La ricchezza, la povertà, il denaro nel cinema

Il denaro è croce e delizia. È un valore che viene trattato con deferenza anche nel linguaggio filmico dove il ricco è un personaggio proiettato in un mondo che ben poco ha a che fare con la vita della gente comune (Questa è la tragedia dei ricchi: non hanno bisogno di niente, Charles Coburn a Henry Fonda nel film “Lady Eva”, 1941). A conferma di un ragionamento tutto orientato al principio molto americano del successo, un ricco mancato comunque avrebbe avuto successo in altro modo perché se non fossi stato molto ricco, forse sarei stato un grand’uomo, Orson Welles nel film “Quarto potere”, 1941).

Continuando la lucida crudezza di analisi, i privilegiati posseggono una speciale immunità comportamentale (è facile non fare stronzate quando si è ricchi, Isabelle Huppert nel film “Un affare di donne”, 1988). Anche il linguaggio del cinema focalizza l’idea che le ricchezze abbiano origine spietate, io mi sono fatto da solo, accumulando a uno a uno quelle poche centinaia di miliardi soltanto con il continuo sudato lavoro. Degli altri, naturalmente! (Walter Szelak in“Il pirata”, 1948) e che i ricchi sono personaggi pericolosi (è della gente ricca che bisogna avere paura, Bibi Andersson a Birgitta Pettersson nel film “Il volto”, 1958).

Esiste una voce solitaria che ipotizza la ricchezza come possibilità di realizzare una vita qualitativamente migliore (se io avessi i suoi quattrini, sarei più ricca di lei, Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany”, 1961), evidenziando – come da luogo comune imperante – la povertà spirituale e la grettezza monomaniacale del processo di accumulazione. All’interno di un coro critico si affaccia, con notevole premonizione, la considerazione acuta che la ricchezza si poggia sull’intensità di indebitamento di coloro che non hanno molto (come? Sono un capitalista da appena tre ore e ho già un debito di diecimila dollari? È il segreto del nostro benessere: tutti hanno debiti con tutti, James Cagney nel film “Uno, due e tre”, 1961) e che, nonostante tutto, esiste qualcuno, rarissimo, che non si fa incantare dalla ricchezza (non sono loro che mi disturbano, anzi… è che non posso sopportare questa gentaglia che crede che con i soldi si possa comprare tutto, Klaus Kinski nel film “Fitzcarraldo”, 1982), considerato che rimane tutto sulla terra (che ne farà dei soldi quando sarà sottoterra? Così un povero agricoltore a Gary Cooper nel film “È arrivata la felicità”, 1936).

Molto resistente è la mitologia sul denaro e sui modi per procurarselo. Dal più fatuo, sebbene non facile, del balzo sociale Manuela (so bene che non sposi l’uomo dei tuoi sogni. Ma tutti i miliardi dei nostri sogni si. E sai: gli uomini passano, i miliardi restano, Gladys Cooper nel film “Il pirata”, 1948) al suo significato simbolico ed insieme concreto (chi lo può sapere meglio di un povero cosa sono i soldi? - Adriano Celentano nel film “Yuppi du”, 1975). Obbedendo alla durissima legge della privazione degli esclusi (la miseria c’è dappertutto… per i poveri, Tyrone Power nella pellicola “La lunga linea grigia”, 1955) e dei quali ben poco importa ai privilegiati (i poveri sono poveri e peggio per loro! - Anthony Hopkins nel film “Casa Howard”, 1992) che possono dominare l’universo mondo fatto di beni e del possesso (dopotutto, cosa sono i soldi? Sono tutto, ecco cosa sono, Groucho Marx in “Una ragazza in ogni porto”, 1952) diventando l’argomento cardine della promozione sociale (cara, non ti passa mai per la mente che c’è chi se ne infischia dei quattrini? Non fare la sciocca, stiamo parlando seriamente, Jane Russell nel film “Gli uomini preferiscono le bionde”, 1963) e che raggiungere posizioni danarose notevoli bisogna dotarsi di una pertinacia ossessiva e monomaniacale per farlo (non è poi tanto difficile fare un sacco di soldi, se uno ci tiene, Everett Sloane nel film “Quarto potere”, 1941).

Con una certa leggerezza, che non nasconde l’ironia corrosiva ed una sorta di disprezzo di salvataggio, il denaro si conquista con metodiche differenti da quelle propinate alla moltitudine nell’affermare che i soldi non si fanno con il lavoro, si fanno con i soldi: non lo sai? (Johnny Dorelli nel film “Pane e cioccolata”, 1974), come pure che ci sono due semplici strade per avere i soldi: o li rubi o te li sposi, Tony Curtis nel film “Operazione sottoveste”, 1959). Persiste una certa filosofia keynesiana che appoggia sulla circolazione della ricchezza la nuova religione del denaro e la sua giustificazione di essere quando viene affermato che il denaro non è che carta se non lo spendi, (Virginia Mayo nel film “La furia umana”, 1949) e soprattutto che il denaro ha le gambe, e deve camminare. Altrimenti, se resta nelle tasche, prende la muffa (Elio Marcuzzo nel film “Ossessione”, 1943). Il dialogo del denaro con il cinema continua.

Aggiornato il 26 aprile 2021 alle ore 11:04