Alla Facoltà valdese di Teologia è stata significativa, con molta gente presente e attenta, nonostante il caldo africano, la cerimonia delle esequie, laiche, di Giuseppe Averardi (1928- 2019), senatore emerito della Repubblica, giornalista, direttore e collaboratore di varie testate, storico e saggista, scomparso il 24 luglio scorso. I figli Roberto e Giovanni, e i nipoti Alessandro e Giuseppe hanno ripercorso brevemente le tappe della sua vita e del suo impegno politico: iniziato tanti anni fa nel Pci e poi proseguito – dopo il dramma dell’Ungheria del 1956, che portò tantissimi militanti comunisti a lasciare il partito, disgustati dalle posizioni filosovietiche – nel Psdi di Giuseppe Saragat (al quale Averardi fu molto vicino), e infine nel Psi.

Chi scrive ha ricordato le tappe della sua stretta collaborazione con Averardi, da giornalista: prima a Negli anni Settanta e Ottanta a “Ragionamenti”, rivista ufficiale del Psdi, e poi a “Ragionamenti Storia”, testata autonoma di area riformista centrata sulla storia dell’Ottocento e del Novecento, uscita sino al 2009-2010. Già nella prima serie di “Ragionamenti”, e poi specialmente su “Ragionamenti Storia”, Averardi come direttore responsabile cercò sempre di far collaborare autori delle più varie estrazioni culturali e politiche, dalla sinistra alla destra: accomunati da un comune sentire, sulla necessità di far progredire, in Italia, una cultura riformista nel senso più ampio e autentico del termine, fuori delle contrapposizioni partitiche e, soprattutto, fuori dei condizionamenti delle due Chiese, cattolica e comunista. Con Arturo Diaconale, direttore de “L’Opinione”, Averardi mantenne sempre rapporti di collaborazione su alcuni temi, e di reciproca stima.

Importanti, infine, i libri di storia contemporanea scritti da Giuseppe Averardi: da “I mutanti”, spietata analisi delle contorsioni (e contraddizioni) del vecchio Pci, nel suo passaggio prima a Pds, poi Ds e infine Pd, a “Togliatti addio”, sulla necessità, per la sinistra italiana, di archiviare definitivamente l’eredità del “Migliore”. Sino all’ultimo, “Ungheria 1956” (Edizioni Minerva, 2018), che è stato anche, in parte, una sofferta rievocazione autobiografica: poco dopo la tragedia dell’Ungheria, infatti, proprio Averardi, Eugenio Reale, Michele Pellicani (padre, tra l’altro, di Luciano, il futuro direttore di “Mondoperaio”) e Tomaso Smith (già creatore di “Paese Sera”), furono i “Quattro cavalieri” che, usciti dal Pci e approdati alle sponde socialdemocratiche, fondarono nel 1957 “Corrispondenza socialista”, periodico che approfondì i temi del socialismo democratico e riformista e dove si formarono tante future “penne d’oro”, da Antonio Ghirelli ad Antonio Spinosa.

Giuseppe Mannino, presidente emerito del Consiglio comunale di Roma, ha ricordato anche lui la sua collaborazione con Averardi, dai tempi in cui quest’ultimo lo incaricò di fare, tra l’altro, un’indagine sulla composizione sociale, in Italia, dei piccoli proprietari immobiliari (Mannino allora, negli anni Ottana, era presidente dell’Uppi). Altre personalità assenti – dal direttore di “Mondoperaio”, Luigi Covatta, al sociologo Franco Ferrarotti, dal prosindaco emerito di Roma, Alberto Benzoni, al presidente della “Fondazione Matteotti”, Angelo Sabatini, e al direttore emerito dell’Archivio centrale dello Stato, Aldo Giovanni Ricci – hanno mandato le loro condoglianze.

Musiche di Mozart, Bach, Nino Rota e letture di brani della Bibbia, di Shakespeare e Garcia Lorca hanno accompagnato la cerimonia funebre.

Aggiornato il 29 luglio 2019 alle ore 12:12