La lunga storia del Codice Appalti

Poche settimane fa, in una mia nota, ponevo un titolo piuttosto carico di preoccupazione, cioè ribadivo: “E adesso…”; cioè in presenza ormai di un nuovo Governo di centrodestra anticipavo non solo le difficoltà, non solo le urgenze, non solo le emergenze ma anche una serie di eredità non facili che non il presidente Mario Draghi ma la serie di ministri che dal 2015 in poi si erano succeduti nella gestione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avevano lasciato al nuovo Governo.

Con oggi inizio un approfondimento proprio sulle aree tematiche che diventeranno, in questi giorni, quelle che, tra l’altro, ci porteranno fra due settimane al Disegno di Legge di Stabilità, elemento non solo di attenzione e preoccupazione ma anche di rivisitazione sostanziale di scelte avviate dai precedenti Governi e ricchi di sostanziali e pericolose anomalie. Inizio prendendo come primo argomento critico per il comparto delle costruzioni il “Codice Appalti”.

Per un cittadino non italiano sicuramente non è facile capire questa lunga storia che praticamente ha bloccato il normale iter evolutivo del processo di infrastrutturazione del Paese. La storia comincia nel 2015 con l’arrivo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del ministro Graziano Delrio che appena insediato persegue solo un obiettivo: bloccare in tutti i modi la Legge 443/2001 (Legge Obiettivo) e tutto ciò che direttamente o indirettamente era collegato ad un simile provvedimento. In realtà Delrio intendeva annullare ogni atto che potesse fare riferimento al periodo (dal 2001 al 2014), un periodo in cui c’era stata una gestione del Paese da parte dello schieramento di centrodestra.

Per questo motivo aveva avviato subito il processo di azzeramento del Decreto Legislativo 163/2006 (Codice Appalti) ed avviato le procedure che avrebbero portato alla edizione del Decreto legislativo 18 aprile n. 50/2016. In tale operazione l’ex ministro Delrio dimenticava però che il Decreto legislativo 163/2006 non era stato varato da un Governo di centrodestra ma dal Governo di centrosinistra presieduto dal presidente del Consiglio Romano Prodi.

Quindi Delrio abrogava un Codice Appalti che in dodici anni aveva consentito l’avvio di lavori per oltre 150 miliardi di euro e inaugurava una vera nuova stagione del “non fare”, una vera stagione fallimentare: nel comparto delle costruzioni scomparivano così 120mila imprese e si perdevano oltre 600mila lavoratori del comparto edile. In questo processo kafkiano abbiamo assistito anche ad un errore di percorso davvero incredibile: il Governo in base alla Legge delega 11/2016 poteva apportare entro un anno dalla entrata in vigore del Decreto legislativo 18 aprile numero 50/2016 disposizioni integrative e correttive; in realtà un anno scadeva il 18 aprile 2017 mentre il provvedimento è stato pubblicato il 6 maggio 2017 quindi il Codice Appalti supportato dal Decreto legislativo 56/2017 ed ancora vigente è praticamente un provvedimento illegittimo.

Di fronte alla mediocrità del provvedimento, dal 2018, con la nuova legislatura, è iniziato il nuovo iter per la redazione di un “nuovo Codice” e i vari Ministri che si sono succeduti, cioè Danilo Toninelli, Paola De Micheli e Enrico Giovannini hanno sempre dichiarato che il provvedimento sarebbe stato varato rispettivamente nel 2019, nel 2020 e nel 2021. Solo il 20 ottobre scorso il presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini ha consegnato al presidente del Consiglio Mario Draghi lo schema del nuovo Codice Appalti; il presidente Draghi sicuramente lo avrà consegnato alla presidente Giorgia Meloni che dovrà decidere se mandarlo avanti così, modificarlo o accantonarlo. Ricordo che per tale provvedimento c’è una precisa scadenza fissata dal Pnrr (infatti tra le riforme previste compare anche questo provvedimento) e cioè il 31 marzo 2023.

Senza dubbio questa corsa a rispettare le scadenze, specialmente in presenza di un Pnrr che fissa precisi paletti temporali, è giusta ed apprezzabile ma forse sarebbe opportuno leggere attentamente questo nuovo strumento per capire se la tanta ripetuta volontà del “fare” non sia identica a quella che per sette anni ha caratterizzato la gestione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e cioè basata essenzialmente sul “non fare”.

Nei vari comunicati stampa che tentano di esplicitare le parti più innovative del nuovo Codice si legge che tra le novità più importanti ci sono:

1) Il rientro della revisione prezzi.

2) La soppressione del livello di progettazione definitiva.

3) Il subappalto a cascata (il subappaltatore potrà sub affidare).

4) La digitalizzazione spinta sia nella fase legata all’affidamento che in quella della progettazione attraverso la incentivazione del Bim e con il portale unico dell’Anac che sarà il perno centrale del sistema. Non entro nel merito dello strumento e non voglio assolutamente incrinare una procedura che, giustamente, spetterà prima alla presidente Meloni e poi al Parlamento definire e portare a termine, ma voglio solo ricordare che dal 2015 in poi siamo andati avanti praticamente con Decreti Legge e, addirittura, i due Decreti legge 76/2021 e 77/2022 hanno, praticamente, rivisitato già alcune parti del vecchio Codice.

In realtà mi chiedo se non sia opportuno evitare questo vincolo temporale del 31 marzo per consentire al nuovo Governo ed al nuovo Parlamento una rilettura più corretta e più utile alle esigenze di un comparto che ormai vive essenzialmente del “bonus edilizio del 110 per cento” e quindi ha bisogno, con la massima urgenza, di certezze procedimentali e di azzeramento di vincoli gratuiti mirati, nella maggior parte dei casi, a creare solo filtri molte volte discutibili basati essenzialmente sul diffuso convincimento che la corruzione alberghi, in modo dominante, nel comparto delle costruzioni. Un convincimento più volte sconfessato da oggettive verifiche da parte di organismi nazionali ed internazionali.

Sono sicuro che la richiesta di una proroga di soli tre mesi alla scadenza del 31 marzo sarà condivisa dalla Unione europea; in fondo il Parlamento diventa realmente operativo dal mese di gennaio 2023, fino a quella data le Commissioni competenti saranno impegnate nell’esame della Legge di Stabilità. Molti diranno che rinviare di tre mesi uno strumento così essenziale per l’attuazione del Pnrr sia un atto irresponsabile; a questa osservazione, senza dubbio corretta, rispondo che questa corsa e, soprattutto questo coinvolgimento vero di una Associazione come l’Ance nella messa a punto del provvedimento, non c’è stata. Tra l’altro il Codice Appalti dovrebbe essere esaminato e seguito non solo dal punto di vista giuridico-legale ma anche sotto quello legato alla sua reale incidenza sui fattori economici, cioè sulla sua capacità di offrire le condizioni migliori per una misurabile convenienza al confronto, per una misurabile certezza delle coperture finanziarie e sulla attendibilità e sulla qualità dei progetti posti in gara. Devo essere sincero: non ho trovato questi contenuti, non ho trovato simili approfondimenti nell’attuale proposta.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 30 novembre 2022 alle ore 10:31