Lo scontro di civiltà nei luoghi biblici: tutto è perduto?

È noto ai più che l’Islam divenne di drammatica attualità dopo la tragedia delle Torri Gemelle, obiettivo prescelto dalle frange estreme di tale Fede, in ragione del loro forte valore simbolistico di un Occidente odiato dagli integralisti. Purtroppo, nella communis opinio l’Islam nella sua interezza ha sovente finito con l’essere confuso con una sua degenerazione, non per questo da sottovalutare per l’appeal che, nei momenti di crisi economica come l’attuale, fanatici predicatori – peraltro presenti in ogni religione – sono in grado di esercitare su masse disperate e affamate, che nulla hanno da perdere nello scontro con delle società opulente. Ciò doverosamente premesso, vorremmo per sommi capi cercare di cooperare per ristabilire un minimo di verità nei confronti di una Fede che, nella migliore delle ipotesi, è ai più sconosciuta; nella peggiore è nota sotto una sinistra luce. Questa preliminare considerazione ci sembra indispensabile per introdurre una riflessione, necessariamente breve e senza pretesa alcuna di esaustività, sulle origini di una religione che, unitamente all’Ebraismo ed al Cristianesimo, deriva dal comune profeta Abramo, crede in un unico Dio e si ispira a dei precetti morali nei quali i punti di contatto, o addirittura di identità fra le tre grandi fedi monoteistiche, sono così numerosi che è fuorviante parlare o scrivere di “scontri di civiltà”.

Nel corso della storia ci sono stati bensì scontri tra cristiani e cristiani, ebrei e cristiani, cristiani e musulmani; ma più per motivi espansionistici, che per incompatibilità tali da giustificare delle guerre che si rivelarono tanto più cruente, quanto più giustificate dal richiamo alla propria fede di appartenenza. La differenza più marcata, sotto il profilo strutturale prima che contenutistico, dell’Islam rispetto al Cristianesimo, è data dal fatto che il primo, oltre a essere una religione, è anche una fonte di regole per l’economia, le scienze, le arti, la politica e il diritto, il quale ultimo rappresenta soltanto la decima parte dei precetti del Corano, testo sacro che Muhammad (570-632 Dopo Cristo) manifestò di aver ricevuto direttamente da Allah.

1) Il Corano è un codice di principi morali di facile comprensione, ispirato ad un’etica di giustizia di cui sono profondamente permeate le altre due religioni monoteistiche, la quale traspare anche nei dettami minutamente volti a regolare i più vari aspetti della vita sociale e individuale, contemplati accanto a quelli prioritariamente riguardanti il rapporto fra l’uomo e Allah.

2) Complemento delle norme coraniche è la Sunna, che è l’insieme dei comportamenti e delle espressioni usate dal Profeta.

3) Terza fonte normativa è la Igma (peraltro non riconosciuta dagli Sciiti), o consenso popolare, espresso tramite l’accordo tra i dottori, in quanto rappresentanti qualificati della Comunità circa le questioni religiose; il cui valore cogente trae fondamento dal detto di Muhammad “la mia comunità non si troverà mai d’accordo su di un errore”.

4) Le fonti, fin qui per sommi capi citate, sono di derivazione divina immediata (il Corano) o mediata (le altre due), mentre è prettamente umana l’analogia, la cui liceità risulta assai controversa tra le varie scuole dell’universo islamico: le correnti progressiste ve ne ammettono il ricorso, quando per disciplinare un caso privo di normativa si richiama quella esistente per un caso simile, ricomprendendovi anche la nuova fattispecie.

5) Quinta e ultima fonte, anche essa tipicamente umana e quindi non accettata dai tradizionalisti, è la consuetudine, che potremmo noi definire un grimaldello verso la modernità, trattandosi dello strumento più duttile per recepire l’evoluzione del comune sentire e per adattarsi alle specificità dei costumi e delle tradizioni che, naturalmente, variano da un Paese all’altro.

Le azioni umane nella religione islamica sono distinte in: obbligatorie, raccomandate, lecite, riprovevoli, vietate. Quelle obbligatorie sono divise, a loro volta ne:

1) la professione esterna della propria fede;

2) la preghiera quotidiana, da recitare 5 volte nella giornata;

3) il digiuno nel mese del Ramadan;

4) l’elemosina;

5) il pellegrinaggio alla Mecca.

