Il lavoro e il paradosso della formazione

La formazione che facciamo è quella basata sulle conoscenze di ieri, mentre per adattarci rapidamente al mondo in rapido cambiamento dobbiamo adattarci al domani e non farci cogliere impreparati a cambiamento avvenuto.

Reg Revans, il noto padre dell’“action learning”, aveva già espresso negli anni Ottanta questo concetto: “In tutte le epoche caratterizzate da rapidi cambiamenti, le organizzazioni che non sono in grado di adattarsi si trovano subito in difficoltà e l’adattamento si compie soltanto attraverso l’apprendimento; cioè, riuscire a fare domani ciò che oggi sembra non essere necessario. Un’organizzazione che continua ad esprimere solo le idee del passato non apprende”.

Normalmente le attività lavorative consistono nell’applicazione di conoscenze e di capacità (siano esse fisiche, intellettuali o una combinazione tra le due cose) che oggi danno l’opportunità di produrre un reddito attraverso la realizzazione di un prodotto o un servizio utile al nostro prossimo (e quindi meritevole di essere remunerato). Il reddito però deriva dalla riproduzione di attività simili e il massimo reddito dalla riproduzione a livello industriale di attività simili. Ne consegue che noi siamo condannati a generare ricchezza quando applichiamo ciò che già conosciamo, o al più, quando miglioriamo quanto noi, a seguito delle nostre conoscenze e capacità, sappiamo già fare.

Ma in una società che è soggetta ad un continuo cambiamento e che quindi mette in discussione continuamente i contenuti e i modi di quello che facciamo oggi per seguire la prospettiva di ciò che servirà domani, come possiamo produrre reddito attraverso la ripetizione di ciò che sappiamo fare e contemporaneamente metterci nella prospettiva di imparare ciò che oggi non ci serve, ma che ci servirà domani? Siamo in un vicolo cieco? Il lavoro che oggi abbiamo e la capacità di svolgerlo sarà la cifra della nostra disoccupazione di domani? In quale labirinto assurdo siamo precipitati?

Due sono le strade che è necessario praticare: l’una dipende più dagli altri e l’altra dipende esclusivamente da noi. Se vogliamo garantire nel lungo periodo la nostra spendibilità sul mercato dovremmo essere attenti in primo luogo all’azienda con la quale intendiamo collaborare (non importa a quale titolo). Se questa azienda è attenta ad ogni segnale sul mercato, ad ogni innovazione, se adegua i propri processi e prodotti alle esigenze di mercato, se è attenta al mercato internazionale (e quindi se è in grado di cogliere le linee di tendenza del settore in cui opera) e riesce ad esportare, questa è un’azienda da seguire con la quale potremmo instaurare un rapporto stabile. L’azienda, adeguando se stessa alle nuove esigenze, finirà con l’adeguare anche le nostre competenze e quindi a fornirci delle garanzie di lungo periodo. Questo è il primo punto fermo. Il secondo punto fermo, che dipende da noi, sta nel guardare quali sono i nostri interessi e le nostre passioni al di là di quello che oggi facciamo, sta nel coltivare conoscenze e capacità eccellenti in qualsivoglia campo e nel vedervi un collegamento con una qualsiasi utilità che potrebbe emergere dal mercato. Se siamo costretti a svolgere oggi un lavoro che possiamo considerare “critico” perché a basso contenuto di conoscenza e capacità e quindi, magari nel tempo, realizzabile a basso costo oppure addirittura sostituibile da mezzi meccanici o informatici, se non abbiamo alternative in questo momento, ci conviene coltivare il più possibile, ogni momento in cui ci è possibile, le nostre passioni, le aree in cui potremmo eccellere. Questa è la nostra opportunità nel lungo periodo. Saremo in possesso di contenuti spendibili o comunque avremo appreso un modo per sviluppare capacità che potrebbero trovare sbocco in opportunità che necessitano di competenze analoghe.

Le passioni da coltivare oggi sono le nostre opportunità e le nostre competenze di domani.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:25