Università tradizionali e telematiche: perché una guerra non ha senso

Le università telematiche si rivolgono a un pubblico

diverso da quello degli atenei in presenza

Università tradizionali e telematiche rappresentano modelli diversi ma complementari. Il problema non è promuovere le une a spese delle altre ma ridurre i vincoli che ingabbiano la formazione terziaria nel nostro Paese, sia in presenza che a distanza. Lo sostengono Luigi Marco Bassani (professore di Storia delle dottrine politiche all’Università Telematica Pegaso) e Carlo Lottieri (direttore di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni e professore di Filosofia del diritto all’Università di Verona) nel Focus Università tradizionali e telematiche. Perché una guerra non ha senso. Le università telematiche si rivolgono a un pubblico diverso da quello degli atenei in presenza, composto in gran parte di studenti lavoratori o residenti nelle aree meno dinamiche. Lo confermano l’età degli studenti (l’80 per cento dei laureati delle università tradizionali ha 23 anni contro il 20 per cento delle telematiche) e la regione di provenienza (oltre la metà degli iscritti alle telematiche risiede nel Mezzogiorno).

Per questo, imporre vincoli eccessivamente stringenti – per esempio in relazione alle lezioni in streaming anziché asincrone – rischia di privare queste persone di un’opportunità. Come scrivono Bassani e Lottieri, “nel conflitto tra le università statali (in presenza) e quelle private (on-line) si sono spesso evocate le qualità e le debolezze dell’una e dell’altra forma di erogazione degli insegnamenti. Sul tema ovviamente, si potrebbe discutere a lungo, perché se da un lato è vero che nel rapporto interpersonale e dialogico tra il docente e il discente c’è qualcosa di irripetibile, è egualmente vero che le lezioni registrate impongono al professore una cura diversa della lezione e una speciale attenzione alla didattica. Ci si può azzardare a prevedere che tutti un po’ alla volta prenderanno atto che oggi disponiamo di modalità didattiche concorrenti e complementari, e che è assurdo evitare ogni progettazione ibrida e ogni tentativo di prendere il meglio dell’una e dell’altra didattica”.

Aggiornato il 12 aprile 2024 alle ore 19:19