L’Italia veloce

In una Italia veloce, che cambia passo e che vuole essere modello di crescita, si deve necessariamente – quasi fosse una regola morale di stampo kantiano – dare spazio al tema dei diritti umani, elemento alla base di qualsiasi discorso di sviluppo economico prima ancora che politico e sociale. Purtroppo questo discorso non si realizza sempre e soltanto l’attualità politica internazionale ha messo in evidenza come il cammino dei diritti sia un percorso fragile, irto di insidie, la cui salvaguardia si alimenta grazie all’interesse costante suscitato nell’opinione pubblica (non solo nazionale) che si appassiona ai grandi temi del valore e della tutela della persona. 

Per questo ė stato dedicato dalla Lega delle Autonomie locali un appuntamento del Festival della città, che si sta svolgendo a Roma. Il focus di quest’anno è l’innovazione sociale, tecnologica e digitale, il tema dei diritti umani, a cui hanno partecipato giornalisti come Andrea Purgatori, Giulio Gambino e Francesca Mannocchi e politici come Andrea Soddu, sindaco di Nuoro e Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia. Nell’incontro sono emersi quesiti su come conciliare l’aspirazione ai diritti umani con elementi pragmatici di economia e politica estera, o la maniera in cui salvaguardare i risultati raggiunti specialmente per quanto riguarda le minoranze e le donne, a cui più di ogni altra categoria sociale i diritti vengono negati. 

Sono state ricordate le vicende che negli ultimi mesi sono accadute in Afghanistan, dove il ritiro degli americani e delle truppe occidentali ha lasciato spazio al ritorno del regime talebano, messo da parte dopo l’intervento militare a guida statunitense iniziato in seguito ai tragici attentati dell’11 settembre. Manocchi ha ricordato che l’80 per cento delle donne afghane vive nelle campagne, dove si combattono le guerre. Laggiù i diritti non sono mai arrivati – semmai questi hanno raggiunto soltanto le ėlite occidentalizzate delle città. Questi eventi hanno fatto sì che il tema dei diritti si ripresentasse in maniera forte nell’agenda internazionale, anche se motivi di spunto per la riflessione non arrivano solo dall’Afghanistan, ma in tutti quei casi dei singoli vengono minacciati o messi in crisi da forze tiranniche o autoritarie, come nella vicenda del giovane egiziano Patrick Zaki, in carcere da diverso tempo perché non allineato alla politica del regime egiziano.

I diritti dell’uomo sono uno degli architravi su cui fonda la moderna cultura occidentale, una delle cifre che ci definiscono nel mondo e che raccontano la lunga storia di progresso politico ed esistenziale della nostra identità occidentale. Sono quanto di più prezioso possediamo, ma oggi corrono il rischio di essere incrinati dell’acidità dei discorsi fondamentalisti, i quali affermano la falsità degli ideali del bene dell’uomo e della donna. Affermare una logica dei diritti non ė un discorso semplice, ma sicuramente si misura con la complessità delle situazioni che vivono le popolazioni dei paesi più arretrati o a leadership autoritaria, come il mancato sviluppo economico, l’arretratezza intellettuale, un deficit di critica sociale capace di mostrare i punti di crisi che possano sollecitare percorsi di riforma. In particolare, un tema come quello dei diritti delle donne deve essere portato avanti con decisione, ma con la consapevolezza di trovarsi di fronte a un percorso difficile e potenzialmente lungo che non può essere affermato secondo una logica di potenza, di forza fondata sulle armi, ma con le armi dialettiche della persuasione culturale e del discorso ragionevole orientato a valorizzare i percorsi di vita delle persone

Purgatori ricorda come l’Italia negli ultimi decenni non abbia avuto un atteggiamento definito e deciso con paesi stranieri governati da regimi, da cui talvolta dipendiamo per quanto riguarda l’approvvigionamento di risorse. Occorre un maggior impegno, non solo militare – ricordiamo che l’Italia ė uno dei paesi che ha più contingenti militari impegnati in missioni all’estero – perché la forza dell’Italia dovrebbe poggiare sull’autorevolezza del suo trascorso storico, sull’esempio che ha portato la nostra nazione, con tutti i suoi problemi, ad essere un moderno stato democratico. Certo, non si può pensare che la visione della libertà e della democrazia siano omogenei, che possano adattarsi allo stesso modo a culture diverse, ognuna con la sua storia specifica. Sicuramente la cultura del dialogo, dell’ascolto e della diplomazia sono una cura universale ai mali politici: trovare le soluzioni ai problemi, e mostrare le modalità in cui queste possano essere escogitate, ė la maniera per coinvolgere anche chi si sente messo da parte dal discorso sui diritti sull’importanza della loro validità.

Aggiornato il 30 settembre 2021 alle ore 13:31