Un racconto per parlare del mostro che è in noi. Partendo da un passato che non passa e non torna, ma è agito come un’attualità incombente, inevitabile e assolutamente prioritaria. È così che avviene quando la vendetta non ha tempi sufficienti per dimenticare e si distende inquieta e tragica lungo l’arco di una vita intera: da padre in figlio, senza requie e malinconia. Tenebre dell’animo e della mente che agiscono come cumulonembi di un cielo perennemente in piena tempesta, carico di spaventosa elettricità, di promesse di diluvio e di folgori ramificate che vanno veloci dal cielo alla terra come luci laceranti. Il loro chiarore estremo, subitaneo non è “chiarezza” ma puro terrore del fuoco che tutto annerisce e consuma. Così, terribilmente agile e travolgente come la grande lama dell’aratro meccanico, il bel romanzo di Massimiliano Smeriglio (vice governatore della Regione Lazio) procede a dissodare con razionale violenza uno spazio emotivo arido e stratificato, denso di fango rassodato come pietra, in cui si cristallizzano le identità nascoste di un’umanità rinsecchita e ritirata in se stessa al pari della lava solidificata nei millenni.

Il suo ultimo lavoro letterario, “Per quieto vivere”, Fazi Editore 2017, è però funzionalmente come il cono di un vulcano, dove questo materiale sentimentale profondo e sedimentato viene violentemente risospinto in superficie e ricondotto allo stato fuso, dopo aver fatto evaporare i suoi componenti più volatili. La morte, la politica, l’odio ideologico per tutto ciò che è diverso e non si china all’ordine totalitario, è visto con gli occhi del protagonista: un portiere ereditario perché tali erano stati suo padre e sua nonna, una collaborazionista morta drammaticamente suicida nel 1944 al momento della Liberazione. Il suo occhio malvagio e indagatore entra in tutte le abitazioni di un immenso condominio proletario costruito in epoca fascista: vi si infiltra con l’alibi di rendere piccoli servigi remunerati in nero e ruba immagini di vita quotidiana da spalmare come peste manzoniana nel “deep web”. Lui, l’agente in incognito di un servizio segreto a dimensione familistica, che è vittima della Rete e allo stesso tempo costruttore autonomo di fango e di fake news senza freni né remore etico-morali. Una realtà virtuale la sua che nega la conoscenza, per abbracciare i miti più reazionari, inverosimili, violenti e affabulatori, dotati di una disarmante ferocia verso tutto ciò che si allontani dal più rigido e allucinato conformismo.

E poi c’è lui, il protagonista assoluto di cemento e mattoni: il Condominio con i suoi spazi interni ed esterni lungo i quali si trascina un’umanità perennemente dolente, che non ama più perché sa soltanto odiare per il male subito e restituito con gli interessi. Figli che si separano dai genitori e madri che vengono con violenza private dei figli, senza ma più rivederli per il resto della loro vita. Un palazzo come un tavolo d’obitorio con le abitazioni in cui trascorre la vita di personaggi introversi e misteriosi: ammalati di Sla, o di tumori che non lasciano scampo o di droga;  genitori single e ragazzine autistiche; anziane crocefisse a un respiratore portatile e affidate alla carità pubblica, ma che perseguono il suicidio lento e determinato continuando a fumare malgrado l’assoluto divieto dei medici curanti. Abitanti che nascondono drammaticamente una doppia personalità come quella di una bigamia che grida vendetta e disgusto agli occhi dei figli ormai adulti.  Non c’è alcuna gioia o conforto nell’epilogo perché, in fondo, questa nostra società non dà e non si concede alcuna speranza di redenzione né di riscatto. Tutto si consuma e nulla si rinnova al di fuori del mal di vivere.

 

Aggiornato il 02 maggio 2018 alle ore 22:48