Visioni. “C’è ancora domani”, un’involontaria parodia neorealista

C’è ancora domani segna l’esordio dietro la macchina da presa di Paola Cortellesi. L’autrice firma un’amara commedia dai toni bizzarri ambientata nella Capitale del Secondo dopoguerra. Un’opera prima sopravvalutata, fotografata in un bianco e nero scolastico da Davide Leone (inizialmente in formato 4:3, poi in 16:9), che si traduce in una stanca e involontaria parodia neorealista. Presentato in anteprima come film d’apertura della 18ª Festa del cinema di Roma 2023, C’è ancora domani arriva nelle sale il 26 ottobre scorso grazie a Vision Distribution, registrando un enorme successo. All’inizio del 2024 il film viene distribuito anche in Francia dalla Universal Pictures e nel Regno Unito e Irlanda da Vue International. Candidato a ben 19 David di Donatello, a fine marzo il lungometraggio approda su Sky, Now e Netflix. Il copione è scritto dall’attrice comica insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda, suoi abituali collaboratori a partire da Scusate se esisto!, film diretto nel 2014 da Riccardo Milani.

C’è ancora domani racconta la storia di Delia (una rassegnata Cortellesi), moglie di Ivano (un protervo Valerio Mastandrea), madre di tre figli: l’altera adolescente Marcella (una volitiva Romana Maggiora Vergano) e due ragazzini sboccati, Sergio (Mattia Baldo) e Franchino (Gianmarco Filippini). La donna, che vive insieme alla famiglia in una casa popolare nel quartiere Testaccio, oltre a governare il sottoscala, per sbarcare il lunario, si divide tra diversi lavoretti sottopagati: iniezioni a domicilio, riparazioni di ombrelli, rammendatura di biancheria per conto di una merceria. Il marito è il monarca assoluto della famiglia. Dispensa umiliazioni e cinghiate alla moglie e sguardi insofferenti nei confronti dei figli. A suo avviso, l’unico degno di rispetto è il vecchio padre malato, il Sor Ottorino (un primordiale Giorgio Colangeli), che accusa Delia di avere “il difetto di rispondere”. La donna vive una situazione di avvilente oppressione. L’amica fruttivendola Marisa (una briosa Emanuela Fanelli) è l’unica con cui condivide momenti d’affetto e complicità. Frattanto, la famiglia è in fermento per il fidanzamento della primogenita Marcella. La ragazza è innamorata di Giulio (Francesco Centorame), un ragazzo borghese, figlio del titolare di una gelateria. Ma l’arrivo di una lettera misteriosa darà a Delia la forza di mettere in discussione lo status quo e sognare un futuro alternativo.

Gli autori della sceneggiatura mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità dello spettatore, soprattutto quando cercano di trasfigurare la violenza domestica in improbabili balletti comico-grotteschi. Oppure quando provano a regalare attimi di romanticismo e consapevolezza alla protagonista. Occorre menzionare il dialogo di Delia con lo spasimante di un tempo, il meccanico Nino (un divertito Vinicio Marchioni), gli incontri della donna con il militare afroamericano William (un appassionato Yonv Joseph), la rivalsa della donna nei confronti del promesso sposo della figlia. A questo proposito, è intollerabile il fatto che Delia, vittima di continue violenze ordite dal marito, promuova l’emancipazione della figlia attraverso altra e immotivata esplosione di violenza. Quelle citate sono scene assolutamente fuori tono, persino immotivate, rispetto al resto del racconto. Così come appaiono discutibili le scelte musicali in distonica funzione narrativa. In aggiunta alle composizioni di Lele Marchitelli, infatti, la regista alterna vecchie canzoni (Aprite le finestre di Fiorella Bini e Perdoniamoci di Achille Togliani) a titoli più recenti (La sera dei miracoli di Lucio Dalla, M’innamoro davvero di Fabio Concato, A bocca chiusa di Daniele Silvestri) fino all’uso in colonna sonora di hip hop, elettronica e rock. Un’attenzione speciale merita il capitolo dedicato all'umorismo. Purtroppo, molto deludente. Tenuto conto che si tratta della caratteristica principale di Cortellesi, il risultato appare molto al di sotto delle aspettative. Poiché la scrittura del film non sviluppa toni ironici. Ma paradossali. E le scene, soprattutto quelle che vedono protagoniste la regista insieme a Emanuela Fanelli, sono costruite attorno ai più classici sketch. Battute, tormentoni e chiusa finale. Molto poco per un film che doveva segnare la svolta artistica dell’autrice. Un fatto è certo: Cortellesi ha l’ambizione di mettere in scena la condizione femminile e le conquiste delle donne nell’Italia conformista degli anni Quaranta. Ma il film, pur animato da lodevoli intenzioni, mostra un andamento ondivago (e irrisolto) della narrazione. Lo sguardo ora dimesso, poco dopo è sopra le righe: la regia è didascalica, la recitazione è sovraccarica, le scene sono ridondanti. Ne viene fuori un film medio. Dove ogni snodo descrittivo è solo abbozzato e non viene mai approfondito. L’esordio è senza dubbio coraggioso. Eppure, non convince. Perché non è suffragato da un esito narrativo pienamente compiuto.  

Aggiornato il 08 aprile 2024 alle ore 19:01