoccare e correggere quei libri che necessitano di una revisione. Purtroppo coloro che sono preposti a questo lavoro sono perlopiù degli scrittori mancati, invadenti e presuntuosi, che si imbucano nelle case editrici per soddisfare le loro ambizioni, cosicché spesso, con la pretesa di adeguare il testo ai loro gusti, al loro modo di vedere, alla loro cultura, finiscono con lo stravolgere il contenuto del libro.

Ora, che questo accada a uno scrittore esordiente o comunque ad uno il cui libro merita effettivamente di essere ritoccato, non per quello che dice ma per come lo dice, è comprensibile, ma che capiti ad un letterato di professione, novantenne, che ha alle spalle più di settant’anni di attività e una settantina di libri pubblicati senza che mai un editore gli abbia contestato una virgola, che ha scritto per la Rai numerosi sceneggiati radiofonici definiti “impeccabili” da tutti i registi e i capistruttura, che ha fatto parte del Comitato Ministeriale per la salvaguardia della lingua Italiana, insieme a Tullio De Mauro e a Giovanni Nencioni, e che ha avuto premi e riconoscimenti da tutte le parti, è una cosa veramente assurda.

Un suo libro, infatti, un saggio sui costumi degli italiani, pubblicato nel 2016 da una nota casa editrice, è stato censurato e sottoposto ad una manipolazione che non ha l’eguale, non per errori o improprietà di stile, ma semplicemente perché il ‘curatore’ (“una nuova professione nell’editoria moderna” nata proprio nella suddetta casa editrice) non condivideva i giudizi negativi che nel corso dei secoli sono stati formulati da scrittori italiani e stranieri, e che l’autore aveva riportato fra virgolette. Da qui i tagli, le cancellazioni di interi suoi capitoli, le modifiche, le aggiunte, le opinioni personali, come, per fare un esempio, questo commento ai giudizi benevoli su Berlusconi (uno dei quali del direttore de l’Opinione): “Niente di più sbagliato. Il potere politico del Cavaliere è durato venti anni e c’è chi l’ha voluto paragonare a Mussolini. Se Berlusconi, dunque, viene assolto dai suoi elettori, nonostante le sue ‘intemperanze’, di cui egli stesso non ha mai fatto mistero, è perché egli possiede tratti caratteriali tipici di certi maschi italiani, fra cui la spavalderia, il gusto di vivere e l’attrazione per la bellezza femminile. Quanto alle sue azioni politiche... ai posteri l’ardua sentenza”.

Oltretutto nel brano c’è una frase scorretta perché non è il potere politico del Cavaliere che è stato paragonato a Mussolini, ma il Cavaliere.                                                  Quanto ai giudizi negativi in genere il ‘curatore’ (il cui nome, fra l’altro, viene riportato sulla pagina posteriore del frontespizio - “Editing di E. S.”-  e su Internet accanto al nome dell’autore) salomonicamente commentò: “Sono tutte espressioni negative senza una frase che accenni alla nostra generosità, di cui noi vogliamo scrivere (noi chi?) proprio all’interno di questo capitolo perché riteniamo che l’opinione su di un popolo vada costruita sulla base di più di un parametro di giudizio”. Insomma, il ‘curatore’ quando s’imbatteva in un giudizio negativo che non gli garbava o lo tagliava o aggiungeva espressioni di questo tipo: “Sì, però quel giudizio va inquadrato nel suo tempo…”, “Sì, però non dobbiamo dimenticare…”. “Tuttavia bisogna tenere presente che…”, e via di questo passo.

La sua censoria mano spazzò via persino il celebre giudizio di Massimo d’Azeglio, perché parlava delle lotte fratricide degli Italiani, delle loro “dappocaggini e miserie morali”, concludendo che “il primo bisogno d’Italia è che si formino italiani dotati d’alti e forti caratteri, e pur troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani”. E pensare che l’autore ha pubblicato libri (come Italieide e Brandelli d’Italia) mettendo alla berlina politici italiani senza che gli editori si siano mai sognati di criticarli o di mettervi le mani.  

A un certo punto il ‘curatore’ (o il commentatore, l’annotatore, il compilatore: questi sono infatti i significati di editing), visto che l’autore, sbadato, non aveva parlato della camorra, per fare sfoggio delle sue conoscenze (ricavate da un libro o magari da Internet) in un capitolo suo di ben sette pagine raccontò questa storiella. “Le origini della criminalità organizzata si fanno risalire a  una leggenda secondo la quale nel Seicento tre cavalieri, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, fuggiti dalla Spagna per questioni di onore, si imbarcarono  su una nave che fece capo nell'isola di Favignana. Osso, votandosi a San Giorgio, restò in Sicilia e fondò la mafia, Mastrosso, devoto alla Madonna, andò in Campania e diede vita alla Camorra, Carcagnosso, devoto a San Michele Arcangelo, si trasferì in Calabria dove creò la ’ndrangheta”.

A seguire una lunga serie di nomi, di camorristi, di mafiosi, di magistrati, per arrivare sino ai giorni nostri. Insomma, un piccolo romanzo, un libro nel libro. Un ritocco venne dato anche allo stile per cui, ad esempio, il catoncello dannunziano modificò persino espressioni insignificanti, come “A detta di Stendhal”, che diventò “Come dice Stendhal”. 

Con tutto questo lavorio (di cui qui sono riportati solo alcuni esempi) il titolo del libro poteva mai restare quello che gli aveva dato l’autore? No. Così venne in soccorso il noto film di Paolo Sorrentino e ai difetti degli Italiani subentrò la loro “grande bellezza”: un titolo ingannevole, che rovesciò l’intento e lo scopo del  libro, facendo degli Italiani un’apoteosi.

