Centro siderurgico di Taranto: un finale a tinte fosche

Per la quarta volta ripeto la proposta che avanzai, forse in modo poco chiaro, nel 2019, che riproposi nel 2020, nel 2021 e ultimamente due settimane fa: lo Stato annulli il rapporto contrattuale con ArcelorMittal per inadempienze degli impegni contrattuali (doveva produrre da 6 a 10 milioni di tonnellate di acciaio, oggi siamo ad appena 3 milioni). Lo Stato subentri integralmente nella gestione dell’impianto, assicurando le adeguate risorse pari a una quota annuale di 1,2 miliardi di euro per un arco temporale di almeno quattro anni. Di tale importo una quota del 40 per cento venga utilizzata per la riqualificazione funzionale della città di Taranto e del suo hinterland. Lo Stato, dopo trenta giorni dall’approvazione della Legge di Stabilità, nomini un nuovo Consiglio di Amministrazione.

Lo Stato incarichi una primaria Società per la redazione di un apposito masterplan del processo di riqualificazione funzionale della città di Taranto e del suo hinterland di cui sopra. Questa, in realtà, era già da cinque anni l’unica proposta in grado di evitare quello che l’8 gennaio scorso è, purtroppo, avvenuto. Ormai si avvia la irreversibile chiusura del centro siderurgico di Taranto. Qualcuno obietterà affermando che il mio è solo un banale e gratuito pessimismo, una imperdonabile assenza di fiducia nel ruolo risolutore dello Stato. Purtroppo, voglio solo ricordare e, al tempo stesso, denunciare un dato: alla luce dei debiti accumulati dall’attuale gestore e alla luce delle opere e degli investimenti necessari per adempiere agli obblighi legati alla messa in sicurezza e alla riqualificazione ambientale dell’impianto, è impossibile che, sia ArcelorMittal e lo stesso Governo, possano condividere ed accettare una determinata e limitata soglia finanziaria. Questa irreversibile presa d’atto ci porta, ripeto, ad una conclusione: Taranto, nel migliore dei casi, anche dopo l’arrivo di un nuovo gestore, per almeno 5-10 anni potrà raggiungere una soglia produttiva non superiore ai 3 milioni di tonnellate di acciaio. E questa soglia potrà consentire un livello occupazionale (tra diretti ed indiretti) non superiore alle 4mila unità lavorative. E allora conviene subito finire di mantenere tavoli aperti con un gestore che aveva un solo obiettivo: quello di traguardare il controllo produttivo del centro siderurgico di Taranto in modo da ridimensionare la sua funzione, il suo ruolo nel mercato di produzione dell’acciaio nel mondo, annullando in tal modo un suo pericoloso concorrente. Un obiettivo che ArcelorMittal ha senza dubbio raggiunto in modo completo ed encomiabile con il supporto pieno dei Governi Conte 1 e Conte 2.

Tutto questo, tutte queste responsabilità sono state da me denunciate sistematicamente. In particolare, ho sempre evidenziato gli errori macroscopici commessi dal presidente Giuseppe Conte o da membri del Movimento cinque stelle come l’ex ministro Luigi Di Maio o la ex ministra Barbara Lezzi, errori che hanno consentito ad ArcelorMittal di costruire un contenzioso che, anno dopo anno, ha fatto sì che Taranto diventasse un centro noto solo per la sua dimensione territoriale: 15.450.000 metri quadrati e non più per la sua capacità produttiva. Ora, scusate se insisto, dato che, escluso il rappresentante della Uilm Rocco Palombella, il sindacato è stato, in tutti questi lunghi anni, praticamente assente e non ha capito, sin dall’inizio, che bisognava, vista la grave crisi che cresceva anno dopo anno, ricorrere ad uno sciopero nazionale. Sì, uno sciopero che facesse capire al Paese e ai Governi Conte 1, Conte 2 e Draghi che si stava incrinando una tessera del mosaico produttivo del Paese. Uno sciopero nazionale che denunciasse che l’emergenza Taranto non coinvolgeva solo il Salento, solo la Puglia, solo il Mezzogiorno ma l’intero Paese. Ora non rimane altro che una convinta preparazione nel ricostruire un processo nuovo, che ponga come base proprio la integrale reinvenzione della intera realtà produttiva e, quindi, dell’intero sistema industriale. In realtà, un impegno nuovo dell’attuale Governo a dare vita a un impianto nuovo, a dare vita a un nuovo assetto socio-economico della vasta area che, praticamente, coinvolge l’intero Salento. Ripeto non una semplice bonifica ma una misurabile “reinvenzione”.

Lo Stato sa bene che quell’area ha un contorno infrastrutturale davvero unico e invidiabile: due porti, quelli di Brindisi e di Taranto, due veri Hub che possono, una volta reinventato il centro siderurgico, assicurare l’adeguata movimentazione a quantità di acciaio anche superiori a 10 milioni di tonnellate. Lo Stato sa bene che solo reinventando l’attuale impianto è possibile garantire di nuovo un coinvolgimento di almeno 20mila unità lavorative tra dirette ed indirette. Ma per rendere possibile questa nuova fase occorre, come denunciato più volte, dimenticare, ripeto sino alla noia, ArcelorMittal e garantire, attraverso un’apposita legge, un volano di risorse, per un arco temporale di quattro-cinque anni, pari globalmente a 4-5 miliardi di euro rendendo coì possibile un processo pianificatorio organico capace di reinserire la “tessera Taranto” nel mosaico produttivo internazionale. Questo Governo e questa maggioranza sanno bene che, non affrontare una simile emergenza con una operazione d’urto, non apprezzarne l’urgenza e la pericolosità di una simile criticità, ritenere che tutto sia circoscrivibile a livello locale, porta automaticamente verso un processo di irreversibilità del fenomeno e potrebbe innescare, durante l’attuale Legislatura, una crisi anche all’interno della stessa maggioranza.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 21 febbraio 2024 alle ore 17:29