Tentiamo di analizzare le opere che in realtà, oltre a rispondere ad un particolare piano strategico già condiviso dalla Unione europea, hanno già tutte le condizioni per garantire l’avanzamento reale dei lavori e sono coerenti con il cronoprogramma definito già dalle linee guida indicate dalla Ue. Seguendo questa logica nel centro-nord troviamo le opere ubicate sui seguenti corridoi comunitari:

Questo quadro di interventi ha un costo globale di 40,1 miliardi di euro e tutte queste opere hanno già subito una verifica sia nella stesura delle prime reti Ten-T del 2005, sia nella stesura delle reti Ten-T del 2013. La verifica in realtà era finalizzata anche alla identificazione di un misurabile Roi (Return on Investments) e, quindi, la intera operazione, se affrontata e gestita in modo organico, può rappresentare non una operazione a “fondo perduto” ma un interessante “investimento” e come tale dare origine ad un apposito Fondo comune di investimento o a tre Fondi supportati dalla quota di prestito del Recovery Plan pari a 127,4 miliardi di euro. Nel Mezzogiorno rimarrebbero invece le seguenti opere:

Per questi interventi, il cui costo globale è di 38,7 miliardi di euro, dovrebbe essere utilizzata integralmente la quota parte degli 81,4 miliardi a fondo perduto del Recovery Fund destinati all’Italia, forse potrebbe essere scorporata la copertura del Ponte sullo Stretto in quanto utilizzando quota parte del Fondo delle Reti Ten-T e possedendo un buon Roi potrebbe rientrare nella quota dei prestiti.

Molti si chiederanno perché non utilizziamo le risorse a fondo perduto del Recovery Fund anche per gli interventi ubicati nel centro-nord, in realtà la costruzione di una simile operazione articolata in due distinte aree propositive ottimizza al massimo l’uso delle reali disponibilità messe a disposizione dal Recovery Fund. Ritengo che questo sia l’unico approccio organico che la Commissione europea possa apprezzare in quanto testimonia la volontà del nostro Paese di utilizzare la parte restante delle risorse per altre importanti finalità come:

L’edilizia scolastica;

La messa in sicurezza del territorio;

La reinvenzione della offerta trasportistica nelle medie e piccole realtà urbane;

La diffusa ed organica digitalizzazione dell’intero Paese;

Il riassetto funzionale del nostro sistema agro alimentare;

Il riassetto della offerta turistica e la salvaguardia dei beni culturali.

Questa sicuramente è una proposta discutibile, criticabile e, addirittura, è una proposta in cui è possibile inserire anche altri interventi essenziali per l’assetto infrastrutturale del Paese; sono ad esempio non contemplati nelle Reti Ten-T interventi come l’Asse autostradale tirrenico o come l’Asse autostradale Orte-Mestre e, quindi, potrebbero benissimo essere reinseriti ma anche aggiungendo tali due interventi quello descritto si configura, senza dubbio, come una ipotesi difendibile perché oltre ad essere stata già verificata dalla Unione europea rientra in un disegno programmatico organico della infrastrutturazione del Paese e risponde anche ad una logica di utilizzo delle risorse distinguendo, come detto prima, quelle che rientrano nel “prestito” da quelle che rientrano nei sussidi a “fondo perduto” e, al tempo stesso, non interferisce con un altro Programma quello relativo al Fondo di Coesione e Sviluppo 2021-2027 in corso di definizione.

Voglio fare solo una precisazione: questa esercitazione senza dubbio può essere criticata per la ingenuità dell’approccio, può essere criticata perché disegnata senza un diffuso e trasparente confronto ma, almeno, contiene, per l’impianto infrastrutturale del Paese, una prima linea propositiva capace di diventare base del Recovery Plan. Non sono le 443 opere inoltrate all’attenzione del ministro Vincenzo Amendola, non sono l’elenco di opere del Programma Italia Veloce della ministra Paola De Micheli, non sono gli interventi per un importo di 150 miliardi presentati al ministro Stefano Patuanelli, non sono la sommatoria degli obiettivi del Piano del Sud del ministro Giuseppe Provenzano, non sono, cioè, quello che la Commissione europea difficilmente prenderebbe in esame ma sono ciò che spesso definisco “gli invarianti obbligati che il Paese invoca per crescere”.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 30 settembre 2020 alle ore 09:15