I cento (e più) passi di Lucia Sardo

Sguardo intenso, profondo, di quelli che ti scrutano l’anima. Un’attrice sì, ma soprattutto una donna. Una donna che capisce le altre donne, che si immerge nella vita di chi incontra, non solo per copione ma per scelta, per vocazione.

Lei è Lucia Sardo: la mamma di Peppino Impastato ne “I cento passi”; è Maria, la nonna della piccola Lucia in “Picciridda” il film che sta avendo numerosi riconoscimenti, tratto dall’omonimo libro di Catena Fiorello; in teatro è Rosa Balestrieri e poi ancora Felicia, la mamma di Peppino. Questi solo alcuni dei personaggi con cui la identificano il grande pubblico. Nata a Francofonte (la patria dell’Arancia Rossa di Sicilia), un paese in provincia di Siracusa, da una mamma casalinga e un papà proprietario di aranceti. È la più piccola di 4 figli, un maschio e tre femmine. Un’infanzia addolcita dalle confetture di Tarocco e dalle stravaganze di due zii in po’ sopra le righe. Lucia Sardo è attrice, regista e autrice, si forma nel Teatro di Ventura (BG). Nel 1980, insieme ai suoi compagni, fonda l’Istituto di Cultura Teatrale a Santarcangelo di Romagna di cui per diversi anni dirige e organizza il Festival del Teatro in Piazza, festival sperimentale fra i più importanti d’Europa. In quegli anni incontra ed è allieva dei più interessanti ricercatori del secolo scorso: Jerzy Grotowski, Eugenio Barba, Katzuko Azuma, Torgheir Weithal, Julian Beck, Judith Malina, Enrique Pardo, Dario Fo e Franca Rame e tantissimi altri. È stata partner di attori e musicisti come Penélope Cruz, Laura Betti, Monica Bellucci, Magherita Buy, Lino Banfi, Nino Manfredi, Beppe Fiorello, Carlo Verdone, Antonio Catania, Ninni Bruschetta, Maria Grazia Cucinotta, Rori Quattrocchi, Piera degli Esposti, Luca Zingaretti, Gigi Lo Cascio, Enrico Rava e un’infinità di nomi ancora. Al cinema, solo per citarne alcuni,  è stata diretta, dai registi Giuseppe Tornatore, Aurelio Grimaldi, Maurizio Sciarra, Catrin McGilvray, Marco Tullio Giordana, Anne Riitta Ciccone, Fulvio Bernasconi, Franco Battiato, Marco Amenta, Marianna Sciveres, Pasquale Scimeca, Roberta Torre e anche qui la lista sarebbe lunghissima. Diretta e simpaticissima nella quotidianità, riesce a condurre una vita quasi distaccata da tutto quello che avviene sul set. L’istinto delle persone è quello di abbracciarla e dire: ma come hai sopportato tanto dolore? È il sentimento comune a molti di quelli che, rivedendola dal vivo, non riescono a scindere l’attrice dalla persona, tale è l’intensità dei suoi personaggi. Poi però si trasforma in Addolorata, la moglie di Santo in “Masseria Sciarra” la divertente “food comedy” in salsa siciliana trasmessa dal canale Alice e a quel punto è tutto un divertimento.

Ammirazione e calore, l’affetto del pubblico a Lucia non mancano e lei non lesina affettuosità. La raggiungo telefonicamente e la trovo un po’ indaffarata nella sua amatissima Sicilia. Generosa nella conversazione e nelle confidenze, è un continuo “questo non so se lo posso dire all’amica o alla giornalista”. Decisa, come un fiume in piena, inizia la nostra chiacchierata:

Ciao Lucia, che piacere sentirti, come stai?

Ciao! Bene grazie, sono appena tornata da una scuola palermitana. Fare avanti e indietro con questo caldo...

Chi è Lucia?

(Ride di gusto) Sono un “work in progress” continuo, cerco me stessa. Come dice Oliver Stone: “cerco la luce”.

Che cos’è per te la luce?

Qualcosa che si trova al di là di convenzioni e pregiudizi.

Sei più anima o carnalità?

Proporzionata: se risplende l’anima risplende la carnalità. La mano la si deve intendere per intero, non solo dorso, palmo o dita. Va vista nell’insieme.

Sei mamma di un bellissimo giovanotto: che mamma ritieni di essere?

Eh... (lungo sospirone) sicuramente sono una mamma ingombrante. In quanto svolgendo una professione così esposta un figlio ti deve in qualche modo dividere con tanta gente. Poi però sono una mamma coccolosa, mi piace essere presente e godermi ogni cosa. Mio figlio non ha mai avuto il periodo dei perché, in quanto gli ho sempre anticipato e spiegato tutto. Sesso, droghe, problemi di ogni genere in casa mia sono stati sempre argomenti di cui parlare senza tabù. Sono convinta che il misterioso, il segreto, il sommerso, generi mostri.

Con i tuoi spettacoli hai girato l’Italia in lungo e in largo, c’è un teatro in modo particolare che porti nel cuore?

Un luogo fisico in particolare non ce l’ho, sono affascinata da tutti i teatri. Trovo sempre qualcosa di affascinante in ognuno di essi. Mentre, porto nel cuore Santarcangelo di Romagna, un paese di 20.00 persone a 10 km da Rimini. Lì per anni ho diretto Il Festival del Teatro e vissuto per 13 anni: quello è il mio luogo del cuore e appunto, il teatro.

C’è qualcuno nella tua famiglia con cui hai avuto un rapporto speciale?

