Assegno unico: molto rumore per nulla?

Dopo i trionfali annunci dell’approvazione dell’assegno unico universale, la lettura dei primi provvedimenti “attuativi” è una doccia fredda per le famiglie: 167,50 euro al mese per le famiglie sotto la soglia di povertà di 7.000 euro; 30 euro al mese a figlio per famiglie con Isee compreso tra 40.000 e 50.000 euro; nessun sussidio oltre 50.000 euro. Si immagina così di incrementare la natalità?

1) Dopo i trionfali annunci dell’approvazione dell’assegno unico universale, la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del “decreto ponte” numero 79/2021 ha consentito finalmente di confrontarsi con un testo normativo che dovrebbe dare un’idea concreta di come funzionerà il nuovo regime di misure a sostegno della natalità. È una maratona seguita da una serie di docce fredde.

2) La maratona sono le undici pagine di allegati che il decreto impiega per snocciolare l’entità dell’assegno: undici pagine perché essa viene determinata certosinamente per scaglioni di Isee differenziati di 100 euro in 100 euro e modulata con differenze progressive di pochi centesimi da uno scaglione all’altro. Una defatigante scelta ragionieristica che non giova certo a quelle esigenze di semplificazione e certezza che sarebbero essenziali in questa materia. A fronte di lotterie degli scontrini, bonus monopattini, leggi senza clausole di copertura, e via discorrendo, sembra che il “terrore” di far debito pubblico riemerga soltanto quando si tratta di sussidi alle famiglie, dove si soppesano i centesimi di euro.

3) Corsa la maratona, la prima doccia fredda è così il contenuto dell’assegno: 167,50 euro al mese (217,80 dal terzo figlio) per le famiglie sotto la soglia di povertà di 7.000 euro; 30 euro al mese a figlio (40 dal terzo figlio) per famiglie con Isee compreso tra 40.000 e 50.000 euro; nessun sussidio oltre 50.000 euro. Per i figli disabili, la maggiorazione è di 50 euro al mese (articolo 2 del decreto legge).

Bisogna considerare che l’Isee non tiene conto esclusivamente del reddito, ma anche del patrimonio: sicché è sufficiente il possesso di una casa di proprietà per elevare rapidamente l’Isee familiare. Per avere un metro di paragone, la soglia di Isee generalmente utilizzata per individuare i nuclei familiari bisognosi di agevolazioni è quella di 36.000 euro. Ebbene, appena sopra tale soglia gli assegni per la natalità si riducono sostanzialmente a un euro al giorno per poi rapidamente azzerarsi. Significa che per buona parte del ceto medio l’incentivo alla natalità previsto dal Governo consiste in poco più di un paio di pannolini al giorno. Non cambia il quadro della misura provvisoria recata dal “decreto ponte” la circostanza che, in questa fase interinale, essa sia cumulabile con alcuni bonus preesistenti che a regime saranno soppressi e i cui importi si cumuleranno quindi nell’assegno unico (articolo 4 del decreto-legge).

La seconda doccia fredda è la modalità di fruizione dell’assegno. Secondo l’articolo 3 del decreto-legge numero 79/2021 occorrerà percorrere un’apposita procedura telematica di domanda all’Inps: considerato che l’Isee viene di regola rilasciato da soggetti autorizzati a inserire direttamente i dati nei portali Inps, sarebbe agevole configurare un automatismo di erogazione agli aventi diritto da parte dell’istituto. Per ottenere ciò che spetta, semplificare la procedura anziché costringere sempre e a più riprese a confrontarsi con la burocrazia sarebbe in sé un grande aiuto per le famiglie.

La terza doccia fredda è lo strumento giuridico utilizzato. A fronte di una legge delega, come la numero 46/2021 sull’introduzione dell’assegno unico, dovevano essere emessi decreti legislativi, non un decreto legge. La “straordinaria necessità e urgenza di introdurre, in via temporanea e nelle more dell’adozione dei decreti legislativi… misure immediate volte a sostenere la genitorialità e favorire la natalità”, cui opera riferimento nelle premesse il decreto-legge numero 79/2021, è certamente esistente e fondamentale, ma il contenuto del decreto oggettivamente non corrisponde a essa. Non vi corrisponde perché gli importi degli assegni provvisori introdotti dal decreto, come sopra detto, sono minimi.

Ma ancor prima non vi corrisponde perché gli assegni provvisori, previsti dal decreto, vanno a sostituire misure già esistenti (gli assegni per il nucleo familiare di cui all’articolo 2 del decreto legge numero 69/1988: confronta articolo 4 del decreto), per cui si tratta in sostanza di una mera riorganizzazione temporanea di strumenti già esistenti: sarebbe bastato aumentarne gli importi (come, del resto, contestualmente fa l’articolo 5 del decreto per chi non fruisca dell’“assegno ponte”) ed estenderne interinalmente l’ambito soggettivo per conseguire con maggior semplicità i medesimi effetti. Come si sa, tuttavia, in epoca di relativismo spinto e di suoi “frutti (im)maturi” (dal gender al politically correct) molti pensano che res sunt consequentia nominum (e non, viceversa, che nomina sunt consequentia rerum, come ritenevano gli antichi). E così, nella presentazione delle cose i “nomi”, la “forma” e gli “effetti annuncio” assumono un ruolo fondamentale di evocazione e “materializzazione” della sostanza, anche se essa non esiste.

4) In questo quadro, se l’assegno provvisorio cui dà vita il “decreto ponte” è un antipasto dell’assegno unico familiare che il Governo ha in mente di introdurre in attuazione della famosa delega, non c’è di che star sereni: l’auspicio è un deciso cambio di rotta, nella sostanza e nella procedura. Dopo il (tanto) fumo, le famiglie attendono (finalmente) un po’ di arrosto. Sebbene il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sembri averlo “dimenticato”, il capitale umano è il primo fattore di riuscita di un piano economico, a qualunque livello, da quello imprenditoriale a quello di un sistema Paese. Per cui, oltre alle preminenti ragioni etiche che spingono in tal senso, anche gli economisti dovrebbero tener conto che è sul tavolo del sostegno alla famiglia e alla natalità che si giocano le fondamenta del futuro dell’Italia e che servono investimenti pubblici importanti. Non a parole, ma nei fatti.

(*) Tratto da il Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 17 giugno 2021 alle ore 10:32