Lo ammetto, è con un’insolita difficoltà e pesantezza nel cuore che scrivo queste righe dopo la scomparsa di un Amico, di un serio professionista, ma più d’ogni altro d’un gentiluomo d’altri tempi come Arturo Diaconale, tuttavia ritengo che il peggior sberleffo che possiamo fare alla morte sia ridere.  E allora proviamo a ridere dell’umana ignoranza, dell’ottusa incapacità di voler vedere e quindi anche dell’arrogante sicumera presuntuosa di certuni. Permettetemi di citarmi – non amo farlo ma questa volta forse è necessario – qualche anno fa uscì per i tipi dell’editore Tabula Fati un mio piccolo libro dal titolo L’arte spiegata a mia cugina. Il volumetto in questione contiene, tra gli altri, un capitolo dal titolo sufficientemente esplicativo di “A cosa serve la storia dell’arte”.  Ora, qualcuno tra chi perde tempo a leggermi, ricorderà che da qualche giorno stanno comparendo nei luoghi più impervi e solitari del globo, alcune “installazioni” di monoliti metallici che non trovano spiegazione razionale, tanto che già i soliti ufolatri hanno subito invocato l’origine extraterrestre degli stessi. Premesso che tutto sia possibile, consentitemi di dubitarne e invece di propendere tutto ciò per un’abile strategia di marketing artistico, magari legata alla promozione di un artista che si disvelerà tra poco. L’operazione è comunque sagace e divertente e trova il mio consenso, tanto da auspicare, ad esempio, la comparsa di un analogo monolite dopo il deserto dello Utah e un altro sulle colline di Romania, nel verde ombroso e idilliaco di Sutri, oppure a Valle Christi a Rapallo. Un po’ d’ingegno e d’inventiva, poffarbacco! Intanto che le apparizioni fantasmatiche del misterioso installatore performer proseguono, in barba a qualsiasi restrizione virale, dimostrando così come l’artesia sempre superiore a qualsiasi catena imposta alla libertà, dai social apprendiamo l’esistenza di una nuova forma di “complottisti negazionisti” che però, questa volta, s’interessano d’arte e non di vaccini mutageni, di terra piatta e di sbarchi lunari contraffatti.

In breve costoro, che sembrerebbero essere seguaci del gruppo denominato “Tartaria” (da medievista di scarso conto, io ero fermo all’agnello vegetale di Tartaria tratto dai bestiari del tempo e riportato anche da Jorge Luis Borges), sono dunque convinti assertori del fatto che il nostro mondo attuale sia dominato da occulti manovratori dediti al traffico di bambini. Che esista questo turpe commercio è purtroppo vero, ma per i seguaci di questa ideologia tutta la storia, così come noi la conosciamo, sarebbe un’immensa montatura. E forse alcune cose lo sono, si badi bene, soprattutto se andiamo a ritroso nel tempo oltre l’alba dell’uomo a noi nota, quando si giunge a quell’illud tempus o a quell’”età dei sogni” come la chiamano i nativi australiani. Purtroppo, in questo caso – ed ecco perché mi ricollego al capitolo del mio libro – le loro astruse considerazioni in campo artistico, confermano quanto sia culturalmente devastante l’assenza dell’insegnamento della storia dell’arte.

Finché ci vogliamo divertire a speculare su Iperborea e Atlantide, sui signori della Fiamma e sui Nephilim va tutto bene, seppur anche qui con un giusto freno alla follia e al delirio, ma quando si va in territori storicamente accertati quali il nostro Rinascimento…ebbene, allora la pessima figura e il titolo d’ignoranti è certo. Infatti i nostri simpatici tartariani sostengono che le dimensioni sovrumane di molti dei nostri monumenti storici siano la prova dell’esistenza dei “giganti”. Peccato che queste affermazioni provino soltanto il fallimento dell’educazione scolastica di base di questo nostro Paese. Ma la vera perla di costoro è che il David di Michelangelo non sia reale né tale. A parte la confusione sull’autore in quanto alcuni lo attribuiscono a Donatello, ma si sa che distinguere le tartarughe ninja non sia sempre facile, altri sostengono che l’opera non sia stata foggiata dai muscoli, dal sudore e dalla fatica del genio fiorentino, ma sia stata realizzata mediante un non ben precisato calco del “gigante”, ottenuto colando nello stampo un altrettanto misterioso e ignoto “marmo liquido”. Insomma una specie di gigantesco art attack con resine epossidiche ai tempi del Cinquecento, in un contesto tra l’altro ampliamente documentato. Ma non c’è peggior cieco né peggior sordo. Anche qui, finché dissertiamo sul monolite di Baalbeck, sulle mura ciclopiche di Alatri, su Machu Picchu e su innumerevoli altri misteriosi luoghi della Terra, siamo nel lecito, ma profferire simili ridicole scempiaggini su Michelangelo in realtà non avrebbe dovuto neanche avere la dignità di spenderci il nostro tempo.

Aggiornato il 03 dicembre 2020 alle ore 11:08