Serge Gainsbourg, maledetto e infelice chansonnier

La scomparsa di Jane Birkin, icona di bellezza e seduzione ed ex compagna dello stravagante e irriverente cantautore Serge Gainsbourg, riporta alla luce un pezzo di storia francese che ha fatto sognare mezzo mondo, a volte scandalizzando, a volte suscitando un senso di ipnotica ammirazione. In realtà né la Birkin né Gainsbourg avevano origini francesi: lei, inglese, era arrivata a Parigi per inseguire un sogno, mentre lui era figlio di genitori ucraini. Ma pochi, come loro, hanno interpretato i sentimenti della Francia più introspettiva, personificati a egual livello forse solo da Dalida, anche lei francese d’adozione.

Oggi tutti ricordano la canzone scandalo “Je t’aime… Moi non plus”, del 1969, che Gainsbourg aveva dapprima cantato insieme a Brigitte Bardot, ma che poi la bionda attrice gli aveva chiesto di non pubblicare perché quel brano pieno di sospiri avrebbe potuto provocare la reazione del marito Gunter Sachs. Gainsbourg tenne il brano nel cassetto fino a quando non lo reinterpretò con la Birkin, che accettò per una questione di gelosia con la Bardot, con cui nel frattempo Gainsbourg aveva composto un altro brano, “Bonnie and Clyde”, accompagnato da un memorabile video da cui traspare un evidente legame fra i due.

“Je t’aime… Moi non plus”, in realtà un nonsense linguistico “Ti amo (voce femminile)… Nemmeno io (voce maschile)”, fu il successo che lanciò la coppia Gainsbourg-Birkin, nonostante le censure e la condanna del Vaticano.

Fra i due il vero artista era indubbiamente Gainsbourg, un artista totale anche nella vita, una sorta di Baudelaire contemporaneo, come lo definì il presidente francese François Mitterand. Ma era anche il terrore di ogni famiglia borghese e benpensante che avesse una figlia bella e giovane da maritare, un esempio di contagiosa e attraente sregolatezza. La sigaretta sempre in mano (anche durante i concerti), la voce impastata dall’eccessivo uso di whisky e gli eccessi avevano trasformato Gainsbourg in una icona maledetta. Non poteva dirsi bello, nonostante le sue innumerevoli conquiste, con quelle orecchie a sventola e gli occhi “di un rospo sulla sedia elettrica”, come disse la Birkin.

Completamente ubriaco durante una trasmissione televisiva fu messo accanto alla cantante Whitney Houston e dopo un inusuale baciamano si lasciò andare a qualche affermazione di troppo (“I want to fuck you…”), mentre la sua mano scivolava sul volto della Houston che imbarazzata cercava di allontanarlo. Ma Gainsbourg ci ha lasciato anche momenti di sublime bellezza, come quando improvvisò al pianoforte una colonna sonora alla descrizione che la Birkin stava facendo di lui. O quando ritrovò inaspettatamente se stesso e si abbandonò alle lacrime di fronte a un coro di bambini che, vestiti alla Gainsbourg, intonavano parafrasando uno dei suoi maggiori successi “Je suis venu te dire que je m’en vais” (“Sono venuto a dirti che me ne vado”), altro titolo ispirato alla definitività delle scelte. Anche la sua rivisitazione della “Marsigliese” in versione reggae, che fu la causa di minacce di morte da parte dell’ultradestra nazionalista, era in realtà un inno allo spirito libertario originario della Francia.

Un uomo così era però troppo anche per una anticonformista come la Birkin, che dopo l’ennesimo litigio arrivò a gettarsi nella Senna, salvo poi rientrare insieme a lui mano nella mano nell’abitazione di Rue de Verneuil. Dopo dodici anni di vita insieme, la Birkin decide di andarsene e di sposare il regista Jacques Doillon, da cui ebbe Lou, la terza figlia, dopo Kate Barry (la primogenita morta suicida a 46 anni, avuta con il compositore John Barry) e Charlotte Gainsbourg, ombrosa ed enigmatica attrice dall’altrettanto enigmatico rapporto con il padre Serge.

Nonostante il nuovo matrimonio, il rapporto della Birkin con Gainsbourg non si è tuttavia mai interrotto, quantomeno artisticamente. Nel marzo del 1991 Gainsbourg non regge al secondo infarto (dopo il primo infarto disse che si sarebbe curato aumentando il consumo di sigarette e whisky) e muore nella casa di Rue del Verneuil. Juliette Gréco, che gli era stata molto vicina, commentò: “Aveva tutto, tranne la felicità”.

Lo stesso mese della sua morte, Jane Birkin toccò il momento più struggente della sua vita musicale intonando al casinò di Parigi “Je suis venu te dire que je m’en vais”, con il volto segnato da una lacrima non trattenuta. Ovazione del pubblico e grande commozione per quel maledetto chansonnier che era riuscito a toccare il cuore dei francesi. Al termine dell’esibizione, Birkin, ancora bellissima, appoggiò delicatamente a terra il microfono e abbandonò il palco. Un gesto simbolico, di profonda sensibilità nei riguardi di quell’uomo che aveva segnato così profondamente la sua vita.

Aggiornato il 26 luglio 2023 alle ore 15:33