Da cinesi e arabi   pernacchie al fisco

Mentre l’Agenzia delle entrate nella persona di Rossella Orlandi imperversa e fa le pulci agli italiani - contribuenti facili da vessare perché brava gente innanzitutto e perché residenti davvero sul suolo italiano - arabi, cinesi e stranieri fanno i comodi loro a spese nostre. Sono state annunciate, a mo’ di minaccia agli italiani, l’arrivo di ben 210mila lettere spedite a potenziali evasori.

Al 31 agosto gli incassi da lotta all’evasione sono arrivati a 8 miliardi e mezzo, un dato di gran lunga inferiore allo stesso periodo del 2014, che si è concluso con il record di 14 miliardi. “Ci saranno anche introiti da contabilizzare a parte, ossia quelli che verranno dalla voluntary disclosure, cioè dalla regolarizzazione dei capitali nascosti all’ estero. Sempre a parte poi, ci saranno introiti dalla nuova strategia di invitare i contribuenti che dall’ incrocio dei dati non risultano in regola a versare le imposte dovute attraverso il “ravvedimento operoso” anziché rischiare l’accertamento con pesanti sanzioni e interessi" gongola la capa dell’Agenzia dell’entrate. “Circa 190 mila di queste lettere sono state inviate ai contribuenti soggetti a studi di settore. Ma la novità sono le altre 20mila, inviate a tre categorie. Coloro che non hanno dichiarato tutte le plusvalenze che ci risultano; i professionisti che non hanno denunciato tutti i compensi; i soggetti Iva con un volume d’affari inferiore alle fatture comunicate al fisco dai clienti con lo “spesometro”. In tutto si tratta di un imponibile non dichiarato di 1,3 miliardi. Stanno inoltre per partire 5mila lettere a esercenti di slot machine che non hanno dichiarato tutte le somme incassate e 200 comunicazioni a persone fisiche con appartamenti all’estero non denunciati”.

E mentre la Orlandi di Renzi il quale non ha mai pagato niente in vita sua non avendo mai lavorato quanto piuttosto incassato, barando, i contributi dagli italiani, i veri soldi che il fisco italiano non vedrà mai sono già al sicuro in Cina. Sono infatti 4,5 miliardi gli euro finiti in Cina. Quattro miliardi e mezzo di euro che il fisco italiano non vedrà più. Da Prato, stessa regione toscana amministrata da Renzi & Company, sono passati 1,077 miliardi di euro, in contanti, nell’arco di tre anni e mezzo e solo oggi la Guardia di finanza ha portato alla luce una rete di “sportelli” come quello pratese sparsi tra la Toscana, Roma e Milano per un giro impressionante di denaro di oltre 4,5 miliardi euro. Cui deve aggiungersi una quantità notevole di reati e 300 richieste circa di rinvio a giudizio tra persone fisiche e società. C’è anche la Bank of China di mezzo. Si tratta di un importo che corrisponde più o meno a quanto costa allo Stato, cioè a noi tutti, abolire Imu e Tasi.

Nel 2008 si è notato che un piccolo operatore di money transfer, la Money2Money - M2M - di Bologna movimentava molti soldi nell’area fiorentina ed incrociando i dati di Bankitalia sono risultati essere “transitati” milioni di euro, pur non vedendosi clienti. Il trucco utilizzato era nell’inghippo per cui i passaggi di denaro venivano spezzettati in tanti trasferimenti da 1999,99 euro, per evitare di arrivare alla soglia dei 2000 euro che avrebbe fatto scattare le segnalazioni automatiche antiriciclaggio. È emerso tantissimo “nero” alla faccia dell’Italia e degli italiani. Ma anche riciclo di soldi della mafia, traffico di merci contraffatte, sfruttamento della prostituzione, documenti falsi a cinesi clandestini e gioco d’azzardo. A Mantova ci sono laboratori con lavoratori cinesi clandestini alloggiati in disastrate condizioni igieniche che nessuno controlla, a cui nessuno chiede niente. Prosperano nell’illiceità, nell’ indifferenza italiana. La famiglia cinese Cai quando arrivano al money transfert M2M fa levitarne il fatturato fino a 85 milioni nel 2006 a oltre 400 nel 2007. Tutto si svolge nella più completa evasione fiscale. L’imprenditore cinese che dichiara 17mila euro e ne spedisce in Cina 1,89 milioni, evasori di Iva, di diritti doganali, di imposte sul reddito e di contributi previdenziali. Dalla sede milanese della Bank of China, controllata dalla Repubblica Popolare sono transitati 2,199 miliardi diretti verso Pechino senza nessuna segnalazione di attività anomala alle autorità italiane.