Con gli zii. Due in particolare: zio Ciccio e zia Lina. Zio Ciccio era il marito di una mia zia, quindi uno zio acquisito, non avendo figli ci faceva trasgredire in mille modi. Ci dava le sigarette, ci faceva guidare, ci portava in giro a fare le cose più strambe. E poi c’era la sorella di papà, zia Lina o Linette come la chiamavano in Francia. Perché il suo secondo marito (ne ha avuti tre) era un conte francese e lei si era trasferita lì. Si occupava di moda, era una stilista. Vestiva attori, attrici e di alcuni era molto amica, come Yves Montand e Simone Signoret. Il suo vicino di casa era Marc Chagall e, su quest’ultimo e il suo cane ci sono aneddoti davvero divertenti. Io d’inverno vivevo a Francofonte nella distesa di aranceti e d’estate ero da zia Linette. Era una donna di un fascino incredibile. Pensa che arrivava a Francofonte vestita con i pantaloni, cosa impensabile per quegli anni. Almeno da noi in Sicilia. Guidava, aveva appunto avuto più mariti. Una volta a Francofonte fummo scortati dai carabinieri tale era la folla accorsa per ammirare questo modello di donna ai più sconosciuto. Credo che l’idea poi di fare l’attrice mi sia venuta frequentandola.

Che rapporto hai con Dio?

Il Dio cattolico non lo sento. La Divinità invece è dappertutto, dalla formica all’elefante, dal sassolino al Montebianco. Sento grazia ovunque: un unico abbraccio di energia.

Quanta soddisfazione ti sta dando il ruolo di nonna Maria in “Picciridda”?

Tante soddisfazioni! La nostra picciridda va da sola. Ci sono state sere in cui è stato proiettato il film e per placare gli animi hanno dovuto chiamare la polizia. Una massa di gente che spontaneamente e accorsa a vedere questa pellicola. Malgrado un tema forte come la violenza, il film mette in evidenza la sofferenza delle donne, ma lo fa in maniera delicata. Abbiamo girato in un luogo unico al mondo, l’isola di Favignana. Devo dire che quando ho saputo che Oliver Stone tra i grandi film menzionati ha nominato “Picciridda” dicendo che va diritto al cuore e che vedendomi ha provato la stessa emozione di quando ha visto Anthony Quinn in “Zorba il Greco”... ecco, posso dire che questa frase è un riconoscimento pari a un Oscar.

Non posso non chiederti di Felicia Impastato, la mamma di Peppino. La donna che hai interpretato sul grande schermo nel film “I cento passi”, ma che già prima delle riprese avevi iniziato con lei una sorta di matassa di sentimenti.

Ci sono film che ti cambiano la vita, e questo me l’ha decisamente cambiata. Cambiare non vuol dire per forza in bene, parlo di cambiamenti profondi. Quelli dell’anima. Andavo spesso a Cinisi, a casa di Felicia. Una donna semplice nella sua fierezza. Ho messo su anche uno spettacolo dedicato a lei, alla sua determinazione. Ricordo quando mi disse “Mi devi fare una promessa, mi devi aiutare a far conoscere la storia di mio figlio” e io guardandola pensai che avrei voluto far conoscere la sua di storia. Una donna che ha avuto un unico obbiettivo nella vita, dopo il figlio, quello di far arrestare Badalamenti, il suo assassino.

Qual è invece l’obiettivo di Lucia Sardo?

A me piace aiutare le persone ad arrivare a un traguardo e per questo parto sempre dal teatro.

E tu come sei arrivata al teatro?

Io avrei voluto dipingere, ma alla mia epoca non era ammesso che una donna frequentasse il liceo artistico. Per eccesso di orgoglio a 15 anni ho smesso anche di dipingere. La mia vita aveva preso un’altra direzione, ero segretaria in una scuola. Ma non stavo bene, ero una ragazza malata. Il mio incontro con il teatro è arrivato che avevo già 28 anni. Abitavo a Treviglio, affrontavo la vita in modo sbagliato, finivo sempre in situazioni poco piacevoli. Essendo una persona ipersensibile mi ficcavo sempre in strade sbagliate. E quando è così ne devi uscire. Un giorno una mia amica mi invitò a un corso di teatro, giusto per farmi uscire di casa. Per curiosità andai anche il giorno dopo e quello dopo ancora. Mi chiesero di restare e tutto è incominciato lì.

Ho la sensazione che tendi a colpevolizzarti e a giustificare tutti.

L’essere umano si divide in tre “categorie”: vittime, aggressori e salvatori. Io dopo un periodo da vittima sono passata a quella di salvatrice. Se si comprende il dolore e la sofferenza altrui si è già un pezzo avanti. Credo in un’energia unica e pulita, buona: solo così ci può essere salvezza.

E l’amore?

Sono libera dall’incubo dalle passioni carnali. Non ho voglia più di aprirmi, di mettermi in gioco e magari soffrire. Non ho voglia più di essere gelosa o di essere oggetto di gelosie. Quando sento che può accadere metto le barriere. Diciamo che da innamorata non mi sento proprio a mio agio.

Quanto ti rimane addosso dei personaggi che interpreti?

Ho imparato bene ad uscirne. Ci sono tecniche e rituali, le stesse che insegno e cerco di infondere quando lavoro con persone abusate. Il mio teatro, il mio lavoro ha un indirizzo sociale. Tramite la cultura si possono fare grandi passi. La lezione di teatro non è utile solo a chi vuole farlo poi per professione, ma anche a chi deve imparare a liberare le emozioni. Questo è l’obiettivo, il percorso principale del Laboratorio di Recitazione che dirigo assieme a Marcello Cappelli. Noi siamo quello che facciamo, quello che mangiamo, quello che seminiamo: noi siamo il nostro stesso frutto.

www.luciasardo.it

 

Aggiornato il 04 settembre 2020 alle ore 10:45