Assai arduo fu sin dalle origini distinguere, tra le regole musulmane, quelle sacre in stretto senso e quelle profane, il che ne segnò la differenza più marcata sotto il profilo strutturale – come già accennato – con il Cristianesimo medioevale, che malgrado la simbiosi “ambientale” con il diritto romano che dette adito alla ricordata teorizzazione del cosiddetto Utrumque Ius, si mantenne ben distinto da esso, così come si venne progressivamente ad accentuare la separazione tra l’Impero e la Chiesa. L’Islam non conobbe una differenziazione altrettanto netta tra la sfera civile e quella religiosa, con la conseguente difficoltà di teorizzare l’autonomia dello Stato dal potere spirituale, il che avrebbe poi avuto inevitabilmente delle ripercussioni negative sulla scienza del diritto, che restò arroccata alla tradizione, senza poter giungere alle astrazioni necessarie per la configurazione di una giustizia libera da condizionamenti di tipo confessionale. Vero è che alla fine del secolo VII era iniziata l’elaborazione di un sistema di diritto e della correlata scienza, che sarebbero stati redatti per iscritto nel secolo successivo a opera delle prime vere e proprie scuole di giurisprudenza.

Purtroppo, dopo un promettente avvio, già a far data dal secolo X, la scienza giuridica subì una battuta di arresto, vieppiù significativa se si considera che, in altri campi della vita civile, viceversa, progredirono grazie alla protezione accordata dai vari Califfati (Siria, Egitto, Mesopotamia, Portogallo, Spagna, Sicilia) le lettere, le arti, il commercio e le scienze, in un contesto di grande apertura culturale e cosmopolitica, che favorì anche il recupero dell’eredità scientifica e filosofica del mondo greco-ellenistico. A tale recupero contribuì significativamente Avicenna (980-1037), medico e filosofo, che è tuttora considerato uno dei più grandi esponenti del mondo islamico, presso cui si rese primo tramite la dottrina di Platone e di Aristotele. Sostenitore convinto dell’armonia tra Fede e Ragione, spirito cosmopolita e aperto a una cultura a tutto campo, Avicenna risultò essere un eclettico nel mondo arabo; ma il suo pensiero trascese ogni barriera e si rivelò di respiro universale. Nel secolo XI apparve il più grande teologo musulmano dopo Muhammad, al-Ghazali – noto in Occidente come Algazel – il quale confutò che con il solo strumento della Ragione si potesse arrivare alla Verità, raggiungibile in realtà mediante la Fede, che si poneva pertanto a uno stadio al di là della prima. Ciò non significava, peraltro, il rifiuto aprioristico del metodo logico per cercare di interpretare la verità rivelata, poiché anzi il raziocinio era un frutto della luce stessa dettata da Dio all’uomo per illuminarne l’interiorità. Il suo pensiero, tradotto in latino e con notevole risonanza in Occidente, avrebbe potuto rivelarsi provvidenziale per la dottrina islamica, per il richiamo ivi contenuto al volere stesso di Allah, giusto il quale ad ogni cambio di secolo sarebbe emerso un uomo pio, degno di indicare nuovi orizzonti alla religione, posta così in condizione di adeguarsi all’evoluzione del comune sentire.

