“Niente indagati nelle liste”

Dopo sette anni, Francesco Storace è stato assolto per lo scandalo Laziogate. Secondo la corte d’Appello, il fatto non sussiste. Dopo più di un anno, Nichi Vendola è stato assolto dall’accusa di aver favorito la nomina di un primario in un ospedale pugliese. Per i giudici di primo grado il fatto non sussiste. Due storie politiche agli antipodi, accomunate dalla necessità di fare i conti, umani e politici, con la sanzione mediatica di processi celebrati sui giornali ancor prima che nelle aule giudiziarie.

Per i soloni del “niente indagati nelle liste”, la carriera politica di Vendola e Storace sarebbe finita ormai da un pezzo. La reazione gretta, dai sapori forcaioli, che sta attraversando il paese come una scossa dopo gli scandali che hanno travolto il sistema-Regioni e che continuano a lambire insidiosamente il Palazzo, è comprensibile. Vent’anni fa tutto è cambiato perché tutto rimanesse uguale. Se non peggio. È ancora largo quel settore dell’opinione pubblica che vorrebbe sbarazzarsi di un’intera classe politica a colpi di avvisi di garanzia. Una classe politica che, intendiamoci, ha fallito a 360 gradi nei suoi propositi di cambiamento. E che sta lasciando sfumare in un nulla di fatto la felice parentesi che le era stata concessa dal governo Monti.

Ma uno dei motivi per i quali la stagnazione in cui versa un’intera classe dirigente da vent’anni non è stata bonificata sono da ricercare dalla mancata risoluzione del corto circuito in cui da qualche lustro versa il rapporto tra politica e magistratura. Se le critiche mosse a chi vorrebbe porre l’azione dei magistrati sotto il controllo degli altri poteri della repubblica hanno più di un senso (tenendo in particolare conto dell’inaffidabilità del nostro ceto politico), sono motivate le obiezioni di chi ancora si dice preoccupato dell’eccessivo condizionamento che le indagini delle procure esercitano sull’azione dei rappresentanti dei partiti. A gran voce, di volta in volta, deve essere richiesta da chi viene investito dall’accusa di un presunto illecito l’assunzione di una precisa responsabilità politica. Ma è una battaglia da combattersi sul piano della cultura delle istituzioni e dell’etica della cosa pubblica. Tutt’altro discorso è pretendere che chi viene indagato, oltre a scontare la gogna del circo mediatico, debba necessariamente farsi da parte prima che ne sia accertata la colpevolezza. E per di più, sostenere che dovrebbe essere una legge a sancirlo. Per credere, chiedere a Vendola o a Storace.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:37