Finazzer Flory contro la società indifferente

Massimiliano Finazzer Flory ha debuttato a teatro al Piccolo Teatro di Milano con lo spettacolo “L’altro viaggio di Rainer Maria Rilke” (2006). I suoi spettacoli sono incentrati sulle biografie di grandi personaggi, l’ultima delle quali è dedicata al grande compositore italiano Giuseppe Verdi con il titolo “Verdi legge Verdi”. Tra i suoi film in collaborazione con Rai Cinema “Essere Leonardo da Vinci” (2019) e “Ali Dorate, i giorni del silenzio” (2021) cortometraggio sul lockdown recentemente vincitore nei Festival cinematografici a New York e a Las Vegas come miglior documentario. Per il 2021 è in uscita il cortometraggio “Dante, per nostra fortuna” e l’omonimo lavoro teatrale itinerante.

Dopo un anno di blocco socio-economico sembra sia calata su Milano una nebbia infernale. Teatri chiusi, cinema altrettanto, c’è paura diffusa nei rapporti interpersonali, forme irreversibili di povertà strangolano il dieci per cento dei residenti, lo smart working ha bloccato ogni forma di dialogo tra privati e pubblica amministrazione...non è il caso d’andare oltre. Un intellettuale come Massimiliano Finazzer Flory vede in tutto questo mera casualità o anche malafede?

Come uomo di teatro le rispondo con le parole di John Steinbeck ai Kennedy di casa nostra: “Una nazione viene mossa dagli uomini di Stato e difesa dai suoi militari ma usualmente viene ricordata dai suoi artisti”. Per fuggire dalla pandemia statalista il cui focolaio è europeo vorrei essere un musicista jazz che si occupa di commedia…cito indirettamente “A qualcuno piace caldo” film cult del 1959, a volte non ci resta che il travestimento in un’altra band in epoca di proibizionismo. Ciò detto per passare dalla commedia alla Divina la malafede del nostro tempo ha come protagonisti i ruffiani, gli adulatori, i seduttori (Canto XVIII). Questo per dire che non c’è solo la nebbia infernale ma c’è anche per costoro una nebbia paradisiaca. Dietro il blocco c’è uno sbocco: teatri e cinema, ora chiusi, rischiano di diventare, finanziati dalla spesa in conto capitale, centri commerciali i cui prodotti tipici sono gli emendamenti.

Senza le piazze e la socializzazione ci dicono che la politica si farà tutta in rete. Non le sembra che la pandemia abbia in qualche modo favorito gli “psicopatici” da vita virtuale ed anche i seguaci del parlamentarismo alla Casaleggio?

“Psicopatici” e seguaci in genere hanno in comune il problema dell’emozione nascosta, del risentimento. Inoltre, in questi tempi possono contrarre la sindrome della capanna. Essendo entrambi un buon numero c’è spazio per il business delle costruzioni. Ma fuori dalla capanna c’è il mondo. Quando nel 2001 le Twin Towers vennero abbattute alcuni pazienti che accusavano manie oppressive dichiararono ai loro medici: “Avete visto? Ce l’hanno con noi”. Spesso dimentichiamo che l’uomo è uno, un’unità, un essere indivisibile eppure la globalizzazione nonostante si fosse proposta all’uomo con l’obiettivo di offrirci un mondo unico ha fatto esplodere contraddizioni e divisioni. È mancata dunque una governance globale e i nostri problemi sono globali. Ma come suggerisce Leonardo “chi non prevede già si lamenta”.

Lei è un creativo, ed ha buona memoria. Ricorda per caso come finivano quei film americani di fantascienza anni Settanta in cui c’era la classe dominante, i robot-computer e sotto il popolo schiavo?

Da quegli anni i distopici hanno fatto carriera diventando dispotici e i post apocalittici fanno i post. “Arancia meccanica” non era solo un film e della meccanica è rimasto il ritrovo ora fiscale. Però in quegli anni c’è anche la musica di Strauss in “2001 Odissea nello spazio” a ricordarci che la nostra tradizione è un’altra e con essa la nostra idea di libertà. A cui serve il sorriso, una storia di amore. Non c’è solo una libertà contro ma c’è anche una libertà per.

Ha ancora fiducia nell'indignazione creativa dell'uomo di strada?

Premetto che quell’uomo non ha più una strada. Se preferisce gliela indico citando Leonardo Sciascia figura fondamentale se vogliamo parlare di indignazione civile: “Tutti i nodi vengono al pettine, il problema è il pettine”. Inoltre, va detto che per indignazione vale quanto affermato della condizione dell’equivoco. Bisogna essere almeno in due per indignarsi.

Un amico mi dice che bloccando Milano si è fermata per il 70 per cento la circolazione della moneta in Italia. Cosa posso rispondergli per tirarlo via dalla depressione?

A Milano si può fermare la circolazione della moneta, ma non delle idee. E non da oggi dato che la moneta è digitale. Credo che la classe finanziaria del Paese sia molto più colta di quanto si creda. Tuttavia, è innegabile che parlando di moneta mi venga in mente Mario Draghi e prima di lui Guido Carli. Uomini che hanno e avevano una certa idea dell’Italia di cui Milano è capitale de facto se si guarda all’economia di mercato e al liberalismo. Certo c’è anche Roma e l’economia della politica. Allora potrei suggerire che per affrontare la crisi della globalizzazione si potrebbe stampare sui muri di Roma questo pensiero di Guido Carli, “bisogna dunque dire alto e forte che alla base di queste storture mentali esiste una sola cosa: l’ignoranza. Ignoranza del meccanismo attraverso il quale le monete si svalutano e si rivalutano”.

Ed ora ci dia qualche idea per evadere da questa prigione. Sembra che pensare non sia ancora vietato?

In primo luogo bisogna dire che vi sono pericolose prigioni prive di mura. Una di queste si chiama esilio. Ne sa qualcosa Dante il cui esilio post mortem è durato molto più a lungo di quello in vita. Mi verrebbe da dire dunque che la questione è la seguente: vi è un’Italia prigioniera di se stessa, dei propri tabù, pregiudizi, di una interpretazione della storia di natura ideologica. La prima idea se si è in prigione non è evadere perché questa è l’idea che hanno tutti. E infatti solo pochissimi riescono. Più interessante cercare di capire come è fatta la prigione, testimoniare, raccontare questa prigione e porre dei problemi ai carcerieri. Ad esempio chiedere carta, penna e soprattutto libri sapendo come insegna Immanuel Kant “in verità si è soliti dire che un potere superiore può privarci della libertà di parlare, ma non di pensare. Ma quanto correttamente penseremmo se non pensassimo per così dire in comune con altri...”. Anche qui, tuttavia, è doverosa un’avvertenza contemporanea: pensare non è vietato, tutt’altro, ma si è generato un equivoco: il diritto a pensare e la conseguente azione del diritto all’opinione non significa affatto avere il diritto di imporre la propria ragione. Però, su questo punto, temo che un uomo di teatro abbia ben poco da dire di fronte a quello che vede in politica o in televisione che è lo stesso quando inconsapevolmente si attua lo stratagemma numero 36 di Arthur Schopenhauer “sconcertare, sbigottire l’avversario con sproloqui privi di senso”.

Aggiornato il 01 marzo 2021 alle ore 19:11