Sotto il profilo della poliedricità culturale, la figura più eminente dell’Islam medioevale fu senza dubbio quella di Averroè (1126-1198), il cui pensiero fu tradotto in latino, raggiungendo ovunque in Europa ampia e meritata notorietà, in ragione del suo sapere a tutto campo. Averroè confutò al-Ghazali, notando che l’indagine scientifica non andava considerata necessariamente in contrasto con la ribadita infallibilità della rivelazione coranica. Lo stesso ordine razionale della natura – proseguiva – era una manifestazione dell’idea di Dio, principio primo di ogni armonia ed intelligenza. Unica era la Verità, ma differenti potevano essere le strade per accedervi: la Ragione per i filosofi e la Fede per il popolo comune; tra di esse dunque non antitetiche, bensì convergenti al medesimo fine. Nonostante la chiarezza di siffatta impostazione dottrinale, i suoi scritti vennero bruciati, in quanto considerati eretici dall’Islam tradizionalista; ma furono censurati anche in ambito cattolico. In realtà, il suo pensiero fu in Occidente male interpretato, poiché nel Medioevo fu travisato come una sorta di dottrina della “doppia verità”, in virtù della quale la Fede avrebbe potuto portare a talune conclusioni e la Ragione ad altre. Fortuna volle che, malgrado la furia incendiaria contro i suoi libri, la gran parte di essi fu salvata grazie all’impegno dei filosofi ebrei della Spagna cristiana e della Provenza. L’Islam, una volta sconfessati i lungimiranti tentativi di cercare l’armonizzazione tra la Fede e la Ragione, che ne avrebbero potuto fare una “religione di avanguardia”, subì una battuta d’arresto nell’adeguamento della dottrina al divenire storico; mentre il mondo cristiano – non senza resistenze – subì l’influenza dei dibattiti apertisi in seguito all’Umanesimo, al Rinascimento e infine all’Illuminismo.

Il Medioevo fu illuminato – per quel che concerne l’apporto dell’Ebraismo in particolare – dagli scritti di Mosè Maimonide, il più grande interprete della filosofia aristotelica per tale Fede, influenzando la storia del pensiero non solo nel mondo suo proprio, ma anche in quello cristiano ed in quello islamico. Le tre diverse Fedi si incontrarono non solo nell’identità di alcuni precetti, come l’amore per Iddio e per il prossimo, ma anche sul terreno di una medesima razionalità, grazie alla quale poteva rendersi possibile l’interpretazione evolutiva- rispettivamente- della Torah, dei Vangeli, del Corano. Maimonide, San Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, Averroè e Avicenna, solo per citare i più celebri, furono dunque i discepoli ideali di Aristotele e si ispirarono alla sua Logica, traendone spunti metodologici per dimostrare la finale compatibilità tra le rispettive Fedi e la Ragione. È noto, purtroppo, che a fronte di spiriti eccelsi e lungimiranti come quelli appena ricordati, aperti al confronto e al reciproco arricchimento nella diversità, nel corso della storia ebbero a prevalere logiche “identitarie” e collisive, dalle quali scaturirono conflitti tanto più gravi, quanto più adducenti motivazioni di tipo religioso. Ai nostri giorni, innanzi a una sempre più massiccia presenza di credenti islamici nel mondo Occidentale e – purtroppo – in seguito alla strage dell’11 settembre 2001, è stato sollevato il problema, per l’innanzi poco avvertito, del vero volto del mondo musulmano con il quale si è chiamati a relazionarsi. Assai  rilevante a tal fine, anche se priva della drammatica notorietà della ricordata tragedia, è la data del  5 agosto 1990 , allorché  la Lega degli Stati arabi emanò la “Dichiarazione del Cairosui diritti umani nell’Islam , riaffermando – tra l’altro – l’importanza della vita e dell’incolumità personale, il ruolo della famiglia, la pari dignità femminile, il ruolo dell’istruzione e del lavoro, il valore della proprietà, la rilevanza della tutela ambientale, l’uguaglianza delle persone innanzi alla legge. È inconfutabile che le aperture riformistiche variano da Stato a Stato e che la strada da percorrere verso il mondo contemporaneo presenta ancora dei tratti in salita, ma alcune personalità particolarmente sensibili e aperte si ritrovano d’accordo nel sostenere che nell’Islam sono presenti dei valori che permettono di radicare al suo interno i diritti universali dell’uomo e di riconoscerli come parte integrante del proprio patrimonio etico.

