Perché la tassa sui profitti bancari è giusta

Leggendo le bozze del Mef, si dovrebbero tassare i cosiddetti extraprofitti e cioè il 40 per cento dei maggiori margini di interesse generati dalle banche nel 2023 con un tetto dello 0,1 del totale degli attivi. Constato, come naturale che sia, le reazioni di vari economisti o meglio banchieri che, con argomentazioni tecnicamente ineccepibili, cercano di spiegare quali potranno essere gli effetti negativi della suddetta, ancora non definitiva, norma. Non siamo in una sede istituzionale e cercherò, considerato il pubblico a cui è rivolto tale articolo, di spiegare senza particolari tecnicismi il mio pensiero.

I soli numeri necessari da ricordare per capire la mia riflessione sono il costo della tassa sugli extraprofitti, che dovrebbe aggirarsi tra i 3,1 e i 2,6 miliardi di euro a seconda della deducibilità o no della stessa tassa, ma non dobbiamo dimenticare il costo per lo Stato e quindi per i cittadini dei salvataggi bancari tra il 2013 ed il 2017: per il salvataggio degli istituti di credito sono stati spesi circa 700 milioni di euro, investiti da Cassa depositi e prestiti e Poste italiane in Fondo Atlante 1 e i 4,8 miliardi destinati a Banca Intesa come contributo di capitale e per la ristrutturazione del business. Questi soldi non potranno essere recuperati. Non vengono considerati in questa analisi i soldi dati per il salvataggio di Carige che hanno gravato principalmente su risparmiatori e piccoli azionisti.

Ciò che è stato stanziato dallo Stato in quegli anni, si è aggira tra i quasi 13 e e i 19 miliardi di euro. Alcuni di questi potrebbero tornare indietro ma ancora corre l’obbligo utilizzare il condizionale. Tra capitali e risparmi azzerati, interventi diretti del sistema bancario e intervento pubblico, il costo totale si è aggirato intorno ai 68 miliardi di euro, di cui se volessimo utilizzare una media circa 15 miliardi sono stati coperti dallo Stato. Tutto ciò per salvare il sistema finanziario ed economico degli Stati considerato anche il valore del debito pubblico in pancia agli stessi istituti per dare fiducia agli operatori economici.

È innegabile come, la certezza delle regole del gioco, assuma una grande rilevanza sulla fiducia, da parte dei terzi, verso il sistema “Paese” e come intervenire in tema di tassazione sui famigerati “extra-profitti”, a prescindere dalla modalità di calcolo, non è acquetabile in una vera economia di mercato. Sono contrario alla demonizzazione del profitto e contestualmente reputo giusto che la politica intervenga con gli strumenti di cui dispone per una maggiore distribuzione della ricchezza a favore dei bisognosi e quando è necessario si legiferi anche su una risposta solidale tra i diversi attori che compongono la nostra economia.

Per essere più chiaro e più esplicito mi chiedo:

1) Perché, a seguito della politica monetaria restrittiva della Bce, i tassi sono aumenti solo per la remunerazione del debito (interessi passivi) mentre ancora oggi la remunerazione della liquidità sui conti correnti è ancora prossima allo zero? Quale regola finanziaria ovvero quale regola di libero mercato permette tale distonia a danno dei risparmiatori italiani? Sarebbe bello leggere altrettanti articoli, con la stessa veemenza e impegno dottrinale sulla giustizia sociale e sul libero mercato, da parte dello stesso sistema finanziario, in cui viene evidenziata tale distonia che rappresenterebbe certamente un maggior costo per il sistema bancario, ma che certamente renderebbero più condivisibili e accettabili le preoccupazioni dell’Abi (Associazione bancaria italiana), principale sindacato bancario del Paese. Come accennato per semplicità di lettura non mi dilungo in questa sede sulle numerose norme fiscali, da parte di tutti i governi di sinistra, destra o centro, che hanno migliorato ovvero agevolato i bilanci delle stesse banche.

2) In ultima analisi mi chiedo, dov’era l’economica di mercato, la fiducia degli investitori, gli impatti negativi sulla concessione del fido, la certezza delle regole, la proprietà privata ma, soprattutto, il libero mercato, quando si è chiesto agli stati europei e occidentali e quindi a tutti i cittadini di indebitarsi per salvare le banche fallite? Quando la speculazione sui derivati (ancora viva e in aumento rispetto gli anni 2008/2018) ha fatto rischiare una nuova era della pietra con intere economie a rischio collasso?

Ritenevo in quel tempo giusto salvare il sistema finanziario con i soldi pubblici (era il male minore), così come ritengo giusta ora ricorrere alla famigerata tassa sugli extraprofitti, considerando che la base imponibile su cui viene calcolata è proprio quella differenza tra interessi passivi e attivi che a mio avviso, soprattutto sulla remunerazione della liquidità sui conti correnti, il sistema finanziario non si è in alcun modo volontariamente adeguato. Se l’Abi, nella sua qualità di sindacato, riuscirà a rendere la tassa deducibile e dunque meno costosa per le banche, avrà fatto il suo lavoro, ma consiglierei equilibrio e memoria.

Aggiornato il 31 agosto 2023 alle ore 09:26