L’innovazione passa   per il “Make in Italy”

L’amore per il Made in Italy nasce spesso dall’ammirazione per le tante meravigliose cose fatte in passato dagli Italiani. Va benissimo, ma si rischia di dimenticare le eccellenti cose che oggi l’Italia fa nel mondo dell’innovazione: e invece, sono storie molto belle che devono essere raccontate e diffuse.

Di innovazione italiana parliamo stavolta non con un protagonista della Silicon Valley, ma della “Silicon Alley”: è così che viene definito il movimento di start up attivissimo a Manhattan e dintorni. Maria Teresa Cometto è una brava giornalista italiana che da anni vive a New York, ed è ormai il punto di riferimento per chi vuole conoscere di più il mondo delle start up innovative nella grande mela. Ha dato vita, insieme a Riccardo Luna, ad una mostra meravigliosa, chiamata “Make in Italy”: un successo da novantamila presenze, all’interno della fantastica Maker Faire di Roma, dove la sua mostra ha debuttato.

Maria Teresa, tu vivi a New York, una città nella quale il mondo dell’innovazione e delle startup è in grande effervescenza, come hai descritto nel libro che hai scritto insieme ad Alessandro Piol, “Tech and the city”. Ci dici qualcosa in più sulla “Silicon Alley”?

L’idea di scrivere “Tech and the city” è venuta parlando con Alessandro Piol, che è un venture capitalist che lavora a New York da oltre trent’anni ed è figlio d’arte, perché suo padre Elserino Piol è il padre del venture capital italiano, finanziatore di Tiscali, di start up di successo come Yoox e di tante altre nuove imprese italiane. Parlando con Alessandro, abbiamo ragionato sul fatto che ben pochi - anche a New York - conoscevano la realtà delle start up tecnologiche nella città, che è cresciuta moltissimo soprattutto dal 2008 in poi, ma è una realtà che ha cominciato a svilupparsi già fin dal primo boom di internet, all’inizio degli anni 2000.

E’ una realtà che ha molte particolarità interessanti per l’Italia, ed è questo uno dei motivi per cui abbiamo fatto il libro: per far ragionare l’Italia su come si può fare innovazione partendo da industrie operative in settori non nuovi, perché questa è una delle particolarità della tecnologia di New York. Qui l’innovazione si innesta sulle industrie classiche della città, che sono la finanza, la pubblicità, l’editoria, la moda. Sono tutti i comparti industriali che han fatto grande New York negli ultimi decenni, e che oggi si sono rivoluzionate grazie alle nuove tecnologie.

Il libro parte quindi dalla metà degli anni ‘90, e mostra come il settore tecnologico si è sviluppato anche attraverso o grazie alle crisi, anche molto profonde, che hanno costretto la città di volta in volta a ripensarsi, a reinventarsi. La prima crisi è stata ovviamente lo scoppio della bolla internet nel 2000: e dopo il 2000 non ci sono state solo macerie e miliardi bruciati in borsa, ma anche un ripensamento e la nascita di nuove idee, abbinata al fatto che poco dopo il 2000 c’è stato il crollo delle Torri Gemelle che ha devastato la città, anche fisicamente e in modo tragico.

Nel 2006 c’è stato l’inizio della seconda fase delle start-up tecnologiche a New York, perché con l’arrivo di Google a Manhattan, e a Chelsea in particolare, si è creato tutto un indotto che è diventato un polo di attrazione di ingegneri, sviluppatori di software e altri professionisti.

Oggi siamo già alla seconda e a volte anche terza generazione di start up a New York, secondo il modello per cui alcuni imprenditori innovatori non si fermano quando fanno fortuna, non vanno in pensione, ma reinvestono i frutti del loro lavoro in nuove aziende, in nuove idee e continuano a far crescere questo ecosistema.

Sei ormai un punto di riferimento per il mondo delle startup, dei venture capital e dell’innovation technology a New York. Com’è l’Italia che innova, vista da lì? E quella che lì è sbarcata?

Purtroppo da New York si vede molto poco l’Italia che innova. Dal punto di vista newyorchese, credo che forse l’Italiano che innova più famoso sia Marchionne, l’unico che è visto come un innovatore nel modello di business, per come ha rilanciato la Chrysler. Gli imprenditori più piccoli purtroppo non sono ancora famosi: anche se devo dire che mi è piaciuto moltissimo vedere che a settembre, alla Maker Faire di New York, c’era un piccolo gruppo organizzato di makers italiani, molti dei quali dall’Emilia Romagna, che è una terra molto fertile di imprenditori nella meccanica di precisione. Ecco, questa non è una cosa nota al largo pubblico americano, ma chi se ne intende sa che le macchine utensili, tutte le macchine di precisione italiane sono le migliori e rappresentano il più importante settore di esportazione dall’Italia all’America: più della moda, del cibo, del vino. Quindi, direi che l’Italia potrebbe fare decisamente di più per far conoscere le proprie eccellenze, e anche i propri personaggi innovatori, in questo settore.

