Visioni. “Esterno notte”, il racconto di un Paese dilaniato

La Passione di Aldo Moro racconta il potere politico italiano. Marco Bellocchio in Buongiorno, notte, suo capolavoro del 2003, mette in scena il rapimento, la detenzione e l’omicidio, del presidente della Dc da parte delle Brigate rosse. Esterno notte nasce come mini-serie composta da 6 episodi per Rai 1, ma è anche un doppio film per le sale: il 18 maggio e il 9 giugno scorsi. La sceneggiatura scritta dallo stesso Bellocchio, insieme a Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino narra una storia corale dalla struttura multilineare. Il regista approfondisce e amplifica la parabola privata e pubblica di tutti i protagonisti di questa tragedia nazionale lungo i 55 giorni del sequestro. Lunghissimi giorni in cui la politica mostra il suo volto cinico, maldestro, spietato. Bellocchio gira un’opera solenne, evitando con cura, il ricorso al grottesco. Stilizza i personaggi. Li lima. Li asciuga.

A parte Francesco Cossiga (interpretato da un vibrante e talentuoso Fausto Russo Alesi), ciclotimico ministro dell’Interno, autentica anima tragica della serie tivù. Un uomo senza qualità che deve tutto a Moro, ma che non riesce a salvare il proprio mentore dalla morte. Papa Paolo VI (cui dà il volto un tenero e dolente Toni Servillo), amico personale di Moro, nonostante sia malfermo e divorato dai dubbi, è l’unico che si adopera per una liberazione dietro il pagamento di un riscatto in denaro (dove sono finiti quei 20 miliardi). Eleonora Chiavarelli (interpretata da una irredenta Margherita Buy), la moglie dello statista, mostra, nonostante una sospettosa resistenza nei confronti dello Stato, tutta la sua inquieta insoddisfazione nei confronti del marito. La brigatista Adriana Faranda (una intensa Daniela Marra) è una madre che sacrifica la famiglia e la propria giovinezza per un sogno sbagliato. Valerio Morucci (il disincantato e indolente Gabriel Montesi), compagno della donna, non crede affatto alla rivoluzione. Uccide perché odia visceralmente i democristiani.

Non a caso, l’immagine del film, una croce di rose e uno scudo di spine, è emblematicamente cristologica. Così viene riletto il logo della Democrazia cristiana nel manifesto di Esterno notte. È un’icona che sintetizza la poetica di Bellocchio, ora rigorosa ora totalmente disillusa. La domanda che si pone il cittadino-spettatore è inevitabile: “Moro poteva essere salvato dallo Stato?”. La risposta, secondo il cineasta, implacabile nel giudizio negativo rispetto al potere dello scudocrociato, è sempre affermativa. Il sequestro di Aldo Moro viene raccontato da opposte prospettive, in perenne conflitto tra loro. Fabrizio Gifuni interpreta magistralmente un Moro “quotidiano”, dalla voce rotta, preoccupato per la propria famiglia, permeato da un’irrefrenabile voglia di vivere. Un uomo mite che conosce, sin dal rapimento, il finale di partita eppure spera e sogna la libertà. E prega. Anche se la preghiera non placa la sua insonnia. È un Moro autenticamente cristiano. Che s’interroga sui principi di pietà e perdono, ma non può fare a meno di accusare la protervia e l’ipocrisia degli uomini che governano il suo partito. Ma se in Buongiorno, notte il Moro di Roberto Herlitzka è un uomo pacificato che celebra, accompagnato dalle note di Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd, l’improvvisa liberazione, passeggiando all’alba tra le vie di una Roma ancora dormiente, il Moro di Gifuni è un politico che, dopo la sofferenza e l’abbandono collettivo, decide di dimettersi dalla Dc.

La serie tivù, a questo proposito, ha una straordinaria struttura circolare. Si apre e si chiude sul confronto muto tra il presidente della Dc che giace in un letto d’ospedale, provato dalla detenzione brigatista, al cospetto dei suoi amici di partito: il presidente del Consiglio Giulio Andreotti (Fabrizio Contri); il segretario della Dc Benigno Zaccagnini (Gigio Alberti); il ministro Francesco Cossiga. “Alla luce dei recenti fatti – dichiara la voce fuori campo di Moro-Gifuni – ogni mia futura carica, ogni mio incarico nel partito non sarà più possibile, mi dimetto dalla Dc”. Naturalmente la visione di Bellocchio mostra un risvolto ipotetico che avrebbe cambiato radicalmente, in maniera imprevedibile, la storia del nostro Paese.

Esterno notte è un eccezionale affresco politico del nostro Paese dall'andamento ucronico. Uno degli ultimi maestri del cinema italiano mette in scena, con lucida rabbia, la Notte della Repubblica. Il punto di non ritorno. L’Italia di fine anni Settanta è un Paese che professa il collettivismo. In realtà, è profondamente malato di individualismo disperato. Le famiglie sono tormentate. Il dolore non unisce. Separa. Per sempre. Bellocchio, firmando il suo pasoliniano “J’accuse” contro il potere democristiano, fonde, con una grazia mozartiana, lo sguardo d’autore con il racconto popolare. Come riesce a fare solo il grande cinema, Bellocchio non dà risposte. Pone domande, solleva interrogativi. Mostra l’incertezza di un Paese dilaniato.

Aggiornato il 28 novembre 2022 alle ore 14:05