Balneari: riflessi concorrenziali e possibili soluzioni

Il contestato – e rischioso – rinvio dell’applicazione della Direttiva Bolkestein per la messa all’asta delle concessioni del litorale, per uso turistico-balneare, non lascia molto tempo per affrontare il problema e cercare soluzioni. Purtroppo – non è una novità – l’Italia non è stata sufficientemente reattiva, quando avrebbe potuto ancora incidere nel corso del processo legislativo, per tutelare la peculiarità di questo settore produttivo e di circoscrivere con maggior chiarezza, latitudine e modalità applicative della norma europea. In realtà, qualche tempo dopo la sua approvazione, lo stesso Frederik Bolkestein dichiarava che la disciplina sulla messa in concorrenza dei servizi non riguardava le concessioni demaniali per uso turistico. Ma, ormai, era troppo tardi per porvi rimedio. Si vedrà la stessa inerzia nei riguardi di altri dossier, potenzialmente pregiudizievoli per i nostri interessi, come la punitiva agenda verde dell’Ue, per i settori automobilistico, edilizio-abitativo o agroalimentare? Il tema della messa in concorrenza dei servizi balneari coinvolge molti aspetti di natura economica, concorrenziale e soprattutto politica.

Riportano i media che oltre 10mila concessioni balneari rendono poco più di 100 milioni di euro alle casse pubbliche e questo sembra dar consistenza alle critiche di ingiustificate rendite di posizione, di cui beneficiano gli attuali titolari. In realtà, i numeri esatti non si conoscono, perché il settore è una nebulosa imperscrutabile, gestita con meccanismi antiquati e farraginosi: mancano, ancora, una mappatura precisa e un inventario dettagliato. Nessuno nega che, seppur così poco remunerative per le casse pubbliche, le concessioni balneari generino un significativo volume di affari e rappresentino un volano per investimenti e occupazione in molte aree del paese, soprattutto in quelle carenti di altre attività produttive. Per recuperare gettito dalle concessioni, spesso preziosamente sfruttate e assai modestamente pagate, sarebbe sufficiente aggiornare i canoni al mercato, ma l’obiettivo della direttiva non è quello di aumentare i ricavi del concedente pubblico, bensì quello di eliminare qualsiasi barriera di ingresso o discriminazione per gli operatori interessati a investire in questo settore.

Quello che ha suscitato preoccupazione e protesta tra le centinaia di concessionari, spesso piccoli esercizi a gestione familiare – di cui si sono fatti portavoce i partiti del centro destra – è, si passi il termine, la brutalità della prospettiva di essere privati di attività, fonte del proprio reddito, senza alcun ristoro, nonostante gli anni spesi a lavorarvi e a valorizzarla. E il timore di non poter affrontare, ad armi pari, una gara contro investitori internazionali, muniti di più ampie disponibilità, relazioni e mezzi.

Se è vero che la normativa nazionale non riconosceva al concessionario alcuna garanzia di automatica continuazione, è altrettanto vero che l’ipotesi di mancato rinnovo si poteva concretizzare solo per emergenti necessità di utilità pubblica (p.e. la costruzione di una strada, un porto) o per palese inadempienza del gestore. Non si può negare, quindi, che il concessionario abbia fatto affidamento su questo quadro consuetudinario, quando ha investito e avviato l’attività sul tratto di litorale preso in concessione.

Se, invece, si volesse esaminare la questione sotto il profilo puramente concorrenziale – ossia verificare se, in ultima analisi, dall’applicazione della Bolkestein possa derivare beneficio, oltre che per operatori e investitori, anche per il consumatore – si dovrebbe riflettere su due proposizioni alternative:

  1. Ogni lotto di spiaggia è assegnato a un solo operatore che vi opera senza alcuna pressione competitiva esterna in quanto, in esso, agisce da monopolista.
  2. Ogni concessionario si trova in competizione con ciascuno dei suoi comparabili vicini e, quindi, egli deve misurarsi con gli altri operatori sullo stesso mercato.

È ovviamente vero il secondo caso e, quindi, per il consumatore, essendo il mercato già concorrenziale, la modalità di assegnazione delle concessioni, in via diretta o mediante gara, è indifferente. Salvo che non si formino concentrazioni o, peggio, accordi collusivi. Rischi di distorsione dei prezzi e abusi, comunque, incombenti, potenzialmente, su qualsiasi mercato.

È altresì intuitivo che i maggiori ricavi, che l’ente concedente auspica di ricavare dalla messa a gara delle concessioni, verrebbero fatalmente ribaltati sul costo dei servizi al consumatore finale. Argomenti che si potrebbe tentare di portare a Bruxelles per riaprire lo spinoso dossier ma, probabilmente, con scarsa possibilità di ottenere un’esenzione. Alla fine della fiera, alla Bolkestein, governo e balneari, dovranno soggiacere, cercando, al più di limitare i danni. Per evitare ricorsi e difficoltà operative le modalità di gara dovrebbe prevedere la massima semplificazione e standardizzazione dei suoi processi. Sarebbe auspicabile, per esempio, calcolare la base d’asta con un meccanismo unificato, basato su di un multiplo del costo del servizio, rilevato dagli enti statistici, moltiplicato per un coefficiente dell’area oggetto della concessione. Per evitare concentrazioni che possano mettere a rischio l’equilibrio del mercato e la concorrenza, sarebbe opportuno prevedere norme contro l’accaparramento delle concessioni, da parte degli stessi soggetti o di operatori tra loro collegati.

Il diritto del concessionario uscente a un equo indennizzo non sembra contestabile. Ma le proposte circolate sui media, per determinarlo affidandosi a complicati e artificiosi calcoli di spese, investimenti e ammortamenti, effettuati nel corso del tempo, aprirebbe a una serie infinita di interminabili contenziosi. Meglio allora adottare un meccanismo, semplificato e uguale per tutti, simile all’indennità di avviamento per cessazione di locazione commerciale, che riconosce al conduttore uscente, una compensazione pari a 18 mensilità di affitto. Analogamente, il subentrante nella concessione del litorale, dovrebbe corrispondere al precedente concessionario, a titolo di compensazione per l’avviamento e gli investimenti non amovibili realizzati, un importo corrispondente a 1-2 nuovi canoni annuali di concessione. La monetizzazione dell’avviamento e degli investimenti fissi rimasti nel lotto assegnato al nuovo concessionario, difficilmente potrebbe classificarsi come trattamento discriminatorio tra le parti in gara. Per quanto riguarda, invece, l’esigenza di contenere la crescita dei prezzi dei servizi prestati ai consumatori, potrebbe rivelarsi utile un sistema lineare di incentivi-disincentivi, che proporzioni l’automatica variazione del canone annuale, a ogni incremento medio dei listini, rispetto alla stagione precedente, come rilevato dai dati pubblicati ufficialmente. Con la speranza che queste sintetiche riflessioni possano fornire utili spunti ai nostri decisori politici.

Aggiornato il 28 febbraio 2023 alle ore 12:46