Dobbiamo migliorare, ok. Ma ti viene in mente un italiano che è arrivato lì a New York e si sta conquistando un mercato e una visibilità?

Mi viene in mente Alberto Pepe, che ho conosciuto di recente. Alberto ha studiato ad Harvard, è un astrofisico e lui ha inventato Authorea, una piattaforma che permette agli scienziati di collaborare fra loro online nella stesura di papers, e permette anche a tutta la comunità scientifica poi di commentare, e di discutere e criticare e migliorare questi documenti. Questo è un bellissimo progetto e so che lo sta vendendo in giro per le università.

Come detto, a New York non sono ancora tanti come in Silicon Valley. C’è ad esempio Silvia Bosio, una ragazza di Torino che ha inventato W-Lamp, azienda specializzata in lampade high tech, a Brooklyn.

L’innovazione in Italia: nasce dal genio presente nel nostro dna, ma anche dai molti ostacoli che generano la necessità di sviluppare meglio la propria creatività. C’è qualcosa nel quale continuiamo ad essere innovatori, magari qualcosa che ancora ci rende ammirati e desiderati dagli americani?

Gli americani ci desiderano sempre, al 1000%! Un ragazzo che ha un grande successo in America è Federico Marchetti, il fondatore di Yoox: una multinazionale che opera in America, Giappone, e in tutta Europa. Lui ha fatto l’MBA a New York, e mi diceva che a è stato certamente importante seguire l’MBA e imparare a fare un business plan e le altre cose fondamentali, ma che soprattutto l’esperienza di New York gli ha allargato la mente: tornato in Italia aveva lo spirito giusto per provare a fare una multinazionale altamente tecnologica, perché il suo sistema di immagazzinaggio e di vendita online prevede un insieme di software e hardware altamente innovativo. Infatti c’è chi ha definito Yook come la Amazon della moda, ed è veramente eccezionale. Fra l’altro per fare tutto questo lui all’inizio si è affidato ad un italiano, un genio dell’algoritmo.

Ecco, io sono rimasta colpita dal fatto che due anni fa il New Yorker, quindi un magazine settimanale molto chic, molto sofisticato, ha dedicato una decina di pagine a Federico Marchetti. Io non credo che in Italia gli siano mai state dedicate dieci pagine, sebbene la sua storia di italiano sia assolutamente da celebrare.

La scienza accelera sempre più, e avanzano nuovi settori commerciali che un tempo non esistevano. Se dovessi dare un consiglio ai ragazzi italiani pieni di idee su dove indirizzarsi, quali settori indicheresti?

Io credo non ci sia un settore dove non si possa più innovare. Da qui, con la mostra “Make in Italy”, lanciamo il concorso nelle scuole superiori italiane proprio per tirar fuori idee nuove e stimolare la creatività dei ragazzi. Credo che lo si possa fare anche, anzi soprattutto partendo dai problemi da risolvere. Perché poi la spinta è sempre un po’ quella: qualcuno ha un problema, che poi è un problema comune a tanta altra gente, e cerca di inventare una soluzione a questo problema. Quello è lo stimolo per inventare qualcosa o per innovare, per poter applicare la scienza. Quindi i momenti di difficoltà sono quelli più fecondi per l’innovazione.

Forse possiamo dire che per entrare nel mondo dell’innovazione, della creatività, del futuro … serve una password che è data dal coraggio, dalla fiducia, dalla curiosità, dalla caparbietà e dalla disponibilità a lavorare duramente … e che tutto questo dà poi accesso al successo e alle novità, qualsiasi sia il campo in cui ci si specializza?

Tutte queste cose insieme, certo! La mostra “Make in Italy” ed il grande successo della Maker Faire lo dimostrano inequivocabilmente. E sono vittorie italiane.

Ci vuole sempre una grande passione, e sicuramente dedizione, in tutti i campi. Un personaggio che mi ha molto affascinato è Nerio Alessandri, fondatore di Technogym. Lui è partito dal fatto che faceva sport, andava nelle palestre di Cesena, e non gli piacevano gli attrezzi che c’erano perché erano rudimentali: così se n’è fatto uno nel garage di casa sua, come piaceva a lui. Da lì ha cominciato a venderlo al titolare della sua palestra, poi all’amico del titolare, e così via: oggi è fornitore ufficiale delle ultime 5 Olimpiadi e lo sarà anche a Rio de Janeiro, e di altri grandi team leader mondiali di diversi sport … ed è partito dal garage di casa, senza una laurea, con la sua passione, la sua bravura e la sua caparbietà. È un artigiano! Un eccellente artigiano italiano.

Per questo è importante che, anche grazie a belle iniziative come questa Maker Faire, in Italia possa crescere un movimento, che già è nato, da sostenere e far conoscere sempre più. Perché questo spirito creativo, che io ho potuto verificare già lo scorso anno presentando in giro per l’Italia il mio libro, possa supplire ai media, alla stampa, e alla cultura italiana, e celebrare e divulgare queste storie, modelli di successo a cui guardare, creando quindi una sorta di trend, di moda, e il conseguente spirito di emulazione.