La cosa assurda è che l’autore non fu nemmeno preventivamente informato dalla casa editrice o dal ‘curatore’ sulle modifiche da apportare al libro, poté prenderne atto solo alla consegna delle bozze, nelle quali dovette correggere anche gli errori di grammatica e di sintassi nelle aggiunte del ‘curatore’. Come questi: “Cominciò subito il da farsi” (invece che ‘a darsi da fare’), “Non vogliamo fare una storia o un mero elenco delle loro attività tra perché non rientra nella logica del presente libro, tra perché…”, “Però va tenuta presente la realtà storica vissuta da Dante che lo portarono a esprimere i suoi aspri giudizi”, “Ci furono episodi gravi durante le quali”…, “persone ignoranti incapaci a muoversi…”. E così via.

Ora, per dare a Cesare quel che è di Cesare, poiché la casa editrice, esaurita la vendita di tutte le copie del libro, non ha voluto farne una ristampa, ma ha acconsentito che vi provvedessero altri, l’autore ha messo insieme un nuovo libro, in cui, oltre che riprodurre alcuni suoi capitoli della precedente edizione nella loro stesura originaria, ha inserito quelli soppressi dal solerte ‘curatore’, più altri ricavati da suoi articoli pubblicati su riviste e giornali. Così è nata la Nave senza nocchiere in gran tempesta, con una premessa che racconta esattamente quanto riportato in questo articolo (seguono versi)

 

Alle “anime belle” della Sinistra italiana

 

di Mario Scaffidi Abbate

 

A voi, tarme d’Italia,

tronfie dalla matrice,

diede fiele la balia,

vostra prima nutrice.

Con voi la Destra spreca

parole di disgelo:

la vostra mente è cieca,

la rabbia vi fa velo…

Incominciaste voi

nel primo dopoguerra,

insultando gli eroi,

prendendovi la terra,

inquinando i canali

e gli abbeveratoi,

massacrando animali,

mucche, pecore, buoi.

Violenti ed efferati,

nelle vostre schermaglie

strappavate ai soldati

dal petto le medaglie.

Prendevate a legnate

anche i carabinieri,

di morti riempivate

le strade e i cimiteri.

Un biondo sognatore

sopra un ponte dell’Arno

issava un tricolore,

pallido il volto e scarno,

quando un branco reietto

di lupi l’afferrò,

lo spinse oltre il muretto

e lui precipitò.

Dopo una settimana

due giovani studenti

nei pressi di Sarzana

con roncole e tridenti

furono fatti a brani

e poi selvaggiamente

gettati come cani

dentro l’acqua bollente.

E le aziende incendiate?

Le violenze ai padroni?

Le fabbriche occupate?

E le devastazioni?

Facevate gli eroi.

Questo il vostro abbiccì.

Incominciò così:

i primi foste voi.

Gli altri vennero dopo,

muovendo alla difesa,

o al solo e puro scopo

di vendicar l’offesa.

Del resto allora Croce

e molti antifascisti

non davano la croce

solamente ai fascisti.

Il grande liberista

chiamava, com’è noto,

“grande industria del vuoto”

la scuola socialista,

che senz’alcun costrutto

faceva tanto chiasso,

perché aveva distrutto

ma non muoveva un passo.

Proclamaste in un anno

più di mille serrate:

chi si opponeva al danno

era preso a legnate.

Con un piano insensato,

contrastando il destino,

spianavate il cammino

al ras di un altro Stato.

“Faremo come i Russi,

come Lenìn faremo!”,

era, fra botte e bussi,

il vostro grido estremo.

Così, di questo passo,

inviperiti e scaltri,

voi lanciavate il sasso

e accusavate gli altri.

Fu questa l’atmosfera

in cui nacque il Regime:

altra strada non c’era,

non ci sono altre rime.

Oggi questo antefatto

sui libri non ha testo,

ma è dal vostro misfatto

che venne tutto il resto…

Senza il vostro intervento

mai non sarebbe stato

soppresso il Parlamento,

né sarebbe slittato

il nascente fascismo

dalla democrazia

sulla funesta via

del totalitarismo.

Poi, caduto il fascismo,

con mille astuzie ed arti,

invertiste le parti:

eroi del vittimismo,

riscriveste la Storia,

capovolgendo i fatti,

mutando i savi in matti,

a vostra sola gloria.

Riempiste allo scopo

volumi su volumi,

faceste prima il dopo,

spargeste nebbie e fumi.

C’impartiste lezioni,

faziosi e sbrigativi:

voi tutti quanti buoni,

gli altri tutti cattivi…

Definite il fascismo

come il male assoluto,

ma il vostro comunismo

fu solo uno starnuto?

Per voi quello che dice

la Sinistra è vangelo,

se lo stesso lo dice

la Destra è uno sfacelo.

Chi la Sinistra vota

è colto e intelligente,

altrimenti è un idiota

che non capisce niente.

Voi siete tutti bravi,

onesti e democratici,

noi siamo tutti schiavi,

disonesti e fanatici…

Quando cadde il fascismo,

capovolta la storia,

il vostro revanscismo,

con la solita boria,

creò la falsa logica

d’una priorità

persino antropologica

della vostra metà.

Voi non siete migliori,

e lo sapete bene:

fate i denigratori,

i vampiri, le iene

per nascondere agli altri

la vostra povertà.

Siete birboni e scaltri,

ma non vi basterà…

Fanatici, alle corte,

cessate di cantare:

con quelle bocche storte

c’è poco da sbruffare.

Tra i salmi dell’Uffizio

c’è anche il Dies irae:

o che non ha a venire

il giorno del Giudizio?

 

(da Brandelli d’Italia, poesie politiche e civili, Herald Editore)

Aggiornato il 05 aprile 2018 alle ore 09:55