In ultimo, a conferma dei crescenti segni di apertura del mondo musulmano verso le altre religioni, va registrata la VI Conferenza sul dialogo tra le Religioni svoltasi a Doha, capitale del Qatar, il 15 maggio 2008, cui hanno partecipato ebrei, cristiani e islamici accomunati da sincero spirito ecumenico. Il tutto a coronamento della Lettera-appello di 138 Saggi musulmani (sia Sunniti che Sciiti) scritta nell’ottobre 2007 e indirizzata a tutte le Chiese cristiane, richiamante i principi comuni alle tre religioni monoteistiche, come l’amore per Iddio e per il prossimo. Per quanto concerne l’Europa che si è affacciata all’alba del Terzo millennio, va evidenziato che non è una mera aggregazione economica, bensì la risultante di una coesione spirituale fra popoli convergenti in un comune sentire sui diritti fondamentali e sulla dignità dell’uomo. L’Unione europea è pertanto chiamata a svolgere in ambito internazionale un ruolo in equilibrio essenziale, agevolata in ciò dalla storia di un Continente che è stato da sempre un crocevia di diverse civiltà, come quella cristiana, quella ebraica e quella islamica. Un diritto universale, sul quale possano convergere gli ordinamenti delle varie nazioni, sarà realizzabile tanto più risulteranno progredite le legislazioni dei Paesi interessati a recepire un insieme di valori come la dignità umana, le libertà fondamentali, l’uguaglianza, la solidarietà e la giustizia. Qualità non meramente programmatiche ma giuridicamente cogenti per gli Stati membri dell’Ue e costituenti altresì la condizione di accesso per quelli che ambiranno a farne parte, in quanto espressamente recepiti dalla Carta di Lisbona firmata il 13 dicembre 2007.

La mentalità speculativa del mondo greco classico, la razionalità giuridica di quello romano, il patrimonio spirituale dell’Ebraismo, del Cristianesimo, dell’Islamismo, lo spirito di giustizia dell’Illuminismo: queste sono le radici ideali del nostro Continente. Riscoprire e tornare a leggere le opere degli uomini di buona volontà, di ogni tempo e di ogni fede, può aiutare l’umanità intera a fare emergere lo spirito di fratellanza universale che da sempre ha animato le intelligenze più alte alla ricerca del bene comune, portandone a compimento gli auspici e traducendone il pensiero in azioni di pace. Che non si tratti di mere utopie, lo dimostra la più recente storia dell’Europa, che uscita dalle macerie della Seconda guerra mondiale non ha conosciuto, dal 1945 a oggi, più alcun conflitto tra i Paesi che a mano a mano ne sono entrati a far parte. Il medesimo auspicio ci sia consentito esprimere per il martoriato Medio Oriente, per la cui pacificazione sono caduti, per citare i più noti, Yitzhak Rabin e Anwar al-Sadat, convinti assertori della necessità della conciliazione tra Popoli che nel passato conobbero pure momenti di intensa e feconda collaborazione

Ma oggi la storia della civiltà della pace ha conosciuto una battuta di arresto, dagli esiti – al momento – imprevedibili. “Il mondo è cambiato” ha detto lo scorso 23 ottobre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Più che per il virus e la pandemia, è cambiato in peggio per sciagurati comportamenti umani; per l’aggressione della Russia all’Ucraina e per l’iniziativa terroristica di Hamas in Israele, con il conseguente pericolo di spirale di violenza che si sta registrando e che si spera si possa frenare”. Nella giornata del 4 novembre ha soggiunto: “È paradossale che proprio nella terra delle tre grandi religioni del Libro, il valore sacro di salvezza e di speranza della Parola – che intimamente significa dialogo e colloquio – sia messo a tacere dall’insensato fragore delle armi”. Oggi più che mai – ha ribadito – occorre accelerare una costruzione ancora incompleta, perché è “necessaria una voce europea autorevole più unita, coesa e tempestiva, di fronte a problemi che – ha detto – non possono essere affrontati e governati con lo sguardo rivolto alla vecchia idea di nazione”.

Ci sia consentito, riguardo al pluralismo delle Fedi, auspicare che il Medioevo, generalmente accreditato come periodo buio della storia dell’umanità, possa rivelarsi fonte di luce per riprendere il cammino interrotto, mirando noi tutti alla meta di un progresso morale e civile che solo la cultura in generale – e quella della pace in particolare – può agevolare, consentendo kantianamente di far emergere attraverso la sua diffusione lo sviluppo di quelle potenzialità intellettive, altrimenti inespresse, che ogni uomo possiede latenti sin dalla nascita.

Aggiornato il 10 novembre 2023 alle ore 12:41