“Gli amori di Anaïs”: se la vita è un soffio

Nome di giovane donna: Anaïs. Storia di chi corre verso la vita e di chi, invece, come Emilie, fa decantare il tempo che passa con eleganza e compostezza, pesando ogni granello mentre scivola per sempre sul fondo di quella clessidra che non è possibile mai ribaltare, in base all’esperienza mortale. Una storia di chi scrive e di chi è trascritto, all’interno di un circolo intellettuale che va dagli insegnanti della Facoltà di Lettere di Parigi, agli editori famosi che sposano scrittrici di successo, con le loro case borghesi di campagna alla Tolstoj, luoghi ideali dell’ispirazione per indagare, riflettere e far emergere il testo finale dalle sue innumerevoli cancellature precedenti (Paul Valéry), come farebbe il segno di uno scalpello sbrecciando la pietra.

Perché, poi, occorre davvero ribadire come le cancellature del testo siano l’atto vero della scrittura (André Breton), al pari degli errori umani che tracciano il percorso autentico di una vita. Tutto questo, e molto altro, è detto in immagini, parole e in parentesi nel film Gli amori di Anaïs, della regista Charline Bourgeois-Tacquet, con Anaïs Demoustier (Anaïs), Valeria Bruni Tedeschi (Emilie) e Denis Podalydès (Daniel) in uscita nella sale italiane da oggi.

Sul piatto che ruota, come quello di crudités in un sushi shop, i clienti protagonisti colgono in movimento le ciotole che gustano lo sguardo, spesso ignorandone il contenuto. Qui, sul piano teleologico, l’incontro casuale delle vite coincide con il crocevia fobico di Anaïs, che ha il terrore dei tunnel della metropolitana (preferendole la bicicletta con qualunque tempo e traffico), delle cabine anguste degli ascensori e di rimanere la notte a dormire con i suoi amanti, perché il letto diviene così un luogo angusto, in cui sentirsi presi in trappola.

Un film come un discorso sulle giovani donne, soprattutto, che decidono chi e quanti uomini amare, nella dissolvenza perenne di legami affettivi labili, che nulla concedono al partner in fatto di decisione sulla maternità. Salvo, poi, in età adulta e fuori tempo appellarsi agli ultimi cascami di fecondità, per rimorso o per bisogno reale di essere donna fino in fondo, sola o accompagnata. Un letterale ribaltamento del piano storico dell’ancillarità, in cui tradizionalmente competeva alla donna l’esercizio della parte del soccombente, ma che oggi, nella qualità di ex-vittima, consuma con grande prepotenza e disinvoltura le sue vendette, da artista affermata o da semplice fanatica del #MeToo, mettendo l’uomo, il maschio disprezzabile, al bordo inferiore del piano inclinato, tutto per lui da risalire con grandissima fatica.

Così, le figure di maschi giovani e maturi degli Amori di Anaïs vengono schiacciati da una primitiva pressa di Gutenberg, in cui la composizione privilegia i caratteri femminili ridicolizzando quelli maschili. Soprattutto nelle tre figure del triangolo, dove non c’è storia né competizione tra la parte sensuale e amorosa del binomio Anaïs-Emilie, rispetto all’inibizione maschile e alla asimmetria della carica sessuale all’interno della coppia del Daniel maturo e della giovane esuberante Anaïs. E sempre sotto quella pressa gutenberghiana per la riscrittura della Storia finiscono tutte le giovani figure maschili frequentate da Anaïs, dal fratello, al boyfriend al tuttofare; e perfino suo padre.

Quasi marionette, in fondo, tra le agili dita di lei, che li usa e li manipola riuscendo a creare all’interno di tutti loro una dipendenza che non sanno spiegarsi, supini alla volontà di quell’esuberanza femminea che non lascia repliche, a causa del passo che va sempre di corsa, impedendo persino un abbozzo di dialogo nella pur necessaria resistenza, lasciata inesorabilmente cadere come tante feuilles mortes. In questo caso, la passione irrefrenabile della giovane donna nei confronti della matura scrittrice passa per tutte le sfumature pregiudiziali del più sano e ingenuo innamoramento intellettuale, per poi ribadirne per entrambe anche quello dell’incontro carnale esplicito, consumato in un luogo idilliaco (sul modello di Morte a Venezia, ma con molta più gioia di vivere). Trattato però, questo approccio intimo tra donne, più come un punto esclamativo messo tra parentesi al termine di un passaggio di forte intensità prosaica, teso a negare con efficacia e determinazione qualsivoglia tentativo di voyeurismo e di sconfinamento pornografico.

Nel tessuto sottile e delicato della trama, si colgono anche aspetti psicanalitici forse inconsapevoli, a causa del forte parallelismo esistente tra una madre molto malata, dolce e tenerissima, e un’amante matura sua coetanea, altrettanto avvolgente e suadente. Un rapporto, quello di Emilie-Anaïs che sembra voler rinviare con l’innesto di una nuova vita quell’inevitabile cesura del più classico (e sano) complesso di Edipo che caratterizza molto spesso il rapporto genitori-figli, sia in senso matrilineare che pater lineare. La morte di una madre, in particolare, a causa del legame profondo ed esclusivo che la lega al figlio o alla figlia, è qualcosa che fa disperare e piangere sotto le stelle e al buio, perché le lacrime rimangano ignote a chi non le pianga. Un solo piccolo dispiacere, per chi vedrà il film doppiato: Valeria Bruni-Tedeschi non darà la sua bella voce profonda e sensuale a se stessa, pur essendo una bilingue italo-francese perfetta. Mistero.

Aggiornato il 28 aprile 2022 alle ore 11:21