Avete presente quella finestra “serliana” che decora l’ospedale San Giacomo degli Incurabili in Augusta (queste l’esatta denominazione) sito in via Del Corso? In pieno centro di Roma? Vi racconto in pillole la sua storia. Fondato nel 1339 dal cardinale Pietro Colonna, per riscattare lo zio Giacomo Colonna, scomunicato da Bonifacio VIII (schiaffo di Anagni).

A metà del 1400, (pontificato di Nicolò V) l’ospedale passava alla confraternita di Santa Maria del Popolo, che realizzava un primo riassetto. Ad inizio 1500, durante il pontificato di Leone X, la confraternita assumeva il nome di San Giacomo, e grazie all’apporto di numerosi finanziamenti veniva ampliato ed elevato al rango di Arcispedale, anche per la cura del nuovo morbo gallico (la sifilide). Nel 1579, Antonio Maria Salviati veniva nominato cardinale da Papa Gregorio XIII, (alla cui casata era passato con alterne vicende) e iniziava l’opera di rifondazione dell’ospedale, finanziandola personalmente. Ricostruendo il fabbricato dalle fondamenta, realizzando fin da allora la struttura d’eccellenza. Il cardinale poi donava il bene alla città di Roma, con vincolo inflessibile ad un utilizzo ospedaliero: venendo meno il fine sarebbe tornato in asse ereditario.

Nel 1834, Papa Gregorio XVI (dopo la soppressione napoleonica della confraternita di Santa Maria del Popolo) stabiliva nell’ospedale le suore ospedaliere della Misericordia, affidandone successivamente l’Amministrazione ai religiosi dell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (“Fatebenefratelli”). Si dava così impulso ad una fase di grande ristrutturazione, completata solo sotto Pio IX nel1863. Nel 1896, su Regio decreto entrava a far parte del “Pio Istituto Santo Spirito ed Ospedali Riuniti”. Nel 1978 passava all’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Nel 2008 l’ospedale veniva chiuso e l’edificio alienato dalla Regione Lazio. Dunque, la giunta regionale di Pietro Marrazzo deliberava la chiusura dell’ospedale, e dopo un restauro costato trenta milioni di euro. E per subito dopo decretarne la vendita come struttura alberghiera, giustificando l’operazione come risanamento del deficit regionale.

Lo stato attuale vede il bene in progressivo, e sempre più grave, stato di degrado, dovuto soprattutto ad un evidentemente premeditato scempio esercitato dopo la chiusura dell’edificio, che ha visto operare vandalismi di ogni tipo: dalle finestre lasciate deliberatamente spalancate, per consentire l’accumularsi di guano da uccelli, alla asportazione di ogni nuova attrezzatura (apposta nell’avvenuto restauro). Tutto ciò a fronte di una leggina. Quest’ultima recita che, se un immobile dovesse rimanere in disuso per un anno, se ne può cambiare destinazione d’uso. Ma tale lampante, quanto ignobile, speculazione, non aveva fatto i conti con l’irremovibile vincolo apposto dal lungimirante ed accorto cardinale Salviati. Così da anni la discendente dell’illuminato filantropo, Oliva Salviati (al centro dell’accesa contesa), rivendica il vincolo posto dall’antenato nell’atto di donazione. Ne ha scongiurato la vendita, ora sta tentando in tutti i modi di farlo riaprire. E noi tutti aiutiamola tutti. Rappresenta un patrimonio storico. Ma la sua utilità è dimostrata anche dall’emergenza che stiamo vivendo.

Aggiornato il 30 novembre 2020 alle ore 10:57