La teologia razionale di San Tommaso d’Aquino

Immaginiamo Anselmo, uomo internazionale, siamo appena sopra l’anno Mille, la cultura europea era più internazionale di oggi, aveva in comune la lingua latina e in comune il Cattolicesimo. Anselmo era ossessionato dalla presenza di Dio. Ignoro se vi sia uno studio su questa presenza incombente di Dio nel Medioevo, che scema fin quasi a esaurirsi nella società moderna. Parlo dell’Occidente. Azzardo un’ipotesi, questa: le epoche dove è presente il valore gerarchico, l’autorità sovrana, l’autoelevazione, il superamento di sé, hanno bisogno di una figura assoluta e niente esiste di più assoluto di Dio. In termini psicoanalitici, diremmo che Dio è l’ideale dell’Io.

Anselmo, l’ho accennato in altra sede, è ossessionato dal concetto di perfezione e attribuendola a Dio tra le perfezioni gli attribuisce l’esistenza. Fa anche un discorso “al contrario”: se esiste l’imperfetto esiste il perfetto e questo perfetto è Dio. Sorpassiamo l’ingenuità di definire Dio come il perfetto o il perfetto come Dio. Perché il perfetto deve essere Dio non è spiegabile, né spiegato. Bonaventura è invece attratto dalla bellezza e ritiene che Dio si manifesti attraverso la bellezza o meglio che la bellezza è un grado di vicinanza a Dio. Magnifica concezione che nulla dimostra dell’esistenza di Dio, ma stabilisce quella religione estetica che domina il Cattolicesimo.

Ma vi è chi ritenne di avere tutte le ragioni ricorrendo alla ragione umana per dimostrare l’esistenza di Dio: è Tommaso d’Aquino. Dimostrare l’esistenza di Dio, la meta dell’umanità almeno dopo l’evento cristiano. Più cristiano che ebraico. Gli ebrei hanno fede in Dio indipendentemente dalla certezza dell’esistenza di Dio. È una delle più raffinate teologie, se non la più raffinata. Celebre l’episodio di Maestri ebrei che si radunano per discutere se è provabile che Dio esiste, concludendo che non esiste o che non è provabile. Dopo di che di corsa vanno ai riti sacri.  Non è il momento di analizzare l’episodio, di decisiva importanza, la religione come identità di un popolo, cultura in senso antropologico e fedeltà in senso storico. Riti, culti, memoria.

Tommaso d’Aquino nacque a Roccasecca nel 1225 e morì a Fossanova nel 1274. Non ebbe vita lunga, sebbene all’epoca la vita era minima rispetto a oggi, ma fece opera possente. Il Colonnato del Bernini del Cattolicesimo e, del resto, la Chiesa lo ritiene il teorico essenziale ancora oggi, specialmente i domenicani e i gesuiti. Tommaso è anch’egli ossessionato dalla paternità divina, mentre in terra è sovrastato dalla amatissima paternità di Aristotele, discepolo ossequientissimo. Trasse da lui la fiducia nella ragione, la quale ragione è tanto razionale per Tommaso da riconoscere i propri limiti e inoltrarsi razionalmente nella fede, ossia la ragione dice a se stessa: devi ricorrere alla fede quando non capisci. È una condizione della mente che sarà ripresa da Dante Alighieri, con la differenza cosmica che Dante si spinge al misticismo sollevando la poesia all’estremo, all’abbandono in Dio, alla fusione in Dio, laddove Tommaso è di un ancoraggio alla razionalità fermo quanto il Sole.

E quali sarebbero gli argomenti razionalissimi che provano l’esistenza del Padre Dio? Sono celeberrimi. L’argomento cosmologico, ciò che si muove è mosso. Bisogna però supporre qualcosa che muove senza essere mosso perché il procedere all’infinito ripugna alla filosofia. È un argomento ripreso da Aristotele che lo definiva Motore immobile, solo che Aristotele non lo univa a Dio almeno nel senso del Dio cristiano. Più o meno simile è l’argomento causale: tutto ciò che esiste ha una causa. Deve esistere una causa non causata altrimenti si procede all’infinito. Questa causa prima è Dio. Prova della contingenza: ciò che esiste non ha una necessità di esistenza, suppone qualcuno che gli abbia dato origine, ma deve esistere qualcosa, qualcuno, che dà origine senza riceverla, ed è Dio. Prova della gradazione: ciò che esiste ha qualcosa di più perfetto, finché si giunge alla perfezione assoluta che è Dio. Evidentemente riprende da Anselmo.

E, per ultima, la prova della finalità: ciò che esiste ha uno scopo, ma questo scopo deve essere lo scopo ultimo conclusivo. E ovviamente Dio è lo scopo conclusivo in cui si quieta appagata la ricerca di un fine. Quando noi moderni consideriamo queste argomentazioni sbalordiamo della semplicità delle stesse. Avendo studiato dai gesuiti e vivendo queste argomentazioni direttamente e successivamente in discussioni con eminenti teologi. Appare che l’insieme degli argomenti si riconduce al non ritenere ciò che esiste increato, ma supporlo creato. L’ipotesi non ha fondamento. Perché l’Universo “deve” essere creato e perché da un Dio, e perché dal Dio Cattolico? Del resto, è già da secoli che questi argomenti sono stati sminuiti. Per esempio, se si dice che esiste un ordine nell’Universo e che questo ordinatore è Dio, si commette un errore logico.

Come possiamo dire che è Dio l’ordinatore se non crediamo già in Dio (è Albert Einstein che ipotizza una Intelligenza Suprema e le dà il nome di Dio, ma perché darle questo nome?). Dovremmo limitarci a dire che (forse) c’è un ordinatore. Lo stesso per altri argomenti. Possiamo dire che c’è una causa, ma non necessariamente che questa causa sia Dio, meno che mai che sia Dio di una religione. Eppure questi argomenti sono alla base del Cattolicesimo. Perché? Perché costituiscono una spiegazione antropomorfa e l’uomo ha bisogno di proiettare se stesso nel cosmo a somiglianza di quel che concepiva Platone, il quale riteneva che esistesse un Demiurgo che formava gli esseri. Con l’abissale taglio di spada che distingue il Demiurgo da Dio, in quanto il Demiurgo forma e Dio crea. E questa “novità”, la creazione, tanto simile al parto, è l’essenza del Cattolicesimo e dell’Ebraismo, ma anche dell’Islamismo.

Altra temerarietà, per così dire, nell’argomento di Tommaso è che il mondo si differenzia da Dio, non è in Dio, che la natura è separata da Dio e quindi Dio e la natura sono distinti. Il che è indispensabile. Perché se la natura fosse in Dio l’uomo non sarebbe libero, l’uomo sarebbe dentro Dio. Ma anche questo argomento è di impervia consistenza. Tommaso dice che il mondo è analogo a Dio. Non è facile capire che cosa intendesse. Occorre spiegare come mai Dio è tutto, ma la Natura non è in Dio! Ecco, comunque, che significa voler ricorrere alla ragione per fondare la religione. Avevano “ragione” i francescani a non fare entrare la ragione nei subbugli della religione? Sarà il rimprovero accanitissimo dei francescani a Tommaso. Francesco si distanziava dalla ragione, si abbandonava all’amore per tutto e tutti, all’amore verso Dio creatore della natura. E l’amore non deve dimostrare, ma mostrare, mostrarsi. È appena l’inizio del viaggio della teologia razionale di San Tommaso d’Aquino.

Aggiornato il 05 maggio 2022 alle ore 11:52