I tempi delle indagini e della scoperta sono stati lunghissimi perché dopo la partenza dell’inchiesta, nel 2008, i primi sequestri sono arrivati nel 2010. Addio soldi. Nella primavera 2015 c’è stata la fine delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio. In marzo 2016 ci sarà l’udienza dal Gup, ma prima c’è da tradurre in cinese gli atti dell’inchiesta. Nel frattempo, da quali e quanti imbecilli siamo stati governati noi italiani? Per ora sono stati individuati circa 50 milioni cioè niente, rispetto a quei 4,5 miliardi finiti in Cina. Ma non solo cinesi e Cina, anche gli arabi ci danno dentro, addosso e a ridosso delle nostre tasche, quelle degli italiani. Di recente si è scoperto che il vice iman di Pistoia, e chissà quanti altri come lui, ci usava come bancomat, usava l’Italia, il nostro Paese, come un bancomat. È finito in manette accusato di truffa aggravata, ed ovviamente si sarà già mangiato tutto quindi addio soldi anche lì. L’accusa al vice imam è quella di truffa ai danni dello Stato: ha percepito ingiustamente 30mila euro dall’Inps, pur essendo irreperibile sul suolo italiano dal 2013. Mohammed Rafiq, 48enne marocchino, è finito in manette, arrestato in flagranza di reato, quando aveva appena prelevato 3.400 euro dal conto corrente delle poste. Era arrivato in Italia nel 2000, aveva lavorato fino al 2011 in un maglificio di Prato, mentre esercitava la funzione di vice imam nella moschea di Sant’Agostino. Risiedeva con la famiglia a Pistoia, ma moglie e figli sono tornati a Fez nel 2009. Nel 2011 l’azienda ha fatto ricorso alla cassa integrazione, e nel 2013 è arrivato il licenziamento e la mobilità. Per riscuotere l’ammortizzatore sociale della mobilità occorre risiedere nel Paese che la concede. Mohammed Rafiq, invece, era irreperibile sul suolo italiano dal 2013. Oltretutto l’uomo riscuoteva in tutto 1.150 euro di assegno di mobilità, in cui erano compresi 350 euro di assegni familiari e 80 di bonus. Ma la moglie e i tre figli erano tornati in Marocco, a Fez, da sei anni!

Mentre l’esercito dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia viene sguinzagliato contro gli italiani, c’è una voragine nei conti dello Stato, quella fatta dalle innumerevoli persone che lavorano qui da noi per alcuni anni, hanno accesso agli ammortizzatori sociali e poi se ne vanno con i nostri soldi. L’Inps era ed è all’oscuro di tutto. La truffa aggravata ai danni dello Stato finalizzata all’erogazione di contributi pubblici dell’imam costituisce un reato che prevede pene fino a 6 anni di reclusione. E da ulteriori accertamenti è venuto fuori che le sue generalità sui documenti non corrispondevano: l’anno di nascita era lo stesso sia sulla carta di soggiorno che sulla patente e sulla carta d’identità, mentre il giorno e il mese erano diversi su questi ultimi due documenti. Da qui la denuncia. Nessuno controlla niente, nessuno scopre niente, il recupero delle somme è difficoltoso, più facile tartassare gli italiani. Vergogna.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:19