Nel passato di questo paese c’è stato spazio per movimenti di giovani che avevano grande passione, grande energia, ma portati alla negatività, alla protesta, alla rivendicazione. Anche oggi c’è passione ed energia: ma questi ragazzi che vedo qui, e mi dicono che ovunque in Italia l’innovazione li connette, sono positivi, propositivi, entusiasti. E’ un cambiamento culturale che parte dal basso, e l’Italia che vuole uscire dalla crisi non può farne a meno.

Parliamo di “Make in Italy. 50 anni di innovazione italiane. Dalla Programma 101 alla prima auto stampata in 3D”, 20 storie per raccontare 50 anni di innovazione in Italia, che hai creato insieme a Riccardo Luna. E’ una mostra che ha emozionato me e le decine di migliaia di persone che l’hanno visitata in soli due giorni di Maker Faire. Ce la descrivi? Sappi che We the Italians sarà a tua disposizione per dare il nostro piccolo contributo, qualora voi decideste di portarla anche in America.

Quest’anno a New York si celebra il cinquantenario dell’Expo Universale, che è durata dal 1964 al 1965, e siccome le aziende americane che allora avevano presentato i loro nuovi prodotti li stanno ricordando, in qualche caso riproponendone una versione attuale … io mi sono ricordata che la P101, prodotta dalla Olivetti, era stata presentata esattamente 50 anni fa a New York e fu accolto con entusiasmo dalla stampa. Nella mostra ci sono le riproduzioni di giornali dell’epoca come il Wall Street Journal, il New York Times, Business Week, che la definiscono “il primo personal computer”, perché era una macchina che sapeva fare calcoli sofisticati, che stava su una scrivania e poteva essere utilizzata da un impiegato qualsiasi invece che dai tecnici esperti della sala macchine tradizionale. E allora, parlando con Riccardo Luna, ho pensato che anche noi dovessimo celebrarla, essere orgogliosi e far conoscere a tutti che abbiamo una serie di primati.

Abbiamo ragionato su tutto quello che gli italiani hanno fatto negli ultimi 50 anni nel campo tecnologico, ed è moltissimo. Oltre alla P101, c’è Federico Faggin con il primo micro processore da lui fatto e firmato; c’è il motore diesel common rail realizzato per prima dalla FIAT, che adesso è adottato da tutte le case automobilistiche; c’è l’evoluzione dell’accelerometro che oggi è in quasi ogni device che teniamo in tasca, realizzata da Benedetto Vigna; c’è il robot umanoide fatto dall’Istituto di Tecnologia di Genova; c’è la mano cibernetica realizzata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; ci sono tanti altri eccezionali innovatori italiani, fino ovviamente a Massimo Banzi, che con Arduino è l’eroe dei makers di tutto il mondo.

L’idea della mostra è ricordare tutto questo: ma con l’obiettivo di ispirare il futuro. Siamo abbastanza stufi del discorso per cui gli italiani sono bravi, geniali, ma abbastanza sfigati perché si ricorda sempre la storia tristissima di Meucci che inventò il telefono ma poi il copyright gli fu scippato. Bisogna imparare dai fallimenti del passato, perché se c’è una cosa che insegna l’America è che i fallimenti servono per imparare da dove hai sbagliato: abbiamo tanti casi di successo, che vanno avanti tutt’ora. Quindi 50 anni da celebrare per ispirare il futuro, e per dire che l’Italia ha un futuro importante perché ha questi cervelli, ha queste eccellenze, ha ragazzi eccezionali. Quindi, sia dal punto di vista degli istituti di ricerca, sia dal punto di vista dei singoli artigiani, di aziende più o meno grandi, il materiale umano c’è e si tratta appunto di ispirare le nuove generazioni con queste storie.

Dove si potrà vedere, la mostra?

La mostra girerà l’Italia. Sicuramente la porteremo all’Expo 2015. Ancora non sono state definite le altre tappe, però sicuramente andrà in giro anche in occasione di questo concorso nelle scuole superiori, di cui ti dicevo: chiederemo ai ragazzi di proporre la nuova P101, il nuovo computer, la nuova idea rivoluzionaria, e le idee migliori saranno fabbricate nei Fablabs, cioè nei laboratori dei makers, e poi saranno presentate a Roma alla Maker Faire del prossimo anno. Il migliore in assoluto riceverà una borsa di studio.

Il sogno è quello di portare la mostra a New York l’anno prossimo, in coincidenza esatta con il lancio della P101 a New York. Quindi, sicuramente We the italians può darci una mano per preparare il terreno e organizzare la mostra lì sul posto. Già ISSNAF, l’associazione degli scienziati italiani in America, si sta mobilitando. Credo che sarà un bel momento per far vedere a New York che l’Italia è anche questo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23