Visioni. “Gomorra 5”, l’inizio della fine di Gennaro Savastano

La caduta di Gennaro Savastano è iniziata. La quinta stagione di Gomorra, la serie tivù in onda su Sky, racconta la parabola conclusiva del boss di Secondigliano. Alla fine del capitolo precedente, Genny (Salvatore Esposito), per salvare la moglie Azzurra (Ivana Lotito) e il figlio Pietro, si nasconde in un bunker. Infine, uccide Patrizia Santoro (Cristiana Dell’Anna), braccata dalla magistratura e dalla famiglia Levante. Dopo L’immortale (2019) l’intermezzo cinematografico firmato da Marco D’Amore, regista della nuova stagione di Gomorra, i primi quattro episodi dell’ultima stagione raccontano il ritorno di Ciro Di Marzio (D’Amore) e lo scontro finale con Genny. L’ondivago rapporto dei due amici-nemici rappresenta il nucleo narrativo principale della stagione conclusiva di Gomorra.

L’emblematica battuta dei primi episodi viene pronunciata quando Azzurra si rivolge al marito: “Genny, tu sei come tuo padre. Sei diventato la persona che hai sempre odiato”. È il tema dell’ultimo capitolo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. È la celebre frase pronunciata da Tancredi Falconeri, nipote di don Fabrizio Corbera, Principe di Salina, nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il gattopardismo è il tratto distintivo di Gomorra. Un auspicato cambiamento rivoluzionario che non cambi niente. Nell’epopea criminale tratta dall’omonimo best seller di Roberto Saviano e dal film di Matteo Garrone nessun personaggio cambia veramente. Il filo rosso che lega il racconto è il potere della menzogna.

Genny, lasciato il bunker in cui si è autorecluso, prova a riprendere il controllo dell’impero perduto. Per tornare sul trono usa ogni mezzo, come sempre. Dopo la mattanza ordita ai danni dei Levante, riconquista le piazze dello spaccio. Sembra che niente e nessuno possa fermarlo. Ma il segno della fase discendente è scandito da un doppio nemico: il redivivo Imortale, da una parte; e lo Stato, attraverso la polizia e la giustizia, dall’altra. Walter Ruggieri (Gennaro Maresca) è un magistrato flemmatico che ha un unico obiettivo: arrestare don Gennaro. Ma l’indagine si rivela complicata e piena di lacune. Oltre a Ruggieri, un’altra figura permeata da sdegno e rassegnazione, è Grazia Levante (Claudia Tranchese). Promessa sposa del Munaciello (Carmine Paternoster), decide di morire. Ma, nell’universo gomorriano, si registra un’autentica agnizione: l’incontro tra il maestro e l’allievo. Ciro si presenta al cospetto di Sangue Blu (Arturo Muselli). Si tratta di una delle scene più intense della stagione. Insieme muoveranno contro il nuovo don Savastano. La resa dei conti finale è appena cominciata. La vendetta è il metro che guida la giustizia criminale.

In Gomorra 5, la regia di Marco D’Amore, non regala sorprese. I primi piani sono continui, i faccia a faccia (cifra stilistica, a lungo parodiata) sono numerosi ed estenuanti. Campi, controcampi e piani d’ascolto si susseguono con passo ridondante. La recitazione è costantemente sopra le righe. A tratti grottesca. Solo la lingua napoletana, musicale per definizione e carica di verità, offre lampi realistici di orrore quotidiano. Tuttavia Gomorra suscita ancora l’interesse dello spettatore. È un racconto dalle ambizioni shakespeariane governato, esclusivamente, dal male. Un intreccio su cui, al momento, in attesa dell’ultimo dei dieci episodi, occorre sospendere il giudizio.

   

Aggiornato il 04 dicembre 2021 alle ore 10:30