L’Otello di Carniti, il male al potere: seduzione e possessione al Globe Theatre

Per tutte le violenze consumate su di lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le sue ali che avete tarpato, per tutto questo: in piedi, signori, davanti a una donna”.

Se questa frase fosse stata scritta ieri non ci saremmo meravigliati. Ma questa frase è attribuita a William Shakespeare, il Bardo, cioè il drammaturgo dell’amore. Marco Carniti, regista al debutto all’Arena del Globe Theatre di Roma con l’Otello di William Shakespeare (in una sua traduzione e adattamento), questa frase commovente, tragica e suggestiva, l’ha voluta piazzare nel foyer all’aperto su un mega pannello nero.

Perché? Perché Marco Carniti, regista con all’attivo un curriculum di opere del repertorio shakespeariano, ha fatto di più. Incontrandolo prima dell’inizio della prima, ieri sera, ha detto: “Ho voluto legare l’Otello ai femminicidi odierni”. Come? Entrando nell’Arena per prendere posto, un altoparlante diffondeva una voce grave, quasi venisse dal nulla, che incessante scandiva nomi. I nomi delle donne uccise. E qui inizia l’opera. “Penso oggi a Otello come una tragedia totalmente moderna”, ha scritto il regista nell’introduzione al suo adattamento, “che esplora un dramma intimo, familiare. Una storia di violenza che si consuma tra le quattro mura di un ambiente domestico. Un dramma psicologico a tinte forti”.

La trama è nota. “Otello” è la tragedia che il Bardo mise in piedi agli inizi del XVII secolo, tratta da un racconto di poche pagine di Giambattista Giraldi Cinzio, contenuta nelle sue Hecatommithi, che fu rappresentata per la prima volta il primo novembre 1604 al Whitehall Palace di Londra. È la tragedia del “Moro” al servizio della Repubblica veneta, accusato di stregoneria, che avrebbe esercitato i suoi sortilegi per catturare l’amore della figlia del senatore Brabanzio, Desdemona. Che tradotto vuol dire “sfortunata”. Otello è innamorato perdutamente della fanciulla e ricambiato, ma il manipolatore Iago riuscirà a stravolgere il copione e trascinare tutti nelle sue spire. “Shakespeare parte da problematiche politiche e razziali per entrare nel labirinto della psicologia umana così da poter mettere luce sulla vera natura dell’anima”, ha detto Carniti. Ma è la mente che egli ha esposto per tre ore di narrazione teatrale.

I ruoli sono affidati a uno straordinario Maurizio Donadoni (Otello), alla candida Maria Chiara Centorami (Desdemona), al bravissimo Paolo Sassanelli (Iago), al giovane Massimo Nicolini (Cassio) e a un cast di personaggi tutti giusti, tutti misurati, perfettamente aderenti al testo e alla modernità voluta da Carniti. Voluminosi e dai profili d’epoca i costumi di Maria Filippi, fatti anche per occupare la scena, e perfette le musiche di David Barittoni e Giacomo De Caterini, che a tratti disegnano scenari alla Blade Runner. Cioè siamo nel futuro o nel passato? Questa la domanda che sale dalla visione di questo trattamento in scena fino al 17 settembre. Per questo Marco Carniti ha voluto “quella” frase, per di più attribuita a Shakespeare, comunque utilizzata in tante manifestazioni contro “i femminicidi”.

Cosa diceva il Bardo e cosa dice oggi il regista? È un mostro, non un uomo o una donna soltanto, “è un mostro dentro di noi”. La gelosia, cioè l’amore e la gelosia, la miscellanea impietosa, il gorgo sempre acceso, che non è cambiato nei secoli, che ieri come oggi orribilmente massacra. Al punto che le donne in sala di fronte alle scene più tragiche erano strette nei loro scialli, o abbracciate ai compagni, o sgomente, qualcuna ha urlato un piccolo “no”, perché l’opera è anche storia di fendenti, di coltelli e punizione. Per “un fazzoletto”, il fazzoletto che Otello ha regalato a Desdemona come patto d’amore e che l’amata e venerata consorte ha smarrito, ritrovato da Iago tra le mani del rivale Cassio, il giovane sospettato.

Nell’opera di Shakespeare nessuno ha tradito, nessuno ha violato, nessuno è colpevole e Carniti mantiene la trama, la pudicizia in alto, ma l’orrore no. L’orrore che pervade la sala all’aperto, ieri sera sotto una luna straordinariamente piena e vigile, anche lei partecipe nella notte dei sentimenti e delle pene, è diventato sempre più enorme, implacabile, gigantesco e reale. Perché abbiamo ideologizzato il male, lo abbiamo politicizzato, abbiamo cercato di spiegarlo e punirlo, in tutti questi secoli di chiesa e stato, di amore e peccato, ma non abbiamo capito che amore e sangue sono un destino rovesciato della tragedia della vita. Non c’è via d’uscita? Marco Carniti tenta, ovvio, una soluzione. Come avrebbe potuto restare indifferente al lungo elenco di nomi di vittime dei nostri giorni? E osservando il suo “Otello” intuisce che “solo la ragione sconfigge la follia”. L’amore conduce alla follia, ma la ragione può salvare.

Aggiornato il 01 settembre 2023 alle ore 15:42