Venticinque anni senza Massimo Troisi

Il poeta dei sentimenti se n’è andato venticinque anni fa. Massimo Troisi, uno degli attori più amati della storia del cinema e della televisione, nasce a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, il 19 febbraio 1953. Figlio di un macchinista ferroviere e di una casalinga, si forma sulle tavole del palcoscenico, diventando l’acclamato erede di Eduardo De Filippo. Ma promuove la “nuova Napoli” di Pino Daniele e Roberto De Simone. All’inizio degli anni Ottanta Troisi, insieme a Nanni Moretti, Roberto Benigni, Carlo Verdone e Maurizio Nichetti, fa parte di un gruppo di attori-registi che riesce ad interpretare con ironia i disagi e le istanze delle nuove generazioni.  

Troisi diventa noto al grande pubblico grazie all’irresistibile comicità surreale del trio La Smorfia, insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro. Poi arriva al cinema. Memorabile il suo esordio nel 1981, con Ricomincio da tre. Il film, che inaugura il sodalizio affettivo e artistico con la sceneggiatrice Anna Pavignano, racconta la storia del giovane disoccupato Gaetano, che da Napoli decide di trasferirsi a Firenze, dalla zia. In Toscana si innamora di Marta, una moderna e intraprendente infermiera, con la passione per la scrittura.

Già in questo primo film emergono chiaramente gli stilemi della sua visione del mondo: autoironia, paradossi, tolleranza, solidarietà verso gli ultimi, amori tormentati, assenza di lavoro, guerra ai luoghi comuni sulla napoletanità indolente. Ma, soprattutto, un dialetto esibito orgogliosamente come lingua identitaria e, insieme, paradigmatica. Una frase spezzata, un vagito, un suono, un borborigmo che diventano trascinante poesia. È un successo clamoroso, di pubblico e critica. L’opera ottiene due David di Donatello, quello per il miglior film e per il miglior attore (Troisi).

Dopo seguono Scusate il ritardo (1983), Non ci resta che piangere, firmato insieme a Roberto Benigni (1984), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991), Il postino, girato con Michael Radford (1994).

Appena sei film firmati come regista che celebrano Troisi tra i grandi del nostro cinema. Da menzionare anche l’unica sua regia televisiva: il profetico e autoironico mediometraggio Morto Troisi...viva Troisi (1982).

Ma il cineasta viene diretto anche da altri registi: Lodovico Gasparini, per No grazie, il caffè mi rende nervoso (1982) e Cinzia TH Torrini, per Hotel Colonial (1987). Ma è l’incontro con un maestro riconosciuto come Ettore Scola, che consente a Troisi l’ingresso nel cinema d’autore. Scola lo dirige in tre film: Splendor (1989), Che ora è? (1989) e Il viaggio di Capitan Fracassa (1990). Nelle prime due pellicole Troisi recita al fianco di uno straordinario Marcello Mastroianni. Per la loro prova superba in Che ora è? i due attori ricevono la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile alla Mostra del cinema di Venezia.

Infine, Il postino, il suo capolavoro postumo. Il copione, tratto dal romanzo Il postino di Neruda dello scrittore cileno Antonio Skármeta, racconta la storia di Mario Ruoppolo, un disoccupato figlio di pescatori, che nell’estate del 1952 vive su un’isola del sud Italia, che da poco tempo ha dato asilo politico al grande poeta Pablo Neruda.

Il film ottiene cinque candidature agli Oscar 1996: quella come miglior film, miglior attore protagonista (Troisi), miglior regia (Radford), miglior sceneggiatura non originale (Troisi, Radford, Anna Pavignano, Furio Scarpelli, Giacomo Scarpelli) e miglior colonna sonora drammatica (Luis Bacalov). Tuttavia è solo quest’ultima nomination che si traduce in una statuetta. L’ultimo lungometraggio di Troisi ottiene un consenso planetario. Un successo che consacra, definitivamente, il “Pulcinella senza maschera” nell’universo cinematografico internazionale.

Aggiornato il 05 giugno 2019 alle ore 16:07